Casa Maemi Takahashi

Periferia di Kirigakure no Sato

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    Frammenti di Memoria
    Accademia di Kirigakure no Sato



    «Smettila di agitarti... guarda che la frangetta non si sistema mica da sola».
    Reiko era curva su di lei, le mani che la parevano spulciarla un po' ovunque, gli occhi attenti e ansiosi che scattavano da una parte all'altra nella ricerca di difetti, imperfezioni, ritocchi da fare all'ultimo minuto. Maemi la stava lasciando fare, ma le guance gonfie e le sopracciglia infossate all'ingiù la dicevano lunga sulla sua irritazione.
    «Ecco il bento».
    Maemi lo prese dalle mani della madre per infilarselo in borsa.
    «Mi raccomando, tieni a bada la lingua, almeno con gli insegnanti. Le prime impressioni sono importanti».
    «Se la caverà, tesoro!» arrivò dalla cucina la voce di otto-san.
    Sulla faccia della moglie balenò una nota di disappunto, come se non concordasse. Infine sospirò, facendole cenno di andare. «Che qualche kami ce la mandi buona. Buona fortuna, figlia mia».
    Maemi fece roteare gli occhi. "Era l'ora" si disse, rimuovendo le pantofole per infilarsi i sandali. «Ittekimasu!».

    ***


    Quasi mezz'ora dopo, e Maemi aveva già preso posto su uno dei tanti banchi dell'aula 20/B; erano disposti a gradoni e suddivisi in tre frange come un anfiteatro, dove il palcoscenico era composto invece da una cattedra che dava le spalle ad una lavagna sporca. Incredibilmente, la ragazzina dai capelli scarlatti non era stata la prima ad arrivare: moltissimi altri bambini, spesso accompagnati dai genitori, avevano formato una specie di ingorgo all'entrata, e Maemi si era dovuta fare largo a spintoni per riuscire prima a passare, e poi a trovare la sua classe. Vedendo i suoi compagni di scuola mano per la mano con i propri genitori, alcuni che si facevano foto all'entrata per commemorare il primo giorno di scuola, si sentì vagamente in colpa; aveva insistito lei stessa per non farsi accompagnare, credendo di essere l'unica e facendo dunque la figura della mammona. E invece, ora si ritrovava con la sensazione opposta: l'essere lì da sola in mezzo a famiglie festanti le provocava un iniziale senso di disagio.
    Così si era affrettata a ritagliarsi un angolo isolato della classe: a metà altezza, aveva poggiato la borsa con i libri sul banco vicino alla finestra. Gli occhi scivolarono sul davanzale interno al suo fianco, tutto impolverato, e per un attimo si chiese perché diamine un'accademia tanto importante dovesse avere quell'aspetto... di vecchio. Non sapeva in che altro modo definire la struttura che pareva essere lì da una vita. Poggiò una mano sotto il ripiano, e sentì delle righe frastagliate e irregolare sotto i polpastrelli. A quanto pare, alcuni banchi oltre ad essere stati segnati da penna e graffi, erano persino stati rigati da qualcosa di appuntito. Tipo un coltello, oppure... come si chiamava il pugnale degli shinobi? Ah, sì, kunai. Probabilmente qualche allievo delinquente si era divertito a incidere il proprio banco, così, preso dalla noia tra una lezione e l'altra. Va bene che l'Accademia era una struttura antichissima e legata alle tradizioni, ma per l'amor del cielo... una rinnovava gliela si poteva anche dare.
    La classe si era già quasi riempita del tutto quando Maemi dovette cimentarsi nella sua prima interazione sociale, precisamente quando un piccolo colpo di tosse attirò la sua attenzione verso il corridoio tra una sezione di banchi e l'altro. Una bambina aveva deciso di sedersi affianco a lei, poggiando la propria borsa dietro la sedia. Aveva un'orribile capigliatura: un caschetto gonfio che pareva deformarle la testa, con ciocche di un brillante color nero che le inquadravano il viso rimuovendo dei tratti dolci e altrimenti carini. Era leggermente paffutella, con un paio di occhi verde spento dietro a una spessa montatura nera. Una pesante sciarpa al collo che le copriva quasi interamente la bocca, mentre il maglione largo riusciva a malapena a nascondere le mani tremolanti. Maemi si fissò soprattutto su di loro, sbattendo più volte le palpebre nel vederle torturarsi tra loro e contorcersi come se non riuscissero a stare fermi.
    Quando, senza un motivo preciso, il suo sguardo si alzò in su, beccò gli occhietti verdi della compagna guizzare via da lei. Maemi non distolse lo sguardo: dopo qualche attimo, ritrovò quegli stessi occhietti tentare di darle un'altra sbirciatina, come se volesse osservarla per capire come approcciarsi al meglio.
    "Cosa aveva detto la mamma?" si chiese lei, dubbiosa. "Cercare di farmi amici... mmm"
    Purtroppo per lei, le bravura di Maemi nel fare amicizie era al pari di una banana. In vita sua aveva avuto solo un amico, con cui tra l'altro era cresciuta assieme, e dovendosi sempre spostare di città in città non aveva senso trovare altre persone con cui stringere amicizia. Aveva Takeru, e comandarlo a bacchetta era sempre stato sufficiente per lei. Fece un respiro profondo: era chiaro che la compagna sembrava troppo a disagio per fare il primo passo. "E allora... buttiamoci".
    «Ehm... ciao» iniziò lei, sentendo un disagio a lei estraneo, almeno quanto lo era quella situazione del tutto nuova. Allungò una mano per porgergliela. «Mi chiamo Maemi Takahashi. Saremo in classe assieme...?»
    Il resto delle parole si perse in un risucchio improvviso. "Ma certo che saremo in classe insieme, che domanda stupida..."
    La ragazzina bruttina, tuttavia, non parve nemmeno accorgersi della gaffe di Maemi. Anzi, il suo volto si illuminò, facendo venire il dubbio che sperasse proprio in quella uscita. «Oh, sì, sì!» esclamò, stringendo la mano e scuotendola forte. «Io mi chiamo Nariko! Nariko Okada. Ti dispiace se mi sono messa qui?»
    «No, affatto...»
    Nariko gettò un'occhiata ai banchi più dietro. «Quelli lì mi danno l'impressione che si conoscano già... ho preferito stargli alla larga»
    Maemi seguì gli occhi della compagna, notando una manciata di bambini che parevano stringersi attorno in un cerchio, una sorta di branco già stabilito. Sorridevano e ridevano tutti, e alla bambina dai capelli scarlatti sembrò che stessero proprio lanciando occhiate alle prede da cacciare. Prendendo un respiro secco, Maemi decise finalmente di distogliere lo sguardo. «Anche io» mormorò, incerta se aggiungere altro.
    Ci furono diversi attimi di silenzio, rotti solo dal tamburellare delle dita di Maemi sul banco. Poi, come un piccolo salvatore, dalla porta scorrevole uscì un ninja: era alto il giusto, carnagione scura e corti capelli neri, taglio militare. Indossava una tuta nera con sopra un gilet. Quando lo vide, il cuore della bambina fece un salto: riconosceva l'indumento tipico dei ninja, e per qualche motivo vederlo addosso al proprio maestro le diede un effetto esaltante.
    «Seduti, seduti!» fu la prima cosa che disse, e in un attimo il gruppetto di belve si dispersero come un fiume, allagando l'aula per prendere i posti migliori. Il nuovo arrivato si schiarì la gola. «Bene. Vi do il benvenuto all'Accademia Ninja, il posto in cui imparerete le basi per diventare dei veri Shinobi, forse senza morire. Mi presento: io sono Ebizo-sensei e vi accompagnerò per tutto il vostro percorso».
    Nell'aula si diffuse un mormorio che sembrava: «Hajime mashite».
    «Direi di iniziare facendo l'appello» annunciò allora Ebizo-sensei, abbassando gli occhi su una cartellina che si era portato con sé. «Satorou Kimura».
    Un ragazzo che occupava il banco dietro Maemi si alzò di scatto. «Presente!»
    «Hiroshi Kaji».
    «Presente».
    «Hitomi Yuki».
    «Presente!»
    Gli occhi di Maemi scattavano da una persona all'altra, scrutando con attenzione i suoi nuovi compagni. La maggior parte sembrava abbastanza tranquilla, gli sguardi sicuri di sé e bocche piene di sorrisi; e poi c'era Nariko, la cui faccia era diventata bianca e le mani si tormentavano all'idea di dover parlare davanti ad un pubblico.
    «Nariko Okada».
    Un sussulto sulla destra di Maemi, poi un piccolo frastuono quando Nariko scattò in piedi, sballottando banco e sedia. «Presente!» esclamò, con voce un po' troppo squillante. Ci furono dei risolini che si spensero in breve tempo; gli occhi sgranati di Maemi mulinarono da una parte all'altra dell'aula, notando con crescente orrore che tutti stavano guardando dalla sua parte.
    Ebizo-sensei si schiarì ancora una volta la gola. «Torna pure a sederti, Nariko. Possibilmente senza fare una baraonda».
    Altri risolini. Nariko si rimise seduta lentamente, gli occhi bassi.
    «Maemi Takahashi».
    La testa della ragazza scattò all'insù. Alzò leggermente il braccio per farsi notare. «Presente».
    L'appello proseguì senza intoppi. «Bene» terminò il maestro, abbassando la cartellina e poggiandola sulla scrivania. «Ora iniziamo la lezione».

