Storie di Hogwarts

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    Re dei Pirati

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    ahaha, che frana...
    in effetti Word m'aveva segnato come errore il dò, ma poi pensai: ma il Do è una nota musicale!
    lol
    vedi pensieri che mi faccio?

    comunque ora sistema tutto quello che hai segnalato (tranne quella degli spazzoloni, mi sembra giusta, come hai capito è al presente perchè sono scene che capitano sempre indipendentemente dalla mia presenza l)

    e poi quela del vomito sì, è il primo (ma non l'unico) dei pensieri che farò anche come voce narrante.
     
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    Re dei Pirati

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    Mercenario

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    Pensai di averci sbattuto contro, dato che mi dolorava il fondoschiena

    questa mi ha fatto schiantare, che verbo è? Dove lo hai pescato? Per curiosità l'ho cercato ed esiste (O_O) ma è moltomoltomoltomolto aulico/poetico (citano solo Dante, Foscolo ecc). Non è meglio doleva?
    CITAZIONE
    ma non credevo proprio che saremmo arrivati fino al collegio senza che tu abbia quantomeno sentito la mancanza di qualcos

    avessi
    CITAZIONE
    Intanto l’ingresso era abbastanza faraonico: per entrare siamo passati da una porta automatica scorrevole e che augurava un bel Welcome! a chiunque superasse la sua soglia; poi la hall principale presentava sulla destra un bancone stile hotel con dietro decine di vani quadrati dove posare le chiavi delle varie stanze, mentre sulla sinistra c’era un lungo divano di tappezzeria ad elle dello stesso colore dei tappetini dei tavoli di Poker e Baccarat, insomma, di un verde abbastanza scuro.

    ti sei perso un passato XD
    CITAZIONE
    Intanto l’ingresso era abbastanza faraonico: per entrare siamo passati da una porta automatica scorrevole e che augurava un bel Welcome! a chiunque superasse la sua soglia; poi la hall principale presentava sulla destra un bancone stile hotel con dietro decine di vani quadrati dove posare le chiavi delle varie stanze, mentre sulla sinistra c’era un lungo divano di tappezzeria ad elle dello stesso colore dei tappetini dei tavoli di Poker e Baccarat, insomma, di un verde abbastanza scuro.

    compisse.

    Molto bello, complimenti
     
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    Re dei Pirati

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    evvai sono aulico!!!
    Bho, ho sempre detto dolorava: dolore-->dolorismo--->dolorazzo--->dolorare--->dolorava LOL
     
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    Re dei Pirati

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    LOL
    non ho più spazio nel primo post, dovrò continuare qua... perciò vi do il link su EFP, almeno lì si mantiene l'ordine (e la formattazione)

