La Terra dei Demoni

V-VI°-VII° Evento del GDR di TAM

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  1. Glustrod
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    Così Deve Essere

    Th00yC7



    Folgori scarlatte incendiavano i cieli sopra l’Isola della Luna. Ad ogni lampo, i mari in tempesta si tingevano di una luce sanguigna e collerica, che sembrava volesse ghermire e squarciare tutto ciò su cui era possibile posare lo sguardo. Un vento chiassoso gli graffiava il viso, sospingendo fuori quota la creatura d’inchiostro sulla quale stava volando. Tuttavia, tutti quei tumulti non erano per lui che piacevoli carezze su una pelle avida di sensazioni che non provava da molto, moltissimo tempo. Seduto a gambe incrociate sul dorso del suo gufo gigante, reggeva tra le mani un quaderno di pelle nera, di cui l’intera copertina era dipinta in un ricercato motivo composto da piume di pavone verdi e dorate. Chiuse gli occhi per ascoltare i segreti che il vento gli sussurrava tra i capelli scarmigliati.
    Sorrise, dando una sbirciata accanto a sé con la coda dell’occhio.
    "Qualcosa non va, mio giovane amico?"
    Rannicchiato a fianco a lui, un ragazzo umano faceva del suo meglio per restare aggrappato al volatile d’inchiostro e si ancorava alle sue piume disegnate, il ventre schiacciato contro la schiena dell’essere. Aveva lunghi capelli corvini sbatacchiati dal vento, che teneva legati in una coda che cominciava dalla base del collo. Dal bavero della giacca sporgeva una collana battuta dal vento; anche se in quel momento non riusciva a vederla chiaramente, sapeva che il pendente raffigurava una mano aperta, con le prime tre dita sollevate ed un occhio spalancato disegnato all’interno del palmo. Il simbolo dell’Ordine dell’Eclissi.
    "P-Per niente, mio signore!"
    Rispose il giovane, alzando la voce per farsi sentire al di sopra delle folate.
    "Resto a vostra completa disposizione!"
    Il demone sollevò una mano davanti al viso, osservandone le dita affusolate ed artigliate come se le vedesse per la prima volta.
    "Lo trovo… stupefacente."
    "C-Che cosa, mio signore?"
    "Questo… Chakra, come lo chiamate voi."
    Rispose lui, ruotando la mano per ammirarne ogni sfaccettatura. "Lo sento scorrere nelle mie vene. Guizzare dal profondo del mio cuore fino alla punta delle dita. È meraviglioso."
    Una folata di vento fece mollare la presa al ragazzo. Lo afferrò al volo senza sforzo, prima che sparisse nel buio e precipitasse nel vuoto.
    "Su, su, è solo un po’ di vento. Non manca molto ormai."
    Scesero in picchiata, fiancheggiando il versante di un’enorme montagna. Sorvolarono quelle che parevano due gigantesche catene, formate da anelli di ferro ciascuno più grande di un uomo adulto, che spuntavano dalle nuvole nelle quali era immersa la cima del monte. Si estendevano fino a terra, perdendosi tra le ombre e gli oblunghi profili degli alberi a valle. Il demone le trovò una curiosa costruzione, di cui però gli sfuggiva l’utilità pratica. Quale scopo potevano avere dei ceppi di tali dimensioni? Esistevano forse creature di dimensioni inaudite, incatenate sulla sommità della montagna…? Ahilùi, era un interrogativo destinato ad un altro giorno.
    Atterrarono sul tronco di un albero caduto, che poggiava su un enorme masso dalla forma stiracchiata, il quale emergeva dalla montagna come un dito teso verso le stelle. Mentre il compagno balzava giù dal gufo con una rapidità che tradiva il suo bisogno di poggiare di nuovo i piedi a terra, il demone scivolò dolcemente lungo il fianco della creatura d’inchiostro, in un morbido svolazzo della mantella color neve che gli cingeva le spalle. Le sue babbucce affondarono nel terreno morbido, ancora carico dell’acqua piovuta il giorno prima. Si pettinò i baffi ben curati con la punta di pollice e indice, saggiando l’aria. Avrebbe riconosciuto quell’odore anche dopo millenni.
    "Siamo vicini. Di qua."
    "Vicini a che cosa, signore?"
    Chiese il cultista, affrettandosi al suo fianco. "Se posso chiedere."
    "Al motivo del nostro viaggio. Un fratello perduto."