    ***


    La campanella suonò, segnalando la fine del primo giorno di scuola. Maemi fece uno sbuffo e richiuse il libro. Indugiò un attimo sulla copertina e sul titolo, ricordando le parole eloquenti di Ebizo-sensei che le avevano infuso una scarica di entusiasmo. Che esseri straordinari che erano gli shinobi! E lei già fantasticava di quando sarebbe diventata una kunoichi straordinaria, una di quelle che avrebbe compiuto imprese tanto colorite da poter esistere solo nella sua immaginazione infantile.
    Mentre stava iniziando a riporre il libro nella borsa, una voce femminile richiamò l'attenzione sulla sua destra. «Scusami. Sei tu Nariko?»
    Le teste di entrambe le bambine - Maemi e Nariko - scattarono verso la fonte della voce: era una ragazzina con dei bellissimi capelli biondi, gli occhi di ghiaccio e una faccia ovale e leggermente allungata. Dietro di sé, vicinissima, c'era un'altra ragazza con i capelli marroni raccolti in due codine laterali; dietro di loro, una marmaglia di ragazzini si era riunita come se volessero assistere ad uno spettacolo gratis.
    «Ehm, sì?» fece Nariko, mostrando un po' di innocenza e un po' di timidezza.
    «Volevamo dirti che sei proprio forte!» esclamò la compagna che le stava dietro, quella con le due codine. «Spostare tutto il banco come hai fatto tu non è cosa da niente». La squadrò per un attimo, prima di inclinare leggermente la testa. «Ma perché sei tutta coperta? Nascondi qualcosa?»
    «Be', qualche chilo di troppo lo nasconde di sicuro».
    Ci fu un risolino da parte di tutti. Nariko, invece, non rispose.
    Maemi intanto cercava di risistemare velocemente i libri dentro la cartella, gli occhi bassi, sperando di fare come un camaleonte e passare inosservata. Perché lei non era un'eroina che difendeva i più deboli; anzi, da quel genere di situazioni voleva tenersene per bene alla larga, perché sapeva che l'essere anche solo associata ad un piccolo disastro come Nariko le avrebbe costato la reputazione in classe.
    Ma la sua fortuna quel giorno l'aveva abbandonata; proprio quando era sul punto di alzarsi, gli occhi di Hitomi si spostarono su di lei. «Ehi, ehi!» esclamò, mettendosi davanti alla fessura tra un banco e l'altro, bloccando il passaggio. «E tu? Sei amica sua?»
    Gli occhi di Maemi lanciarono una velocissima occhiata in direzione di Nariko, che però aveva la testa bassa. «No, ci siamo sedute assieme per caso» rispose con nonchalance, alzandosi e facendo cenno al passaggio ostruito. «Puoi spostarti ora?»
    La ragazzina fece finta di non sentirla. «Come ti chiami?»
    «Maemi Takahashi» ribatté lei, gli occhi che quella volta si concentrarono sul gruppetto alle spalle della compagna, scattando da una persona all'altra. Erano... quanti? Lei ne contò cinque. Male.
    Come a seguire il suo sguardo, anche l'odiosa ragazzina lanciò uno sguardo verso di loro, esprimendo un sorriso divertito. «Ah, piacere Maemi. Io sono Hitomi Yuki, anche se dubito che il mio nome ti dica qualcosa» rispose lei, prima di far scivolare lentamente lo sguardo fino alla borsa a tracolla. La indicò. «Che carina, l'hai trovata in un cesto della spazzatura?»
    Maemi si strinse l'oggetto forte tra le dita, mentre gli spettatori, con gli occhi tutti puntati su di lei, si lasciarono andare in piccole risate contenute. «Ti sposti?» chiese di nuovo, questa volta con ferocia.
    Il tono non sembrò intimidire la Yuki. Al contrario, parve farla divertire ancora di più. Gonfiò il petto, guardandola dall'alto in basso. «Altrimenti?»
    Tra le due sembrò essere calato un silenzio glaciale; Maemi strinse la tracolla della borsa con una tale forza da far sbiancare le nocche. Gli occhi blu fissavano con disprezzo quelli ghiacciati della compagna, che ricambiava lo sguardo con una sfacciataggine che aveva del fastidioso. Per un attimo sembrò che il tempo si fosse fermato, ed entrambe le bambine impegnate a dar battaglia di sguardi...
    Poi, si udì il rumore della porta che scorreva per aprirsi, e dalla fessura fece capolino la testa di Ebizo-sensei. «Ehi, voi» li ammonì con tono severo. «La lezione è finita da un po'. Spicciatevi ad uscire!»
    Sul volto della Yuki balenò un'espressione scocciata, ma distolse finalmente lo sguardo d Maemi. Fece un paio di passi indietro, liberando il passaggio. «Arriviamo, sensei!» esclamò civettuola, scendendo le scale seguita dal suo gruppetto. Alcuni la superarono, fiondandosi fuori dalla porta. La Yuki scomparve finalmente oltre l'uscio, per poi avere un ripensamento e affacciarsi nuovamente oltre i pannelli. Puntò il suo sguardo su entrambe le ragazze, negli occhi una lucina divertita e maliziosa. «A domani, ragazze!» le salutò, agitando energicamente la mano. Infine, sparì definitivamente oltre la porta.

    Edited by Skipio - 15/6/2021, 18:20
     
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    «Parlato Maemi» - "Pensato Maemi" - «Parlato Nariko» - «Parlato Ebizo sensei» - «Parlato Hitomi» - «Parlato Ayano» - «Parlato Altri»



    Illusione Demoniaca
    Post d'Apprendimento Sp.Jounin



    «Ridammela!»
    La bambina di nove anni aveva la faccia rossa di rabbia: si stava sbracciando per cercare di riprendersi la borsa, sottratta a tradimento da una compagna di classe che di nome faceva Hitomi. Questa era più alta, e facendo ciondolare in alto la borsa si assicurava che la compagna non ci arrivasse mai. Doveva essere un bello spettacolo vedere come cercava di sbracciarsi per l'oggetto, dato che ad ogni scatto le suscitava un risolino. Tutt'attorno a loro, appena fuori la recinzione di proprietà accademica, c'era una marmaglia di studenti che avevano appena terminato le proprie lezioni.
    «Guardatela!» rise Hitomi, sempre con la borsa di Maemi in mano. «Sembra una scimmia con la banana! Una scimmia con la testa di pomodoro!»
    Altre risate. La faccia di Maemi era in fiamme, sentendo montare la frustrazione. Decise di lasciar perdere la borsa e gettarsi direttamente contro la compagna, pronta a menar di mani, ma la Yuki la evitò con uno scatto e, sovrapponendo il piede, la fece inciampare. Maemi incespicò e poi cadde a terra, i gomiti e parte del polso che le attutirono il colpo procurandosi però delle dolorose escoriazioni. Le risate sopra di lei aumentarono di intensità. La ragazzina non fece tempo a rialzarsi che tutto il contenuto della borsa a tracolla le si riversò in testa: un fiume di libri, fogli, quaderni e cancelleria rimbalzarono di qua e di là, mentre Maemi si proteggeva la testa in attesa che finisse. Le risate non smisero nemmeno dopo che Hitomi si fu allontanata, lasciando una Maemi scossa per terra in mezzo al casino.