    *link nel primo topic*

    Cioccolato inglese - parte 1

    -Chid? Iumastentar, uievtu vraitinior neimiet!
    Era la ragazza della reception, sembrava intelligente, aveva i capelli raccolti in una coda di cavallo, indossava una camicia bianca e portava occhiali con lenti piccole ma con grosse montature, come era solito tra i secchioni, eppure non riusciva a capire che per me parlava arabo. Così le feci cenno di non aver compreso.
    -Not tiu capisci, rait? Aicol... den, chiamo la directrice!
    Chiama chi vuoi tu, ma se non parla la mia lingua ci toccherà comunicare a gesti...
    E corse via come una forsennata, a quanto pare ciò che mi voleva dire era abbastanza importante e richiedeva celerità. Dopo un po’ si presentò una signora anziana, ma molto giovanile nell’aspetto. All’apparenza le si potevano attribuire un massimo di 55 anni, ma io ero abbastanza sicuro che ne avesse più di 70, poiché da quello che lessi su uno dei documenti appesi al muro, la scuola era stata fondata nel ’48, perciò anche se quella signora ai tempi ne avesse avuti solo 20, beh, il calcolo veniva lo stesso bello grosso.
    -Tu devi essere il signor Burgio, non e vero?
    -S-sì, sono io...
    Rimasi sconcertato dalla perfezione con la quale parlava l’italiano, ebbe solo un piccolo problema ad accentare la e, che la pronunciò un po’ troppo atona.
    -Il tuo accompagnatore ha gìa consegnato e firmato tutto quello che doveva, pèrcio rimangono solo i tuoi documenti da compilare e poi potremo iniziare. Prego.
    Mi consegnò due fogli dove in entrambe, scritto in credo otto lingue, compariva la solita stringa “Firma Qui”. Siccome il resto del testo era tutto in inglese e non avevo proprio voglia di sforzarmi, firmai senza leggere nemmeno una singola riga, anche perché non riuscivo a togliermi dalla testa il suono della parola pèrcio fuoriuscito dalla bocca di Mrs. Langdon.
    -Perfetto, ora ti spiego come sfrutteremo il nostro tempo a disposizione: ogni mattina, dal lunèdi al sabato, sei ore di lezione con l’insegnante Professoressa Marie Sinclair, qui imparerete termini, grammatica, forme dei verbi e ovviamente come ci si esprime nella maniera pìu formale possibile. Dalle 2 pomeridiane alle 3 e mezzo, avrete pausa pranzo per consentirvi di andare alla nostra mensa e rifocillarvi. Nel pomeriggio vi sposterete nell’aula dell’insegnante Professoressa Christine Hunger, che vi insegnèra a parlare con gli altri, a chiedere informazioni e vi allenèra all’ascolto. Le sue lezioni saranno molto pìu leggere per il mancato utilizzo di testi, ma non per questo meno importanti. Dalle 7 e 30 alle 9 avrete la pausa per la cena sempre nella nostra mensa, ma non vi sàra concesso in nessun caso di uscire per andare in qualche ristorante della zona, percìo non chiedetemelo. Dopo di che avrete il resto della giornata libero da passare come meglio credete, anche se al vostro posto io lo sfrutterei per ripassare cìo che ho imparato durante le lezioni e poi andrei subito a letto per evitare di risvegliarmi stanca il giorno dopo. La domenica che passerete qui, invece, sarà una giornata totalmente libera, e se qualcuno verrà a prendervi, potrete uscire dall’istituto se lo volete.
    Una volta fatta l’abitudine, quegli accenti sbagliati non mi fecero più così tanto ridere, specie dopo aver sentito che bel programma mi attendeva per le prossime due settimane. E comunque quell’anziana signora parlava l’italiano molto meglio di tanti altri miei compaesani, il che era tutto dire.
    -Inoltre devo avvisarti che in questa scuola tutto, dai libri ai menu della mensa, sono scritti in inglese e che il personale e le vostre insegnanti vi parleranno esclusivamente in madrelingua. Questo per incentivare lo studente ad impegnarsi anche al di fuori della lezione, questa discussione e soltanto un’eccezione per assicurarmi che capiate le regole dell’istituto. In camera troverai una scrivania con il tuo libro di testo: esso e pratico e funzionale, perche arricchito di immagini ed esempi studiati appositamente per gli studenti della tua eta. Dovrete portarlo con voi ad ogni lezione e completare gli esercizi che vi si richiedèra di affrontare; soltanto impegnandovi al massimo raggiungerete il vostro obiettivo che e quello di padroneggiare la nostra lingua, immettendovi così di diritto nel nuovo mondo della globalizzazione. Detto questo, mi e stato riferito che non hai ancora pranzato, serviti e poi dirigiti direttamente all’aula P1 dove inizièra la tua prima lezione; non preoccuparti del testo perche questo sàra pìu che altro un colloquio con la classe. Io sàro nel mio ufficio per qualsiasi chiarimento, ma non disturbatemi per problemi che potreste risolvere con il personale. Il fatto che sappia parlare perfettamente sei lingue e che me la cavi con altrettante, non vi deve cullare pensando di poter alla fine chiedere a me cìo che vi serve. Ti auguro una buona permanenza ed il pieno raggiungimento del tuo obiettivo.
    Sei lingue ed altrettante con cui se la cava, alla faccia, chissà che farebbe se un giorno qualcuno le svelasse che basta uno stupido incantesimo per imparare in un secondo tutto ciò a cui lei ha impiegato un’intera vita? Bah, andiamo a mangiare che è meglio, ho una fame...
    Così mi incamminai per il lungo corridoio, guardando qui e lì per trovare la stanza P1. Era proprio quella situata poco prima della mensa: all’interno c’erano piccoli banchi tutti separati tra loro, una cattedra insolitamente alta ed una lavagna con gessetti colorati. Sembrava tutto in ordine, così tornai a pensare al pranzo. Da quello che avevo studiato a scuola, in Inghilterra mangiavano da schifo; con fish and chips per colazione pensai che avrei vomitato per tutta la giornata, ma per fortuna dalla cucina proveniva un odore invitante. Infatti ciò che lessi nel tabellone dei piatti del giorno non era affatto male: c’erano tortellini e maccheroni al pomodoro (per fortuna mantenevano i termini italiani a parte il pomodoro che diventava tomato), carne che non capii come venne cucinata e anche il temuto pesce fritto con patatine. C’era anche uno spazio per il dolce, ma era vuoto, forse l’avrebbero servito la domenica.
    Anche se sulla carta gli inglesi mangiavano come gli italiani, nelle porzioni erano tutt’altro che generosi: ricevetti quattro tortellini contati e una fettina di carne così minuscola che sembrava da dare al gatto; anche la porzione di pane era microscopica, ma quello non fu un problema, perché era così plasticoso che lo lasciai perdere dopo il primo morso.
    Dopo il solitario quanto insoddisfacente pranzo, uscii da quella sala adibita a mensa e mi avviai verso l’aula P1. Non c’era ancora nessuno all’interno così potei scegliere il posto dove sedermi. Scelsi quello esattamente al centro dell’aula e mi sedetti. Per passare tempo contai i banchi: erano sedici, quindi se fossimo stati al completo avrei avuto quindici compagni, magari ci poteva essere un altro italiano o qualcuno che conoscesse la mia lingua, chi poteva dirlo.