    Si inerpicarono in un percorso segreto tra gli alberi appuntiti, guidati dalle percezioni extrasensoriali del demone. Al suo passaggio i piccoli animali che abitavano la foresta si allontanavano allarmati, turbati da ciò che il suo aspetto inoffensivo custodiva sotto la superficie. Lui si rammaricò del timore che incuteva in tali semplici creature. Era un peccato.
    "La vostra specie è davvero curiosa" Disse infine, superando un albero squarciato in due da qualcosa che lo aveva colpito dall’alto, come il colpo di un’enorme ascia. Un fulmine caduto dal cielo, probabilmente. Un altro dei doni di Arashimo all’Isola della Luna.
    "Mio signore…?"
    "Dalle cronache che ho potuto raccogliere in questi mesi, avete passato gli ultimi secoli a guerreggiare tra voi, sempre alla ricerca di un modo per prevalere l’uno sull’altro, spartendovi con il sangue sempre lo stesso, vecchio lembo di terra. Sembra quasi che la prima guerra dei demoni non vi abbia insegnato niente. Mi aspettavo qualcosa di più da voi, sono sincero. Avevate un così grande potenziale…"
    "È per questo che aspettavamo con ansia il vostro ritorno, sire."
    Rispose il giovane con un inchino deferente. "Per porre fine a questo mondo di sofferenza, e forgiarlo di nuovo nelle fiamme demoniache del Mouryou. Per farci guidare da lui al Paradiso Nero."
    Il demone strinse al petto il quaderno di pelle. "Il Paradiso Nero, sì…" Sospirò. "Tutto questo mi rattrista molto. Bisognerebbe trarre insegnamento dal passato, o saremo condannati a ripetere sempre gli stessi errori, tutti quanti".
    "Sono certo che il Padre ci illuminerà la via con il suo fuoco oscuro. Non è così, mio signore?"
    Aggiunse l’altro, cogliendo nel suo silenzio l’ombra dell’esitazione.
    Lui spostò lo sguardo sul sentiero invisibile che lo guidava attraverso la foresta. Restò in silenzio per qualche secondo, procedendo tra gli alberi con passo sicuro.
    "Parlami ancora del vostro Chakra. L’ultima volta che ho camminato su queste terre non esisteva niente del genere. Ora invece permea il terreno come se un oceano di quest’energia meravigliosa avesse allagato l’intero continente. Da dove viene? Qual è la sua origine…?"
    Il cultista si torse le mani, nervoso. "Una domanda che solleva molti interrogativi, degna dello Scriba Demoniaco. Ma io… temo di non saperlo, mio signore. Tutti quanti hanno il Chakra. Ci nasciamo e basta."
    "Ah, è così?"
    Rispose lo Scriba, abbassando lo sguardo malinconico ai suoi piedi. "È un peccato. Avrei voluto indagare questo mistero più a fondo, ma… il dovere ci chiama."
    Si era fermato davanti ad un corpo in decomposizione, ormai ridotto a poco più che uno scheletro. Gran parte del braccio sinistro era mancante, sostituita da una protesi tecno-organica, composta da una lega metallica sconosciuta e parti che parevano muscoli ancora debolmente pulsanti. Il demone ripose il quaderno in una tasca interna della mantella.
    Oh, come sei caduto in basso, fratello. Guarda dove ti ha condotto la tua cupidigia.
    Mentre si chinava a raccogliere il braccio meccanico, il suo compagno lo guardava in piena estasi religiosa.
    "È-È quello che penso, signore? Un altro Frammento perduto che torna a noi, sotto la benedizione del Padre…?"
    "Lo è, amico mio. E mi rincresce molto".
    "Per che cosa, mio signore? Io non—"

    Lo Scriba tramutò il braccio libero in una lama composta da affilatissimi fogli di carta. Lo fece guizzare verso l’alto e, con un unico fluido movimento, mozzò il braccio sinistro del giovane all’altezza del bicipite. Un fiotto di sangue gli macchiò la cappa immacolata. Alcuni schizzi arrivarono a bagnargli le labbra, riempiendogli la bocca di un sapore metallico che aveva quasi dimenticato. Le orecchie piene delle grida del ragazzo, premette con forza la protesi contro il moncherino sanguinolento; dal Frammento Demoniaco emersero degli uncini che artigliarono la spalla del cultista, affondando nella carne in profondità. Il corpo del giovane tremò, in preda a spasmi che gli fecero ribaltare gli occhi all’indietro, le membra irrigidite oltre ogni umana possibilità. Le unghie delle mani si allungarono, divenendo artigli, così come i canini si fecero più lunghi ed appuntiti. I lunghi capelli si tinsero di un verde brillante. Quando riaprì gli occhi, iridi dorate circondavano pupille verticali, come quelle di un rettile. Del ragazzo che lo aveva accompagnato in quel viaggio non c’era più traccia.
    Il demone risorto afferrò con forza lo Scriba per la mantella, ansimando con sguardo spiritato ed occhi iniettati di sangue.
    "Kyorin…!"
    Lui non si scompose. "Bentornato, fratello. Spero che questo recipiente sia di tuo gradimento. Ho faticato molto per trovarne uno che incontrasse i tuoi gusti."
    L’altro lo strinse più forte, avvicinando il viso ad un palmo dal suo.
    "DOV’È!?"
    "Temo dovrai essere più preciso di così, Kamaitachi. Dov’è cosa?"
    "Quel lurido Shinobi da quattro soldi che ha rapito nostra sorella, ecco chi!"
    Rispose il Demone delle Falci di Vento, storcendo il viso in una maschera carica d’odio. "Yusuke Uchiha."
    Nel pronunciare quel nome, sputò a terra.
    "Oh, fratello, spero che tu sia presente quando metterò le mani su quel sudicio, piccolo umano. Non vorrai perderti ciò che gli farò prima di ammazzarlo, credimi! Ti piacerà. Lo ridurrò a pezzettini così piccoli che Baku non potrà fare altro che supplicarmi di tornare da noi!" Allentò la presa sullo Scriba, ricreando un po’ di distanza tra loro. Si sciolse i lunghissimi capelli, sospingendoli all’indietro con entrambe le mani. "Perché così deve essere."
    "Così deve essere." Gli fece eco Kyorin, con un velo di tristezza che gli attraversava gli occhi dorati.
     
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