    Era all'uscita di scuola, appena varcato il cancello, quando qualcuno la prese per i capelli e la tirò indietro, facendola cadere di culo.
    Maemi serrò gli occhi, e quando li riaprì si ritrovò il faccione di Ayano che la squadrava dall'alto. Aveva un sorriso che arrivava da un'orecchio all'altro. «Annaffiamola un po'!» esclamò, e con uno scatto versò l'acqua della propria bottiglietta direttamente in faccia a Maemi, che ricevette il getto tanto forte da farle male al pari di uno schiaffo. «Sia mai che domani ci ritroviamo un bel pomodoro maturo!»
    Maemi si gelò sul posto; cercò di muoversi, ma era come se l'acqua fredda sul viso l'avesse congelata, impedendole di muovere un muscolo. Attorno a sé, qualcuno fece un risolino, iniziando a puntarla. «Cos'è, te la sei fatta addosso?»



    Maemi tirava calci e pugni, cercando di divincolarsi, ma provocando solo delle risate divertite sopra di sé. Due paia di mani l'avevano afferrata per i capelli, trascinandola verso il retro della scuola. C'erano una fila di cassonetti da un lato e puzzava come tutti i luoghi dove si concentrava la spazzatura di un intero edificio. Senza smettere di ridere, le mani che tenevano Maemi la spinsero dentro uno di questi cassonetti grandi il doppio di lei; cercò di appigliarsi a qualsiasi cosa pur di resistere. Intravedeva, dentro lo schifo in cui la stavano spingevano, pezzi di metallo derivati da kunai e shuriken danneggiati e sbeccati, ma ancora taglienti. Gli unici pensieri che Maemi riusciva a formulare erano: "Io lì dentro non ci entro! Non ci entro!"
    Ma quelle che la tenevano sembravano delle mani di acciaio, e la sua presa cedette nel giro di poco. Con un tonfo, la ragazzina dai capelli rossi atterrò su un letto di schifezze ammuffite e schegge metalliche che la punsero come spilli. I suoi occhi blu si levarono in alto, infuocati come carboni ardenti, e trovò le facce di Ayano e Hitomi piegate in ghigni malvagi.
    Le mani tremarono. «Fate pure!» strillò, prendendo un frammento di shuriken per lanciarglielo addosso in uno scatto irato. «Questo non cambierà che sono stata più brava di voi!»
    Una piccola rivincita. Il ghignetto di Hitmo tremolò, per poi essere sostituito da uno sguardo irato. «Sai che ce ne importa!» ringhiò, prima di chiudere il coperchio e lasciarla rinchiusa nell'oscurità. Perché a due come loro doveva importare che lei aveva fatto un perfetto lancio di shuriken, centrando il bersaglio, e loro ancora no?