    Credo di essermi appisolato per un po’, visto che non mi ricordo come entrarono gli altri, so solo che all’improvviso me li trovai lì, seduti tutti intorno a me e che ridacchiavano alle mie spalle.
    Che bella figura, farmi trovare addormentato sul banco...
    Finalmente entrò l’insegnante, che per assicurarsi che tutti si siano accorti della sua presenza, gridò:
    -Good morning guys!
    Per lo meno scandiva bene le parole, di questo ne fui grato.
    -Today we will know each other!
    E scrisse quello che pronunciò alla lavagna. Cosa disse rimase un mistero ma almeno era chiaro che parlava di cosa stavamo per affrontare.
    Dopo un altro po’ di frasi scritte e parlate, passò alle domande e a turno i miei compagni si alzarono dai loro posti e parlavano, alcuni se la cavavano, altri erano perfino peggio di me: il tizio che avevo esattamente di fronte pronunciava così male quelle poche parole che conosceva che più che in inglese sembrava stesse parlando in russo. La bambina vicina a me parlava così bene e scandita che capii la maggior parte delle cose che diceva: si chiamava Karina, era ungherese, ma la sua famiglia viveva in Germania da ormai otto anni, perciò era a tutti gli effetti tedesca. Suo padre lavorava in una ditta di costruzioni e sua madre insegnava pianoforte, aveva una sorella più grande che studiava nell’università di una città con un nome impronunciabile e possedeva un gatto ed un coniglio, che pensai abbia chiamato Squinzel e Ronzel, ma forse sentii male io, d'altronde era un miracolo che già capissi cosa stesse dicendo in inglese. Disse che voleva imparare al più presto l’inglese perché era fondamentale per quello che voleva diventare, un magistrato.
    Un magistrato? Ed io che fino all’anno scorso volevo aprirmi un negozio di giocattoli...
    L’insegnate rimase talmente colpita dall’eleganza e dalla bravura dell’allieva che le fece i complimenti, poi nel passare a me, credetti le sia venuta voglia di vomitare perché iniziai a balbettare e non la finii più fin quando non terminai la mia presentazione. Ma in fondo la mia ansia era del tutto giustificata: non solo stavo parlando ad un gruppo di sconosciuti in una lingua che non era la mia, ma avevo sulle spalle pure la pesante eredità lasciatami dalla bambina che fino ad un attimo prima aveva dato mostra delle sue doti da figlia di papà; senza dimenticare il fatto che dovevo mentire sul vero motivo per cui mi trovassi lì e non potevo farmi scappare la parola “magia”. Insomma, era già un miracolo che riuscissi a spiccicare qualche parola.
    Dopo un tempo che mi parve un’infinità finalmente finii di elencare vita, morte e miracoli del povero Emanuele Burgio, un ragazzino di soli 11 anni che si trovava a dover affrontare un boriosissimo corso di centomila ore per imparare in fretta e furia una lingua che di lì a poco sarebbe stato costretto ad usare ogni santo giorno ed al termine l’insegnante addirittura mi batté le mani, poiché a quanto pare ero andato meglio di quanto non credessi.
    -A very passionate story... congratulations! A little bit insecure, but... We make it soon!
    Mentre parlava e mi elogiava, sottolineava alla lavagna le parole che più rappresentavano il mio discorso, che guarda caso erano comprensibilissime anche in italiano: insomma, ero stato passionale, ma di un’insicurezza spaventosa, come mio solito; anche nelle pagelle di fine anno compariva quella stramaledetta parola “insicuro”.
    Le quattro ore di lezione praticamente passarono in quel modo, raccontando le nostre vicende ed i nostri obiettivi; l’insegnante ogni tanto interveniva per mostrarci i nostri errori o per suggerirci una maniera più consona per esprimere un dato sentimento. Tutto sommato la lezione non fu così terribile, ma io ero assonnato ed il fatto che se non prestavo massima attenzione non capivo nulla di ciò di cui si stava parlando, non aiutava di certo. Tant’è che quando arrivò il mio turno nel gioco del descrivere un nostro compagno di classe, chiamai l’orso che era raffigurato sulla maglietta del mio vicino di banco “horse” invece che “bear”: un errore balordo ed evitabilissimo, ma che la stanchezza che avevo in corpo mi costrinse a fare.

    Una volta finita quella che sembrava una puntata di un talk-show, i miei nuovi compagni scattarono come fulmini verso l’uscita per raggiungere la mensa; io invece feci tutto con lentezza, sia per via della stanchezza, sia perché nonostante il misero pranzo, l’appetito non mi era ancora arrivato, probabilmente perché mangiai tardi e stando seduto non smaltii nemmeno quel poco che avevo assunto.
    A cena a quanto pare non offrivano il primo ma soltanto il secondo: c’era una bistecca ai ferri oppure una poltiglia strana che chiamavano couscous, che più che couscous l’avrei chiamata sbobba per cani, dato come si presentava, ma la maggior parte dei ragazzi presero quella, così mi aggregai al gruppo. Avevo ragione, era sbobba: non appena ne assaggiai un cucchiaio mi venne l’immediata voglia di risputarlo, ma per non sembrare maleducato evitai di farlo, costringendomi ad inghiottire quello schifo. Inoltre non sarei mai riuscito a spiegare alla cuoca il perché volessi cambiare il mio piatto con la bistecca, perciò mi obbligai a continuare ad assumer quel granuloso veleno. Gli altri invece mangiavano di gusto: un ragazzino scuro di carnagione disse pure che sua madre glielo preparava sempre quando riceveva bei voti a scuola.
    Se mia mamma mi cucinasse lasagne ogni volta che le porto un buon voto da scuola, a quest’ora peserei novanta chili!
    Una volta finito, quasi come fossimo telecomandati, ci avviammo verso le scale per poi separarci ed entrare ognuno nelle proprie stanze. A quanto sembrava le ragazze salivano un altro piano, mentre noi ci fermammo al primo.
    -Good night!
    -Good night!
    -Hello!
    -Hello!
    -Hi!
    -Hi!
    How are you? I’m fine thank you! E ora che facciamo, ci mettiamo a ripetere tutti i saluti che conosciamo?
    Però per non sembrare maleducato, dissi anch’io:
    -See you tomorrow!
    Non appena le ragazze sparirono, due dei bambini che sembravano fratelli mi rivolsero la parola:
    -Now we go, ehm... to watch TV, you come with us?
    Grammaticalmente scorretto, ma il senso era chiaro, guardare la TV assieme.
    -Eccome no, come on!
    Il televisore era in una stanza alla fine del corridoio del primo piano, a quanto pare gli altri a differenza mia avevano avuto il tempo di girarsi un po’ la struttura; il problema era che come tutto il resto anche i canali erano in lingua inglese, così dopo circa cinque minuti di visione più o meno tutti iniziammo a borbottare per il disagio e per la noia.
    Tornammo nelle nostre stanze, ma per uscirne quasi subito: infatti ognuno di noi prese i giocattoli che aveva portato con se da casa, così confrontando i nostri gusti riuscimmo a conoscerci meglio in quell’oretta di allegria che in quattro ore di lezione. I due fratelli avevano portato ognuno mezza parte di un Optimus Prime gigante, dall’altezza complessiva di almeno un metro e mezzo; il ragazzo con lo stemma dell’orso sulla maglietta invece era un famelico collezionista di monete e diceva di avere a casa almeno tre bauli pieni di monete straniere comuni, ma soprattutto rare. Per dimostrare che non scherzava ci mostrò due pezzi da novanta della sua collezione, una dracma greca ed una rupia indiana: diceva che glieli portava suo padre quando tornava da lavoro; lui girava il mondo, così ne approfittava per portare oggetti insoliti alla famiglia, tra i quali figuravano ovviamente le monete. Il ragazzo con la pelle più scura di tutti invece collezionava insetti morti che poi metteva in dei barattoli con della gelatina trasparente dentro: così mi spiegai come mai gli piaceva così tanto quello schifo di couscous. Gli altri invece avevano giocattoli più classici, come i modellini snodabili di vari personaggi dei cartoni animati, oppure dei Walkie Talkie e una pistola laser per imitare le grandi spie, e curiosamente altri due bambini ebbero la mia stessa idea di portarsi dietro il proprio Game Boy con annessa copia del gioco Pokémon all’interno; peccato che nessuno di noi avesse pensato di portare anche il cavo link per poter lottare o scambiare le creaturine tascabili: un’occasione davvero sprecata.
    Dopo un po’, stanco ed intontito tornai in stanza, dove mi attendevano un anonimo letto ed il minaccioso mattone che fungeva da libro di testo poggiato sulla scrivania: ero distrutto, ma felice.