    ❋❋❋


    La classe 20/B del triennio che frequentò Maemi si rivelò essere particolarmente problematica. Purtroppo conteneva una serie di individui meschini, prepotenti e leali solo tra di loro, consapevoli di avere tutti gli strumenti per spadroneggiare e disposti ad usarli senza scrupoli. Ognuno di loro derivava da famiglie notoriamente shinobi, avendo già una buona base sull'addomesticamento del Chakra, o del maneggiare una spada o ancora su come si combatteva a mani nude. C'era persino chi apparteneva ad uno dei più importanti e conosciuti Clan del Villaggio, e faceva di tutto per ostentare il suo nobile lignaggio con un ghigno gongolante. Fecero in fretta ad individuare chi doveva stare sotto di loro, e senza incorrere ad eccessive resistenze divennero i padroni incontrastati della classe.
    Dicevano che era loro dovere morale ripulire l'Accademia da nullità senza radici ninja, potenziali shinobi che sul campo di battaglia sarebbero state le ultime ruote del carro, nonché i primi a morire. In verità, com'era chiaro a tutti, semplicemente ci prendevano gusto. Nessuno fece molto per fermarli, nemmeno i maestri stessi si presero la briga di intervenire seriamente: a loro sembrava un ottimo modo per "far fare le ossa" ai più deboli, per mettere alla prova chi avesse la stoffa di diventare uno shinobi. Nel corso dei successivi due anni, quasi un quarto della classe si ritirò dall'Accademia.
    Maemi era stata, fin dal principio, una dei loro bersagli preferiti. Perché? Be'... perché era sostanzialmente cocciuta. «Non devi reagire!» la supplicava spesso Nariko, aggrappandosi ad un braccio. «Non capisci che le fai solo divertire?»
    Come se fosse quello il problema, pensava stizzita. Per Maemi non c'era nulla di particolare nel modo in cui si divertivano Hitomi e Ayano, nulla di fondamentalmente scorretto. Dopotutto, lei stessa in passato aveva rubato, fatto a botte, mentito e preso in giro ragazzini più piccoli o più fragili, anche solo per divertimento. Sarebbe stata ipocrita da parte sua gridare all'ingiustizia. Per come l'aveva sempre visto lei, il mondo si divideva in prede e cacciatori: o soccombevi da preda, o diventavi il cacciatore. Era tutta una questione di volontà.
    Ed era questa la fonte di tutta sua rabbia e frustrazione: non riusciva scrollarsi di dosso la verità che, questa volta, ad essere dalla parte debole era proprio lei, e la sua fervida volontà non aveva ancora ribaltato la situazione. C'era da dire che questo non la esimeva dal provarci, ogni santa volta; e più passava il tempo, più il suo corpo si fortificava per somigliare a quello di una vera kunoichi, più loro si sentivano minacciate e di conseguenza ci andavano giù pesante. I suoi genitori non sapevano nulla, e a parte qualche sbuffo e commento inacidito, Reiko e Yoshito non sembravano sospettare nulla. Ma era proprio questa sensazione di sentirsi l'asino in balia del frustino ad aver spinto Maemi a concentrarsi con smania sugli studi e sull'addestramento, facendola in breve tempo svettare in cima alla graduatoria per le principali materie scolastiche. Il suo tallone d'Achille rimaneva il combattimento corpo a corpo, in Ayano e Hitomi la mettevano sempre, non ufficialmente, alla prova.
    La goccia che fece traboccare il vaso accadde verso la fine del suo secondo anno di scuola. Era stata una giornata scolastica iniziata bene e terminata anche meglio, donando a Maemi un'enorme soddisfazione: era riuscita prima di Ayano a perfezionare una tecnica complessa in un programma dove ognuno aveva lavorato per conto proprio, senza aiuti esterni. E la undicenne dai capelli scarlatti aveva eseguito una più che discreta Tecnica dello Shuriken Ombra.
    Ma, se di per sé quello sarebbe risultato già umiliante di suo per le due apprendiste, che tanto si vantavano essere migliori degli altri, l'azione di Maemi che ne era seguita era stata anche peggio: mettersi in mostra, sminuendo il tentativo mal riuscito di Ayano di fronte a tutta la classe. Per loro quella era una vera provocazione; in sostanza, cercava rogne.
    La ragazzina non le aveva viste: all'uscita, dopo aver raccattato la sua roba ed essersi fiondata fuori insieme ai suoi compagni, sentì una manona afferrarla per il dietro del collo, le dita che si chiudevano attorno all'attaccatura dei capelli. Venne trascinata indietro, e dall'alto sbucò il faccione di Hitomi che torreggiava sopra di lei. «Cu-cu, testa di pomodoro» la salutò con un sibilo. «Non credere che mi sia dimenticata di quello che è successo. Pensavi davvero di passarla liscia?»
    «No» rispose Maemi tra i denti serrati.
    I suoi occhi ghiacciati brillano di rabbia. «Allora un pizzico di scaltrezza animale ti è rimasta, non l'avrei mai detto. Meglio così. Adesso pregami di perdonarti».
    La ragazzina tirò nel tentativo di divincolarsi dalla presa, facendo un passo indietro. Hitomi allora le afferrò la treccia, fissandola con gli occhi colmi di rabbia e un ghigno spaventoso. Poi aprì la mano di colpo, facendola barcollare e mandando ciocche scarlatte a fluttuare nell'aria. Con la coda dell'occhio, Maemi notò Nariko vicino al cancello, insieme a Satorou; la stava fissando implorante come se fosse lei quella nei guai.
    «Mettiti in ginocchio» le ordinò Hitomi, con un'espressione insopportabilmente compiaciuta. «Pregami. E fallo bene. Dimostra a tutti che ricordi ancora il tuo posto: sotto i miei piedi».
    I loro compagni di classe le guardavano impalati con borse, zaini e le katane di addestramento in mano, alcuni con aria d'apprensione, altri che speravano di divertirsi nella disfatta di Maemi. Nessuno sembrava intenzionato a intervenire.
    "Pregarla?" ripeté lei nella sua testa.
    Le partirono, come flash, le varie volte in cui Hitomi si era divertita a fare la prepotente; poi ripensò a Nariko che la implorava di lasciarle stare, di non indispettirle così si sarebbero stufate e l'avrebbero lasciata stare. Pensò allo sguardo sprezzate di Kyo quando le diceva che era un'idiota, che a nessuno importava di quell'insulsa dimostrazione di forza. Che non stava facendo la figura della tosta, ma della stupida.
    Si immaginò di cedere: abbassarsi, sentire il sapore della bile mentre le chiedeva perdono, le risate che ne sarebbero seguite. E scoprì che non poteva farlo. Non ci riusciva.
    Maemi fece un passo indietro, sentendo un brivido attraversarle la schiena; era tremendamente simile alla sensazione di quando si spicca un salto senza vedere la terra sotto i piedi. «Credi di poter continuare ad umiliarmi per sempre?» le uscì prima di potersi fermare. «Be', io credo che tu e la tua amichetta siate delle idiote. Più passa il tempo e più le differenze tra di noi si appiattiscono, più io cresco e più voi vi rimpicciolite. È vero, adesso puoi ancora battermi in uno scontro diretto, ma sappi questo: che ogni volta che mi farai cadere farò in modo che tu perda tutto quello che posso toglierti. Finché non migliorerò, finché non troverò un modo per farti abbassare la testa. Finché...» e prendendo un bel respiro, le rilanciò quello che aveva detto la stessa Hitomi: «Finché non capirai qual è il tuo posto: sotto i miei piedi».
    Silenzio totale. Hitomi fissava Maemi come se non l'avesse mai vista prima; non le aveva mai parlato così. Nessuno le aveva mai parlato così, constatarono i presenti.
    Gli occhi blu marino della di Maemi scattarono ovunque, per poi voltarsi e camminare velocemente verso l'uscita. Sentiva i piedi pesanti come il piombo. Aveva appena umiliato pubblicamente l'essere più odioso e vendicativo della classe, anzi dell'intera scuola, e forse il motivo per cui era ancora tutta intera era che nessuno lì aveva realizzato quello che era successo.
    Ma la fortuna aveva un limite. Hitomi si risvegliò all'improvviso, e nel suo volto divenne paonazzo di una rabbia incontenibile, da far tremare le mani. Quella pezzente si era permessa...?
    Fu un attimo raccogliere un sasso grande quanto il suo palmo, lì vicino al piede, e lanciarglielo contro prima che sorpassasse i cancelli dell'Accademia.
    Maemi avvertì solo l'urlo allarmato di Nariko - «Maemi!» - che la portò a voltarsi. Non fece tempo a vedere niente: un lampo di luce puntinata la colpì in testa, vicino alla tempia, e si ritrovò a terra in una nuvola di confusione. La sagoma del sasso lì di fianco a lei attirò la sua attenzione: era sporco del suo sangue.
    Maemi si tastò a lato della testa: sì, sanguinava. Incredula, si voltò verso Hitomi ad una mezza dozzina di metri da lei; questa si stava già avvicinando a grandi falcate, lo sguardo di chi aveva perso ogni razocinio.
    Le guance di Maemi avvamparono, lei le sentiva bruciare. Le girava la testa. «Ma sei impazzita?! Non puoi farlo...!»
    Un calcio in bocca le impedì di continuare, catapultandola distesa di schiena. Quando riaprì gli occhi, si ritrovò il faccione di Hitomi che la sovrastava, trattenuta da delle braccia che tiravano per allontanarla. Sorprendentemente, era Ayano che tutta allarmata stava cercando di contenere l'amica. «Calma, Hitomi, non esagerare! Il sensei...»
    «Io faccio quello che mi pare!» stava urlando Hitomi, fuori di sé. «Tu non puoi farmi nulla! Nulla!»
    Anche Nariko sembrò comparire all'improvviso al fianco di Maemi, tanto era stata veloce a raggiungerla. «Stai bene?»
    Maemi tremava tutta, gli occhi fissi su Hitomi che veniva trascinata via. Sentiva un rivoletto caldo e bagnato colarle lungo il viso, e il dolore pulsante che nel corso della giornata si sarebbe tramutato in una terribile emicrania. Si accorse in quel momento di non aver capito nulla, che credeva ci fossero delle regole in quel gioco cattivo e infantile, delle linee che non andavano mai oltrepassate. Ma a quanto pare si era sbagliata. Era stata una stupida.
    Per i successivi tre giorni, Maemi non riuscì ad andare a scuola. Il dolore alla testa si era acutito fino a diventare debilitante, facendole venire le vertigini e un senso di nausea che non la volle mollare. Come al solito, si inventò una scusa da usare per non dire ai genitori la verità. Dentro di sé, mentre si rivoltava tra le coperte in preda ai dolori, la ragazzina sentiva una rabbia fumare come mai le era accaduto in vita sua. Non si rimpianse né si pentì delle azioni che l'avevano portata a quel punto: si era spinta fino all'orlo, lo aveva oltrepassato e adesso non rimaneva altro che cadere.
    Il giorno stesso che riuscì a mettere piede in Accademia, Maemi rimase un po' di più come di consueto, ma questa volta non era andata al Dojo. Si era rintanata dentro l'archivio tecniche dell'Accademia, sfilando oltre le varie librerie e scaffali alla ricerca di una nuova tecnica da imparare. E questa volta, cascasse il mondo, sarebbe stato un Genjutsu. Al diavolo quello che diceva Ebizo-sensei, sul fatto che le Illusioni fossero troppo complesse! E le sue tecniche di base, e la clonazione, e la trasformazione, e che due balle... lei voleva qualcosa di orribile, qualcosa di memorabile, che desse a quelle stronzette una lezione che mai avrebbero dimenticato.
    "Questa..." pensò lei, dopo aver spulciato diversi rotoli contenenti nomi di diverse Tecniche. Lesse velocemente il contenuto, per poi sgranare gli occhi. "È perfetta!"
    Si trattava della cosiddetta Illusione Demoniaca, un Genjutsu che avrebbe mostrato alla vittima il suo peggior incubo, lasciandola scossa e distratta. Gli angoli della bocca si alzarono in un sogghigno cattivo: l'immagine del faccino brutto di Hitomi sfregiato dal terrore aveva una dolcezza sublime. Sì... quella era la Tecnica che faceva per lei.