    La mattina seguente scoprii con mia immensa gioia che la sveglia era fissata alle 7 in punto:
    -Briiip!
    Ma che diamine?
    Era il telefono della stanza che squillava.
    -Pronto?
    -Good morning! This is the alarm...
    Mi ero appena svegliato, non mi ricordavo nemmeno dov’ero e quella della voce preregistrata mi parlava in inglese...
    -Bon jour! C’est la réveil...
    Cosa?
    -Guten Morgen, das ist der Wecker...
    Ma che dice?
    -Buenos días, éste es el despertador...
    Aah, che scemo, sta parlando in tutte le lingue...
    -Buon giorno, questa è la sveglia che vi comunica che sono le 7, la vostra lezione inizierà fra un’ora esatta e si terrà nell’aula A1, si prega di essere puntuali, la colazione è già servita in mensa.
    Bhè, quando devono comunicare cose spiacevoli ci parlano in italiano...
    -Bom dia, este é o despertador...
    A quanto pareva, la sveglia voleva farsi davvero tutte le lingue di questo mondo, ma io non ne avevo voglia, ma soprattutto tempo, perciò riattaccai.
    Svegliarsi alle 7... mah, solo al campo scout per l’alza bandiera feci sta sfacchinata...
    -Yaawn!
    Mi lavai la faccia, presi dalla valigetta i vestiti che avrei indossato e poi mi spogliai. Quando entrai dentro la doccia però m’accorsi che non era affatto come quella di casa mia, infatti era così stretta che nemmeno mi potevo abbassare per lavarmi le gambe...
    Che razza di bagno...
    Cercai di fare il più in fretta possibile, sia per l’odio che provavo verso quel sarcofago, sia perché il bagnoschiuma monodose messomi a disposizione dal collegio era così denso che bastava una passata per farmi affogare nella schiuma. Alla fine ci misi comunque la mia solita mezz’ora.
    Come vestiti avevo scelto quelli più sobri che avevo a disposizione, non volevo certo fare brutta figura, inoltre avrei conosciuto l’altra insegnante, quella del mattino. Quando finii, presi il libro sotto braccio, chiusi a chiave la stanza e scesi dalle scale. Mentre mi dirigevo alla mensa, la signorina della reception mi consegnò un foglietto dove era riportato il messaggio “Fatti trovare in stanza alle 9, che ti chiamiamo!”: non potevano essere altro che i miei genitori, che sicuramente avranno sofferto nel non sentirmi il giorno prima, ma ero così stanco che me ne dimenticai.
    In mensa trovai già quasi tutti i miei compagni, delle femmine nemmeno una; arrivarono in gruppo solo dieci minuti prima delle 8 e per far in tempo, bevvero solamente chi un po’ di thé, chi una gustosa tazzina di caffè amarissimo: berlo di prima mattina disgusta per tutta la giornata. Naturalmente io avevo finito già da un bel pezzo la mia colazione ipercalorica a base di cioccolata calda e fette biscottate con burro e marmellata, così salutai le ritardatarie, ripresi il mio libro dalla sedia in cui li avevamo impilati tutti assieme e mi avviai assieme al ragazzino che la sera prima mi aveva mostrato la sua collezione di Biker Mice.
    Ero abbastanza imbarazzato, ma comunque non potevo continuare a chiamarlo per fischi ed esclamazioni, perciò gli chiesi come si chiamava, la risposta fu Martín, che siccome si pronunciava Maten fui convinto che si scrivesse proprio così, almeno fino a quando non lessi l’elenco degli studenti del corso che era affisso all’entrata della sala A1. Diedi una sbirciatina ai nomi, ma a parte per Martín e per un ragazzo di nome Matt, gli altri avevano nomi così strani che era inutile impararli a memoria, se poi si sarebbero pronunciati in maniera completamente differente. Addirittura c’era qualcuno (o qualcuna) che si chiamava Guvu Mbhasi Vhal, incredibile.

    La nuova insegnante arrivò puntualissima entrando con fare guardingo e minaccioso. La differenza con la professoressa del pomeriggio era evidente: tanto giovanile l’altra, quanto arcigna questa. Intanto teneva il suo libro proteso in avanti al livello del petto, quasi per avvisarci che stava arrivando una carrellata di compiti, poi portava al collo degli occhiali da vista attaccati con una cordicella e aveva i capelli raccolti in uno chignon veramente elaborato, probabilmente ci metteva secoli ogni mattina per ricrearlo.
    Si sedette e partì immediatamente:
    -Classroom, we have to work hardly!
    Già il fatto che la sua prima frase non la capì nessuno faceva temere il peggio. E a ragione: per ogni ora di lezione avanzavamo al ritmo di sei, sette pagine alla volta, tutte pienissime fino a scoppiare di esercizi e termini da imparare a memoria. Solo una pagina fu divertente da completare perché si dovevano unire i puntini che rappresentavano delle parole i cui sinonimi erano da ordinare alfabeticamente: difficile ma piacevole. In quelle sei ore praticamente non parlammo mai tra di noi, perché se per un attimo perdevi la concentrazione, ti ritrovavi indietro di almeno due pagine, quindi mi sembrarono durare una tale eternità che quando finì, per un momento mi meravigliai di trovare alla mensa scritta la parola “Lunch”: ero così stanco che avevo dimenticato che fossero soltanto le 2 del pomeriggio, dato che il mio orologio biologico segnava invece mezzanotte spaccata.
    Naturalmente per via dei pranzi striminziti all’inglese che ci propinavano, dei novanta minuti liberi il pasto ne occupava soltanto venti, perciò il rimanente tempo lo passammo alla reception a parlare.
    Era incredibile la quantità di cose che si capivano anche senza usare passati, futuri e congiuntivi: innanzitutto i nomi dei miei compagni, Matt era uno dei due fratelli olandesi, l’altro si chiamava Vvendel; Guvu Mbhasi Vhal era la strana ragazza di colore dell’ultimo banco; Chansui era la bambina cinese che portava sempre i codini, mentre Nanagi era l’altra (che in realtà era giapponese, ma continuammo a considerarla cinese); Samahel Muhai (non capii se avesse due nomi o si presentava sempre con nome e cognome) era lo scabro studente degli scarafaggi imbottigliati; la ragazza chiarissima non poteva che essere finlandese e si chiamava Kiirsten; era molto gelosa del suo nome, infatti stando a quanto diceva, erano poche le Kïrsten che presentavano una doppia “i” invece dei due puntini di dieresi. Per me era solo un errore anagrafico, anche nel mio paese c’era un cugino di una mia amica che si chiamava Maicol, ma giustamente, non se ne vantava affatto; il resto degli altri nomi non appena li sentii li scordai al volo, tranne quello del ragazzo ebreo che poveretto si chiamava Besameel il cui paragone mentale con bresaola e besciamella fu inevitabile.
    Non mancarono nemmeno le scoperte spiacevoli: il ragazzo che collezionava monete (Renaldo si chiamava) non solo aveva il padre che partiva per il mondo, ma gli era morta anche la mamma, così lui ed i suoi fratelli finirono con la nonna che era sorda da un orecchio, il che ovviamente non era piacevole, così si rifugiava nelle sue collezioni che svelò comprendevano una serie di cappelli bizzarri, bandierine da stadio dei vari Paesi e svariati bigliettini d’auguri per la festa della mamma scritti in tante lingue: la sua storia mi commosse talmente tanto che decisi di aiutarlo regalandogli una di ogni moneta e banconota fino a diecimila lire, almeno anche se questo non gli avrebbe riportando indietro sua madre, lo avrebbe aiutato a completare la sua collezione e conseguentemente ricordato me e l’Italia.
    La pausa così volò via, riportandoci nuovamente in classe per la lezione pomeridiana: era più grazie a questa che riuscivamo a comunicare, la teoria da sola non sortiva alcun effetto, tant’è che puntualmente dimenticavamo di mettere in “–ing” certi verbi, oppure di non usare gli articoli davanti i possessivi.
    Dopo la lezione, cena, telefonata dei miei e nuovamente in sala TV a chiacchierare del più e del meno.
    La prima settimana praticamente passò in questa maniera: era una routine che si spezzava solamente durante le pause, dove si rafforzavano le nostre amicizie ed inevitabilmente si creavano dei gruppetti più affiatati degli altri. Tant’è che arrivati a sabato, io non riuscivo più minimamente a parlare con quelli del gruppo di Karina, Samahel e Guvu Mbhasi Vhal perché se la tiravano troppo e alla stessa maniera Besameel e Chansui non parlavano con noi perché troppo timidi.