    ❋❋❋


    Nariko si stava agitando, a disagio. «Ma perché proprio io...?»
    «La prossima volta farò io da cavia, non preoccuparti» si affrettò a rassicurarla Maemi, cercando di trattenere un tono seccato.
    Le due ragazzine erano sedute sopra il letto di Nariko, entrambe con le gambe incrociate a chine sulla pergamena aperta e adagiata al letto. A Maemi brillavano gli occhi; Nariko aveva un'espressione dubbiosa. Aveva accettato di aiutare l'amica nell'apprendimento della Tecnica ma, oltre ad ospitarla in casa sua, temeva di non poter contribuire a molto se non come cavia.
    «È una tecnica complessa!».
    «Non più dello Shuriken Ombra o di quel Fuuinjutsu tuo, non ricordo il nome. Eddai, Nariko, tra poco saremo al terzo anno! Questi Jutsu dovremmo saperli mandar giù come acqua!»
    La compagna borbottò qualcosa sommessamente, contrariata, beccandosi un'alzata d'occhi da Maemi. Com'era diventata amica di Nariko, sarebbe stato uno dei misteri più grandi della sua vita. La ragazzina grassottella sembrava aver intuito una certa complicità tra loro, nata dopo la scenata del primo giorno di scuola, complicità che però stava solo nella sua testa. Appena entrata, studiava sempre la disposizione della classe finché non beccava Maemi per sedersi al suo fianco, e la bambina dai capelli scarlatti non era riuscita proprio a scrollarsela di dosso. Finché, dopo qualche commento sprezzante e qualche occhiataccia, non aveva iniziato ad abituarsi a quell'insetto molesto e tondicciotto che la seguiva ovunque andasse. Tempo un paio di mesi ed erano diventate migliori amiche.
    «Qua dice che l'Illusione mostra la tua peggiore paura» lesse la ragazzina dai capelli rossi, puntando il passaggio col dito. «La tua qual è?»
    «Ma è necessario saperlo?» chiese Nariko, allungandosi per leggere anche lei. «E se devi utilizzarlo contro uno sconosciuto che fai? "Per favore, signor assassino, prima di sbudellarmi mi dice qual è la sua peggior paura"? Vuoi mettere?»
    «Da quando sei diventata così saccente? Comunque no, non è necessario, ma almeno i primi tentativi mi faciliterebbe il lavoro».
    Nariko ci pensò un attimo, passandosi una mano sulla bocca. «Mmm... direi i ragni. Anzi, un ragno grosso grosso, e peloso. Penso mi farebbe venire un infarto trovarmelo sul letto al posto tuo».
    "Ma è seria o mi prende in giro?" si chiese un attimo Maemi perplessa, ma senza volersi porre altre domande scosse la testa. «Quanto grande?»
    «Fai quanto un cagnolino».
    La compagna annuì; decise di fare un primo tentativo, giusto per provare. Chiuse gli occhi per concentrarsi: cercò di immaginarsi quel ragno, un coso enorme con gli occhietti liquidi e le zampe grosse come bastoni da passeggio. Cercò di conferirgli un'aura minacciosa, raccapricciante, da creare repulsione. Stampò l'immagine nella testa, così da averla ben chiara anche una volta aperti gli occhi. Iniziò la composizione di Sigilli, lentamente, enunciandoli nella propria testa. «Guarda i Sigilli» le ricordò in un sussurro concentrato.
    «Lo sto facendo».
    "Bene". Maemi sentiva il Chakra confluire nelle vene per concentrarsi sulle mani. Osservò gli occhi di Nariko, aspettandosi e sperando di veder qualcosa; un guizzo di sorpresa, paura, o anche solo un indizio che stesse osservando una cosa che in realtà non esisteva.
    Non vide niente. Dopo un po', gli occhi di Nariko scattarono in su.
    «Niente?»
    «Niente».
    Maemi represse uno sbuffo di delusione. Sapeva che al primo tentativo non ne avrebbe cavato un ragno da un buco, ma un pochino ci aveva sperato...
    «Qui come dice di partire?» si chiese Nariko senza perdersi d'animo, agguantando la pergamena per mettersela sotto al naso.
    «Dice che i Sigilli fanno da vettore» spiegò Maemi, aggiustando un pochino la posizione sul letto. «Tramite loro si attacca il Chakra che viaggia verso il sistema nervoso centrale, il quale porterà poi le immagini fasulle ai cinque sensi. Chi la utilizza dovrebbe accorgersi quando il Chakra è stato turbato, ma non ho capito come»
    «Le Illusioni sono la tipologia di Jutsu più complessa» annuì Nariko, come a volerla rassicurare. «Be', che dici di concentrarci su questo passaggio? Per il momento non starti a preoccupare di immagini, visioni spaventose e robe del genere. Pensa ad attaccare il mio sistema del Chakra per turbarlo, in qualche modo».
    "Sì, ma come?" si chiese la ragazzina, portandosi una mano a mangiucchiarsi un'unghia. Non aveva mai utilizzato il proprio Chakra per andare contro quello di un altro, e non sapeva da dove partire. Secondo alcuni manuali che aveva leggiucchiato sulle Illusioni, il gioco stava tutto nel dosare perfettamente la quantità di Chakra da concentrare sui Sigilli, Chakra che si sarebbe poi trasferito nel sistema circolatorio nemico. "È davvero complesso" si ritrovò a pensare Maemi, rendendosi finalmente conto di quanto difficile sarebbe stato per lei impararlo praticamente da sola. «Faccio qualche tentativo nel dosare il Chakra sulle mani, voglio vedere se riesco a far attecchire qualcosa».
    «Vai. Io intanto vado a prendere dei biscotti e qualcosa da bere. Vuoi un té?»
    «No, grazie».
    Con un cenno, Nariko saltò giù dal letto e sparì oltre la porta di camera sua.
    Maemi fece un respiro profondo, sistemandosi con la schiena dritta e le gambe incrociate e rilassate. Il materasso era abbastanza morbido da farla sprofondare leggermente, ma non dava fastidio. Chiuse gli occhi e unì le mani. Con calma, perché nessuno le correva dietro, iniziò a far confluire l'energia dal proprio sistema circolatorio alle mani. Continuò ad accumularne finché non provò una sorta di solletichio a fior di pelle. Lo mantenne stabile, e piano piano iniziò a sfoltirlo fino a raggiungere la quantità che lei ipotizzava precisa per l'Illusione di Livello D.
    Qualche secondo dopo, la porta si aprì per far entrare Nariko con un pacco di biscotti in mano e una bottiglia di succo di mela sotto braccio. Si risistemò sopra il letto, ma non disse nulla per evitare di disturbarla.
    Ancora con gli occhi chiusi, Maemi disse: «Adesso guarda i Sigilli».
    Li riprovò, questa volta cercando di concentrare subito la quantità corretta di Chakra. Aprì gli occhi, trovando quelli di Nariko incollati alle mani. «Nulla?»
    La compagna scosse la testa, desolata. «Te riuscivi a sentire qualcosa da parte mia?»
    «No...» borbottò Maemi, sentendosi già l'impazienza montare. «Forse ci sto mettendo troppo poco Chakra...»
    «Strano, solitamente tendi a esagerare».
    Era vero, ma in quella situazione non voleva dire nulla. Perché se i Ninjutsu davano comunque una manifestazione visibile, anche se avevi utilizzato troppo o troppo poco Chakra, per le Illusioni non era così facile. Semplicemente non attecchivano, senza alcun indizio sul perché.
    Maemi si rimboccò le maniche e provò a fare altri tentativi; Nariko si mise più comoda, poggiando la schiena sulla tastiera del letto e continuando a sgranocchiare biscotti, creando un rumore fastidioso che ben presto fece saltare i nervi a Maemi. Le intimò di smetterla, e borbottando sommessamente Nariko li mise da parte.
    Dovettero passare circa cinquanta minuti prima di qualche novità. «Sento qualcosa!» esclamò la ragazzina dai capelli rossi, aprendo gli occhi di scatto. Aveva le mani ancora unite a formare l'ultimo Sigillo. «È come... boh, non so... come una sensazione che mi trasmetti. Come quando ti senti elettrizzato e avvicini la mano a qualcosa di metallico, non riesco a spiegarlo bene».
    «Ottimo» fece Nariko senza troppo entusiasmo, fissando un'unghia della mano. Dopo quasi un'ora stava iniziando ad annoiarsi. «Io però continuo a non vedere nulla».
    «Però siamo sulla buona strada» si infervorò la ragazzina, presa da un rinnovato entusiasmo. «Se continuo di questo passo, potrei imparare l'Illusione demoniaca nel tempo di due settimane, un mese ad esagerare».
    Nariko non disse nulla; allungò la mano a pescare un ultimo biscotto, vedendo che l'amica era troppo ben presa per bacchettarla. Per lei, un mese era troppo poco, ma conosceva abbastanza l'amica da non contraddirla per quel che riguardava l'apprendimento.
    Il tempo le avrebbe dato ragione.