    Finalmente era arrivata domenica, il che significava tre cose: innanzitutto un giorno di vacanza, poi che mezza tortura era finita, e soprattutto che sarebbe arrivato ser Richard a farmi visita.
    Le cose non andarono però come pensavo, infatti verso le 9 del mattino squillò il telefono:
    -Briiip!
    Ma porco... Pure di domenica?
    -Buongiorno, la vostra insegnante, la professoressa Hunger, avrebbe il piacere di portare lei e la sua classe a visitare Londra nel vostro giorno di ferie, siete pregati di confermare la vostra partecipazione alla reception entro le 10, grazie.
    Era la direttrice dell’istituto all’apparecchio che mi informava dell’escursione.
    -Ma è tipo una gita?
    -Sì, signor Burgio, è una gita.
    -E gli altri vengono?
    -Non lo so, ho appena iniziato il giro delle telefonate. Ora, se non le dispiace, devo avvisare gli altri.
    E riattaccò.
    Ero molto combattuto: rimanere ed aspettare il mio tutore o andare con gli altri in gita? Per fortuna mi vennero in aiuto i “cimeli” che avevo portato con me da casa: quella era un’ottima occasione per mostrarsi fico davanti agli altri. Così mi vestii a razzo: maglietta dei Simpson originale con Homer in rilievo, berretto griffato PK (Paperinik) e portafogli della Nike.
    Dopo questa settimana avrò più di un mese di tempo da passare con ser Uppercut e la magia, ma avrò solo oggi l’occasione di visitare Londra!
    Firmai l’adesione alla reception entro l’ora stabilita e consegnai un messaggio a Rose specificandole di consegnarlo a Charlie, non appena fosse passato. Lì c’erano scritte le motivazioni per cui non mi avrebbe trovato all’istituto con le dovute scuse. Adesso ero pronto per partire.
    A quanto parve non fui l’unico ad aver avuto quella brillante idea, anche gli altri si erano vestiti in maniera appariscente e c’era anche chi risultava fin troppo appariscente. Quasi tutti i maschi erano vestiti in maniera comoda ma trendy: chi preferiva i pantaloncini, chi i pantaloni coi tasconi, c’era addirittura chi indossava ridicoli pinocchietti. Tutti tranne ovviamente Samahel, che in pratica si vestì da matrimonio: giacca e pantaloni bianchi, cravattino celeste e camicia cerulea, il tutto per far risaltare la sua carnagione scura. Come era logico aspettarsi, le ragazze lo tempestarono di complimenti, ma siccome ogni piacere ha il suo prezzo, il conto che dovette pagare Samahel fu assai caro: sudava un inferno là dentro.
    Le ragazze messe tutte assieme naturalmente ci oscuravano: splendenti come il sole, sembravano partecipare ad una sfilata di bellezza. Karina e Kiirsten erano semplicemente bellissime, i loro capelli biondi e gli occhi azzurri, uniti ai colori vivaci dei loro vestiti ricamati erano una gioia da vedere e da odorare; erano simili, ma anche differenti: la candidissima pelle di Kiirsten la faceva sembrare a tratti un angelo, mentre le lentiggini donavano a Karina un aspetto più visto e ribelle. Anche Chansui era carina col suo completino orientaleggiante, sembrava una bambolina di ceramica; di tutt’altra delicatezza era invece la ragazza rumena, che con top, minipantaloncini ed infradito sembrava stesse andando a mare talmente era nuda. Estremamente ridicola invece era l’estrosa Nanagi che sembrava uscita da una puntata di Sailor Moon: vestita alla marinaretta con delle calzone bicolore e scarponi tempestati di spille con teschi, ideogrammi ed altre balordate inguardabili. Ma il primo premio lo meritava senza dubbio Guvu: quel suo vestito di seta smeraldata che le scopriva solamente le spalle, le caviglie e il collo mi fecero finalmente capire cosa trovavo di misterioso in quella ragazza. I suoi lineamenti delicati, la sua pelle liscia e gli occhi verdi e profondi erano cose che non avevo mai visto in altre persone di colore; sembrava quasi che la sua pelle baciata dal sole non servisse ad indicare la sua provenienza ma ad esaltare la sua bellezza. Inoltre aveva stile da vendere: per non sembrare troppo monocromatica scelse una lucida borsetta e dei sabot dello stesso colore dello zaffiro, con quelle caviglie sottili sembrava quasi galleggiare in aria.
    Ripresomi dallo shock causato da tanta bellezza, finalmente riuscii a godermi la gita: l’insegnante in pratica ci portò in tutti i luoghi londinesi degni di esser visitati: il Museo Nazionale, quello delle cere, il London Eye e perfino Buckingham Palace, dove per un momento fui tentato ad usare Accio sul cappello di una delle famose quanto odiose guardie, per vedere se continuava a rimanere ferma ed imperterrita; ma non valeva la pena infrangere la legge magica per un capriccio del genere. Era evidente che la gita domenicale era una pratica consueta nel collegio: l’insegnante sapeva anche fin troppo bene dove andare, in quale ordine e come tenerci a bada per essere alla sua prima volta, inoltre non abbiamo dovuto pagare i vari biglietti per entrare, il che significava che in qualche modo erano già stati pagati. Solo per la Millennium Wheel dovetti pagare l’equivalente di ben tredicimila e ottocento lire, forse perché era un’attrazione di nuova costruzione e la scuola non aveva ancora avuto il tempo di mettersi d’accordo o perché comunque è difficile prendere convenzioni per una giostra. Una volta salito però, non mi sentii minimamente pentito per aver speso quella cifra: era stupendo salire così in alto ed avere il mondo letteralmente ai miei piedi, per di più con gli altri scherzai facendo finta di buttarmi di sotto per mimare un atterraggio spettacolare alla James Bond.
    L’ultima tappa fu ai grandi magazzini Harrods, perché si sa, Londra ha sì una lunga storia ed una grande cultura, ma è anche una città moderna e come tale presenta il centro commerciale più impressionante dell’universo. E a quanto sembrava, non eravamo l’unica scolaresca che veniva a curiosare lì dentro, anzi forse c’erano più bambini che adulti. Infatti all’ingresso c’erano dei bodyguard che ci davano dei badge collegati al codice della nostra insegnante da ripresentare all’uscita, in modo che nessun bambino potesse uscire di lì senza che il suo accompagnatore lo sapesse, per evitare rapimenti o cose del genere. Così la professoressa Hunger, dato che non correva il rischio di perderci, ci lasciò liberi per un’oretta.
    E fu lì che per la prima volta ebbi paura dei miei poteri.