    ❋❋❋


    «Dimmi che vedi qualcosa...»
    La voce era un misto tra l'implorante e il frustrato, gli occhi marino di Maemi incollati a quelli dell'amica. Si trovavano ancora una volta in casa di Nariko, a distanza di tre settimane dal loro primo incontro. L'apprendista dai capelli rossi non aveva mai smesso di esercitarsi sull'Illusione Demoniaca, procedendo quando riusciva a sfruttare Nariko come cavia; di miglioramenti ce n'erano stati, ma troppo pochi rispetto a quanto preventivato. La prima parte, che riguardava la misurazione e controllo del Chakra, si era rivelata un problema di dimensioni colossali.
    «Potrei mentirti» azzardò Nariko con ironia. «Te l'avevo detto che era troppo complessa. Non a caso Ebizo-sensei non vuole insegnarci ancora le Illusioni...»
    Maemi la interruppe con uno schiocco della lingua, agitandosi sul posto. Era lì, ferma seduta da due ore; le si era addormentata già una gamba mezz'ora prima, e la bocca si era seccata senza che lei se ne accorgesse. Era il dopo scuola, il sole tramontato, le ragazze già stanche e Maemi col pensiero dell'enorme strigliata che si sarebbe beccata a casa. Sua madre detestava quando si presentava appena prima l'orario di cena, soprattutto se reiterato.
    "Ma perché non riesco a farle vedere nulla?!" sbuffò lei, fermando la sua voglia di dare un pugno al cuscino affianco a sé. "Eppure ormai riesco a sentire il collegamento con il Chakra di Nariko, ora lo sento per bene. Ma come faccio ad alterarlo?"
    Si mordicchiò le labbra; le venne in mente, per qualche motivo, l'utilizzo del Kai, una Tecnica basilare che ormai conosceva come le sue tasche. Il principio base si fondava sul causare uno sconquassamento del proprio Chakra tale che avrebbe interrotto qualsiasi tentativo di manipolazione esterna; poteva usare lo stesso principio, rimodellato, per l'utilizzo delle Illusioni? Alla fine il Kai era fatto apposta per dissolverle, no?
    Tanto valeva farci un tentativo, pensò Maemi richiudendo gli occhi e tornando a concentrarsi sul proprio flusso interno. Due respiri profondi, dopodiché iniziò a incanalare il Chakra verso le mani, che si unirono a formare lentamente i Sigilli. Quando fu pronta li riaprì, e si fissò su Nariko. Sentiva, come ormai era riuscita a fare, il collegamento tra la propria energia e quella dell'amica; sentiva che scorreva placida, normale, come avrebbe dovuto essere. Iniziò allora una sorta di turbolenza nel Chakra concentrato sulle mani, applicandovi ciò che faceva per innescare il Kai. Dopodiché spinse.
    Usò la forza della propria mente affinché quella turbolenza passasse attraverso il collegamento che aveva con Nariko, turbando il suo Chakra senza che lei se ne accorgesse. Era così... tremendamente faticoso, che il tentativo sembrò durare in eterno.
    Ma qualcosa accadde: Nariko parve increspare leggermente le ciglia, come se cercasse di vedere qualcosa al buio. «Aspetta...»
    La sua voce tolse la concentrazione a Maemi, che perse il contatto col Chakra; rilasciò il respiro che non si era nemmeno accorta di star trattenendo, e rilassò di botto la posa irrigidita. «Santo cielo, che purga» commentò la ragazza, sentendosi improvvisamente più stanca.
    «Ho visto qualcosa!» esclamò Nariko, gli occhietti illuminati. La prese di spalle come una mamma che spronava il proprio bambino a non mollare. «Ce l'hai fatta! Ho iniziato a vedere tipo te che venivi ricoperta da qualcosa... come se diventassi sfocata».
    Maemi non commentò, sentendosi in bilico tra l'entusiasmo di essere arrivata ad un punto di svolta e la delusione di aver ottenuto solo un miglioramento mediocre. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, che tremavano leggermente a rilascio della tensione. Aveva sentito la difficoltà nel forzare il proprio Chakra agitato per agitare a sua volta quello di Nariko; era come cercare di domare una carrozza con i cavalli imbizzarriti, sudando sette camicie per tenere la direzione giusta. E sapeva da dove arrivava quella difficoltà: un perfetto controllo del Chakra, che per lei, in quanto semplice Apprendista, non era scontato.
    Serrò il pugno, rialzando lo sguardo verso l'amica, gli occhi colmi di determinazione. «Riproviamo!»
    Doveva essere solo questione di esercizio. Tentare e ritentare centomila volte non l'avevano mai intimidita, dopotutto.
    Passò un altro mese. Sarebbe potuto sembrare tanto - e difatto agli occhi di Maemi lo era - ma purtroppo riuscire a manipolare il Chakra con accuratezza e disciplina era un esercizio a sé stante, che richiedeva molto tempo e concentrazione per una al suo livello. Si mise a fare persino degli esercizi proposti da Nariko - che le avevano insegnato durante il corso per diventare Ninja Medico - che, sebbene ad un primo momento le sembrarono una stupidaggine, col passare delle ore e dei tentativi riconobbe essere fruttuosi. Tempo due settimane, e Maemi era stata in grado di proiettare nella mente dell'amica l'immagine di sé stessa che scompariva nel nulla, prima che l'Illusione tremasse e poi si sciogliesse da sola. Altre due settimane ed era stata in grado di prolungarla ancora un po', arrivando a mostrarle l'immagine di un brutto ragno. Il problema, però, era che Nariko non riusciva ad essere spaventata come avrebbe dovuto.
    «Sì, per l'amor del cielo, è brutto, è orribile, l'hai fatto bene» le diceva, come a volersi scusare con Maemi. «Ma... diciamo che capisco che un'Illusione, e allora non fa così paura».
    Altra frustrazione. Inizialmente Maemi credette che fosse colpa dell'immagine in sé, che mancasse di dettagli che la rendessero realistica; si concentrò ancora di più sull'immagine da imprimere nella mente di Nariko, andando a ricercare modi sempre più coloriti per renderlo raccapricciante, iniziando una piccola ossessione. Si rese conto di star esagerando quando si trovò a fissare gli angoli polverosi della sua classe d'Accademia nella speranza di vedere un ragnetto da cui prendere ispirazione.
    Passò ancora del tempo, in cui però non ci furono dei passi avanti. Era sempre la stessa storia: Maemi era finalmente riuscita a mostrare uno spaventoso ragno, ma non ad ingannare la mente di Nariko che quel ragno fosse vero. Iniziò a scoraggiarsi, sentendo la propria determinazione vacillare. Non aveva mai incontrato un'ostacolo così tosto nell'apprendimento di una Tecnica, tanto più che per questa era da sola. Chiedere aiuto ad Ebizo-sensei era qualcosa che non voleva fare, o che voleva tenere come ultimissima spiaggia. L'avrebbe rimproverata se avesse saputo che stava imparando di testa sua un'Illusione?
    Passato il mese e mezzo di tentativi infruttuosi, in cui la testa di Maemi sbatteva sempre sullo stesso problema, ritenne di aver raggiunto sì l'ultima spiaggia. A fine lezione si trattenne un po' di più in classe, presentandosi alla cattedra del maestro con le mani dietro la schiena che stringevano la pergamena.
    «Volevo approfondire le mie conoscenze teoriche delle Illusioni con l'analisi di una Tecnica» aprì così il discorso, srotolandogliela davanti. «Così per avere più chiaro la differenza nella creazione di Genjutsu rispetto a Ninjutsu e ai vari problemi che può incontrare uno shinobi nell'apprendimento di una e dell'altra...»
    «Non credere di potermi prendere per i fondelli così facilmente, Maemi. So cosa stai facendo».
    Le guance di Maemi divennero del colore dei capelli. «Sono nei guai, sensei?»
    Il maestro si limitò a fissarla; aveva uno sguardo neutro. «Credi di dover essere nei guai?»
    «No».
    Le orbite di Ebizo-sensei si abbassarono sul rotolo aperto, dopodiché lo sollevò per prenderlo in mano. Non le rispose. «C'è un motivo per cui mi sono imposto di non insegnarvi Illusioni, ora men che meno con l'avvicinarsi degli esami di fine anno. Serve un impeccabile controllo del Chakra che non tutti voi avete raggiunto, e inoltre una certa consapevolezza per ricreare al dettaglio qualcosa che in realtà non esiste».
    «Non riesco a incutere la giusta paura» mormorò Maemi sommessamente. Teneva gli occhi bassi, pervasa da una nuova vergogna. «Mi sforzo di proiettare l'immagine più brutta che posso, ma non funziona...»
    «Questa è proprio l'Illusione più sbagliata per fare quello che stai facendo» la interruppe il sensei, senza guardarla ma scorrendo con gli occhi per leggere la Tecnica. «Ciò che devi trasmettere tramite il Chakra non è un'immagine, ma la paura stessa. Devi stimolare i giusti punti del sistema circolatorio per colpire i cinque sensi, in particolare gli occhi, e devi innescare le giuste sensazioni. A quel punto sarà la stessa mente della tua vittima a fare il lavoro per te: non vedi ricercare il controllo, ma creare scompiglio e poi lasciare le briglie».
    Maemi lo fissò, sbattendo più volte le ciglia. Giusto... perché non ci aveva pensato prima? Si era fissata così tanto con l'idea del ragno da dimenticarsi il fulcro vero dell'Illusione: la paura. Qualcosa che facesse presa anche nella mente dei più completi sconosciuti.
    Il giorno dopo era a casa di Nariko, ricaricata di nuova energia. «Adesso ce la faccio» continuava a ripetere, mentre si fiondava sopra il letto e si rimetteva in posizione. «Vedrai, mi ci gioco quello che vuoi».
    «Ma cosa...?»
    Non la fece terminare. Maemi riiniziò il processo da capo, chiudendo gli occhi per massimizzare la concentrazione e unire le mani a Sigillo. Riassorbì tutto il Chakra necessario, soppesandolo per arrivare alla quantità giusta e sperimentata negli innumerevoli tentativi precedenti. Ma questa volta, ci sarebbe stato un addendum: Maemi iniziò a cercare dentro di sé, ravanando nei angolini che non attenzionava mai, lì dove c'era l'angoscia, dove c'era il panico irrazionale che l'assaliva ogni volta che le vedeva avvicinarsi. Scoprì di aver convissuto tanto tempo con la paura, l'aveva ignorata, aveva fatto finta che non esistesse, finché questa non le era entrata nelle ossa indisturbata. Provò rabbia, provò il desiderio incandescente di riflettere quel suo stesso orrore a chi glielo incuteva. Di vederle strisciare lontano dal loro peggiori incubo, lontano da lei.
    Stemperò il proprio Chakra con tutte quelle sensazioni, tutto quel desiderio che sembrava sconfinato. Terminò la composizione di Sigilli, e concentrando l'energia iniziò renderla turbolenta, come faceva quando utilizzava il Kai, ma nella maniera più appropriata. Dopodiché spinse quell'ammasso di Chakra attraverso il collegamento creato dai Sigilli, che formava una sorta di ponte con il sistema circolatorio dell'amica.
    Lo avvertì subito. Fu come sentire la vibrazione di un terremoto scaturito in lontananza, flebile ma indistinguibile. Nariko le diede ulteriore conferma: sbiancò sul posto, e gli occhi si fecero lontani come se fosse assorta nei propri pensieri. Iniziò a tremare leggermente. «No...» mormorò, ritraendosi e facendo come se volesse scappare. «Ferma tutto, fallo smettere...!»
    Erano passati tre secondi, e Maemi poté nuovamente muoversi. Si precipitò a toccarle la spalla. «Kai!»
    L'Illusione Demoniaca sarebbe svanita comunque in quel momento, ma la ragazzina dai capelli rossi non sopportava di vedere l'amica in quello stato e non fare nulla. Gli occhi di Nariko tornarono alla vita; erano ancora spiritati quando si rivolse a Maemi.
    [SPOILER]Magen: Narakumi no Jutsu - Illusione Demoniaca
    MagenNarakuminoJutsu-IllusioneDemoniaca_zps5f7816d9
    Villaggio: Tutti
    Livello: D
    Tipo: Genjutsu
    Una Tecnica di basso livello che permette all'utilizzatore, apparentemente, di svanire in una nuvola di foglie, lasciando spazio ad un'illusione che raffigurerà una delle paure peggiori della vittima. Una volta attivata, l'utilizzatore verrà nascosto dall'illusione per quattro secondi, tre dei quali passati in concentrazione ed immobilità per completare il Jutsu, mentre il quarto secondo potrà essere usato da un abile shinobi per fare perdere le proprie tracce nell'ambiente. Se la vittima subirà in pieno il Genjutsu, per tutta la durata dei quattro secondi vivrà il suo incubo peggiore, ritrovandosi successivamente spaesato per l'esperienza vissuta e rallentato nella velocità di un grado per il resto del Turno.
    Dissolvibile con il Kai o se il bersaglio viene attaccato dall'utilizzatore durante i quattro secondi.
    Consumo: 2

    Kai - Disperdi
    GVoq
    Villaggio: Tutti
    Livello: E
    Tipo: Ninjutsu
    Questa Tecnica elementare viene insegnata agli Studenti fin dai tempi dell'accademia. Il Jutsu è di facile applicazione, a patto che ci si accorga di essere caduti all'interno di un Genjutsu, poiché basta comporre un singolo sigillo e pronunciare la parola "Kai" per dissolvere l'illusione. Con questa Tecnica sarà anche possibile liberare altri soggetti caduti in un Genjutsu, sempre che si riesca a rendersene conto. Per farlo si dovrà comporre un singolo Sigillo ad una mano e poggiare l'altra sulla spalla della vittima, concentrando il proprio Chakra dentro la stessa, per interrompere il flusso di Chakra destabilizzante e farla tornare in sé. Questa ultima variante non è utilizzabile su sé stessi, nemmeno mediante i Kage Bunshin.
    La tecnica ha effetto solo con alcuni Genjutsu.
    Consumo: 2

    Maemi l'abbracciò forte. «Mi dispiace».
    «Ho visto il nonno e la mamma morti» fece Nariko, iniziando a tremar tutta. «Non c'era... non c'era il ragno. C'erano loro coperti di sangue».
    Maemi rabbrividì. Immaginò di vedere lei i propri genitori cadaverici, con gli occhi aperti e privi di vita. Che visione orribile.
    «Orribile» confermò l'amica, come se le stesse leggendo nella mente. Sciolse l'abbraccio e cercò di ricomporsi. «Non la augurerei nemmeno al mio peggior nemico».
    La ragazzina dai capelli rossi non commentò. Forse era Nariko troppo buona, forse Maemi troppo cattiva, ma nulla di quello che era successo le fece cambiare idea sull'usare quella nuova, terribile arma contro la sua peggior nemica.

    ❋❋❋


    Dovette sforzarsi ancora un po', perché scoprì che non l'Illusione non le riusciva ad ogni tentativo. Perse parecchie altre ore ad affinare l'Illusione, il che unito con gli studi per gli esami di fine anno sfiancarono in fretta la mente di Maemi, portandola a dormire sempre meno per recuperare le ore di studio sottratte dall'addestramento. Dopo più di una settimana di ore piccole era così stanca che faticava a tenere gli occhi aperti; dopo due, rischiava seriamente di addormentarsi nel bel mezzo della lezione.
    Una volta accadde per davvero. Si trattava dell'ultima lezione della giornata, che coincideva con la noiosissima storia del Paese dell'Acqua, la voce lenta e ritmica del sensei che pareva cullarla. Non le avrebbe fatto male nascondersi qualche minuto dietro il testone di Kenji e riposare due minuti gli occhi, no?
    Sembrò passato qualche secondo, quando Maemi si svegliò di soprassalto sul pavimento in pietra. La testa le pulsava, ricordando la commozione provocata dal sasso, e rabbrividì. Per un attimo rimase confusa su dove si trovasse e quello che era successo. Era caduta? Poi vide Hitomi che la guardava dall'alto, che rideva insieme ad Ayano e ad altri compagnetti ad attenderla vicino alla porta scorrevole. L'aveva spinta lei giù dalla sedia, constatò Maemi. La sua espressione lo confermava.
    Dov'era Nariko?
    Da fuori arrivano delle voci, i compagni che tornavano a casa dopo una lunga giornata di studi. Maemi si rialzò, notando un livido sul polpaccio. «Che cosa vuoi?»
    «Sono delusa» disse Hitomi con sarcasmo. «Tu che ti vantavi di sfidarmi, di volermi calpestare, e non hai fatto ancora niente. E sì che ti ho dato del tempo».
    La mano di Maemi si strinse a morsa; era vero, negli ultimi tempi l'avevano lasciata stare, me non credette nemmeno per un secondo che fosse per avvantaggiarla.
    «Ci siamo stufate» continuò la reginetta di ghiaccio, incrociando le braccia. «Adesso farai come ti dico. Gettati dai gradoni più alti fino a rotolare giù. Poi gattona fino a Ayano e chiedile perdono, come una animaletto con la padrona. In fondo è quello che sei tra noi, non è così?»
    Maemi la fissò, sentendo un pozzo di rabbia senza fine. Fece un passo avanti, andando a condividere con Hitomi il gradone a mezzaria dove stava il suo banco, riempiendo la stanza di tensione. Gli occhi ghiaccio di Hitomi la fissavano pieni di boria, sicura del suo, ignara di tutto il tempo che Maemi aveva passato per allenarsi contro di lei, per rimetterla in riga.
    Per farla diventare da cacciatrice a preda.
    La tensione si sciolse quando Maemi abbassò lo sguardo, come sconfitta, procedendo poi a salire gli scalini fino a raggiungere il punto più alto. La sua apparente remissività scatenò mormorii e risatine eccitate, l'esaltazione dell'aver imposto la loro volontà senza incontrare ostacoli. Adesso non rimaneva che godersi lo spettacolo.
    La ragazzina dai capelli rossi si voltò, la posizione che le dava una visione a tutto tondo dell'anfiteatro che era la sua classe. «Hitomi».
    Lo sguardo della Yuki, che si era voltato verso i compagni, tornò a lei, e si agganciò ai Sigilli. Lì Maemi ci riversò tutta la sua rabbia, la frustrazione e la paura a cui, fino ad allora, non aveva dato spazio. Pregò che andasse a segno, che le sue capacità non la tradissero nel momento del bisogno. "Illusione Demoniaca!"
    Magen: Narakumi no Jutsu - Illusione Demoniaca
    MagenNarakuminoJutsu-IllusioneDemoniaca_zps5f7816d9
    Villaggio: Tutti
    Livello: D
    Tipo: Genjutsu
    Una Tecnica di basso livello che permette all'utilizzatore, apparentemente, di svanire in una nuvola di foglie, lasciando spazio ad un'illusione che raffigurerà una delle paure peggiori della vittima. Una volta attivata, l'utilizzatore verrà nascosto dall'illusione per quattro secondi, tre dei quali passati in concentrazione ed immobilità per completare il Jutsu, mentre il quarto secondo potrà essere usato da un abile shinobi per fare perdere le proprie tracce nell'ambiente. Se la vittima subirà in pieno il Genjutsu, per tutta la durata dei quattro secondi vivrà il suo incubo peggiore, ritrovandosi successivamente spaesato per l'esperienza vissuta e rallentato nella velocità di un grado per il resto del Turno.
    Dissolvibile con il Kai o se il bersaglio viene attaccato dall'utilizzatore durante i quattro secondi.
    Consumo: 2