    Il quarto piano di quell’immensa struttura, dove per l’inciso si trovava il reparto dolciumi, era un richiamo irresistibile per tutti i bambini che si trovavano lì dentro, infatti, chi venne prima, chi dopo, ci ritrovammo tutti a fissarne le vetrine. Io ero intento a guardare la varietà di cioccolatini, quando alla mia destra sentii dei rumori abbastanza chiari: qualcuno stava facendo a botte. Avvicinandomi mi accorsi che più che di una colluttazione si trattava di una violenza: quello scarafaggio di Samahel tirava con tutte le sue forze il braccio di Guvu, facendole chiaramente del male.
    -Givve me a kiss, bich!
    -No, no!
    Pur di liberarsi, Guvu tirò così forte che strappò una cordicella della sua elegante borsetta, rovinandola vistosamente. Vedendola in quello stato, per il dispiacere Guvu smise di dimenarsi, cosicché Samahel ne approfittò ritornando a strattonarla per farsi dare quello schifosissimo bacio.
    -Ma che diavolo fai?
    E mi ci buttai addosso con tutto il mio peso.
    -Oof! Stupid asshole!
    E ci picchiammo duramente. Io non avevo speranze, nella mia vita ho sempre evitato di fare a botte perché troppo fifone, mentre Samahel sembrava esser nato per quello.
    Con un calcio nella milza mi fece rotolare dal dolore per diversi metri, tant’è che pensai di morire; ma non appena mi alzai, lo vidi che non contento stava per tornare alla carica. Dovevo reagire, se non per me almeno per Guvu che ci stava guardando terrorizzata, ma non sapevo che fare, i miei colpi erano scoordinati e lenti, li evitava tutti ed in più mi colpiva ai fianchi o allo stomaco non appena mi sbilanciavo un po’. La cosa che mi dava più fastidio però era quel vestito così costoso che veniva indossato da un simile maiale e la rabbia che mi provocava accese un fuoco dentro di me che sembrava divampare sempre più. Ma presto mi resi conto che l’incendio non si era sviluppato al mio interno, ma all’esterno: era Samahel che aveva preso fuoco.


    Edited by Kimihiro - 23/12/2012, 13:51
     
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    nuovo capitolo, però solo su EFP (mi sono rotto di postare qua, è complicato editare poi)
     
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    ehm... siete morti? LOOL
     
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    Eh Bran, hai sbagliato 23 tempi, 5 verbi e 8 pensieri personali, mi dispiace, dovrai rileggere tutto d'accapo una decina di volte...

    ma quella Guvu, non è che poi te la fai ritrovare a Hogwarts?
     
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    no, almeno, spero di no

    stai dicendo sul serio? (intendo gli errori)
     
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    no non é il mio forte trovare errori, a dire il vero ho capito poco di quello che ti aveva segnalato basil
     
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    infatti, asd
    posso capire una decina di errori, ma 23...
    sarei una schiappa
     
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    mi concedo un RIP
     
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    no, nessun RIP, scrivo ancora... solo che non è estate e mi ci vuole tempo

    beccatevi sto capitolo e please, segnalate tutti gli errori che trovate, da sintassi, a grammatica ad errori di coerenza
    *link nel primo topic*

    Edited by Kimihiro - 23/12/2012, 13:52
     
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    ora è estate, infatti mi ci sono rimesso
    un altro capitolo è OUT, e un altro ancora è in dirittura d'arrivo, so che non mi segue nessuno
    ma può esserci qualche lurker che ne so
     
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    Niu Chapta!!
     
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