    Per breve, orribile attimo, Maemi credette di aver fallito. Ma poi vide il volto di Hitomi impallidire, gli occhi spalancarsi e l'espressione riempirsi di orrore. Fissava lì dov'era Maemi, ma con lo sguardo vitreo di chi non la vedeva veramente. «No...» fece un passo indietro, iniziando a tremare tutta. Arrivò a sbattere contro un banco, facendo ammutolire i compagni dietro, che la fissarono confusi. «No, no, no, no! Non può essere!» urlò d'improvviso la Yuki, portandosi le mani a coprirsi gli occhi per proteggersi dalla visione.
    La mente di Maemi intravide l'apertura che stava cercando, e nel tempo di un battito si ritrovò davanti ad una Hitomi scossa e vulnerabile. La spinse così forte da farle perdere l'equilibrio, cadendo all'indietro sui gradoni che la portarono a rotolare fino a picchiare la testa contro il rialzo della cattedra. Sbatté gli occhi intontita, il suo gruppetto che si era precipitato allarmato su di lei, a controllare che stesse bene.
    Maemi finì di ridiscendere i gradini con calma, assaporando la visione della sua compagna, la sua nemica, che giaceva a terra sotto il suo sguardo, le orbite ora strabuzzate e ancora impaurite. Sentì gli occhi dei presenti su di sé, tutti col fiato sospeso.
    «Credo che passerò dalla porta come al solito» fu l'unico commento di Maemi, passando loro accanto e facendo finta di nulla.

    ❋❋❋


    Il giorno dopo, Ebizo-sensei la tratte in classe un altro po'. Sicuramente era venuto a sapere del piccolo incidente con le scale. Per diversi secondi si limitò a fissarla, una mano che sorreggeva metà volto e l'altra che tamburellava sulla scrivania; la sua postura mezza afflosciata aveva un ché di sconfitta. Alla fine sospirò. «Non sai mai quando è il caso di fermarti, vero, Maemi?»
    La ragazzina sbatté più volte le palpebre, rimasta interdetta. Non era certa di aver capito bene cosa intendesse il maestro, ma in momento gliene importava poco. «Sono nei guai, sensei?» chiese con voce piccola, usando la stessa frase dell'ultima volta.
    Il maestro forse se ne accorse, perché non rispose subito; si prese il suo tempo per fissarla come se non sapesse che farci di lei. «Credi di dover essere nei guai?»
    «No».
    «E allora perché lo chiedi?»
    La ragazzina si limitò ad una scrollata di spalle.
    Ebizo-sensei scosse la testa, prima di risistemarsi meglio sulla sedia. «Vai pure a casa» concluse, accompagnando la parole con un gesto di noncuranza. «E mi raccomando, cura i tuoi Taijutsu. Non ammettiamo shinobi che non sappiano tirare due pugni».
    L'avvertimento avrebbe dovuto farla rabbrividire, ma quello che provò Maemi fu un profondo sollievo. Fece un breve inchino, per poi congedarsi e uscire dalla porta scorrevole. Si sentì improvvisamente più leggera, e si accorse di star sorridendo. All'uscita, Nariko la stava aspettando; lanciava occhiate nervose dall'altra parte del cancello, dove stava il gruppetto di Hitomi, Ayano e altri suoi amichetti.
    Hitomi intercettò lo guardo di Maemi, che non riuscì a trattenere la bocca dal piegarsi in un sorriso malvagio. I suoi occhi di ghiaccio erano infuocati come carboni ardenti, il suo odio palpabile che brillava fra loro come l’aria su una rovente roccia nera.
    Non si dissero nulla, né fecero nulla, e Maemi capì che da quel momento in avanti nessuno le avrebbe più dato fastidio. Finalmente. Finalmente l'aveva fatta capitolare. Per un attimo provò l'inebriante sensazione di avere tutto sotto controllo, di poter fare tutto, di non avere limiti né imposizioni.
    Di poter calpestare chiunque le sbarrasse la strada.

    Edited by Skipio - 7/2/2022, 20:20
     
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    «Parlato» - «Parlato Miho» - "Pensato"

    Le radici che affondano nella terra
    Parte 1 di 3


    Era metà mattina. L'umidità era pesante, palpabile, un alone di bianco incorporeo che galleggiava a una ventina di metri sopra il terreno, sfumando mano a mano che scendeva per stemperare i colori in una sorta di città fantasma. In mezzo a rumori di grilli e cicale che cantavano, Maemi richiuse la porta di casa in modo lento e calcolato, così da non fare rumore. Girò due volte la chiave nella maniglia, per poi infilarsela in tasca. Era stata brava: nessuno in casa si era accorto di nulla, nemmeno l'iperattivo Sumo che nell'andare via la abbaiava sempre con disappunto.
    Quel giorno non indossava i soliti abiti da kunoichi: una felpa grande, un po' fuori misura, le nascondeva le forme del busto, e cadeva fino a metà coscia come se fosse un vestito, le gambe coperte da sottili pantaloni attillati. Il coprifronte se lo portava dietro in ogni situazione, ma ben risposto nella logora borsa a tracolla, la stessa che usava in accademia per i libri. La periferia estrema ad est di Kiri, appena fuori dalle mura, era deserta: un sonnacchioso quartiere di campagna, all'apparenza congelato in un periodo storico antecedente alla scoperta dell'elettricità e degli impianti idraulici, con case in legno di bambù e dai tetti di paglia e tegole. Non vivevano che una mezza dozzina di famiglie lì. Il fumo saliva dai comignoli, rivelando che molti erano già in piedi per preparare la colazione, ma il freddo pungente in quella giornata estiva li scoraggiava dall'uscire.
    Maemi camminò lentamente, senza fretta alcuna, con le mani che affondavano nelle tasche della felpa sformata. Gli occhi erano bassi, corrucciati, e per almeno il primo tratto di strada si permise di far andare i piedi senza l'ausilio della testa. Stava pensando: anzi, stava ripetendo nella propria testa i ricordi del suo incontro con Miyako Yamamoto.
    Era ormai passata più di due mesi dall'esame che l'aveva fatta diventare una Sp.Jounin, e i festeggiamenti, il giubilo di parenti e amici era andato via via scemando per adattarsi ad una nuova normalità. Nuove missioni sempre più difficili, che la portavano sempre più lontana dalla sua isola, con nuove responsabilità che richiedevano ancor più rigore negli addestramenti. Su quel fronte, Kisuke sembrava essere diventato ancora più pretenzioso, ancora più inflessibile nell'aspettarsi risultati da lei. Ma Maemi non si lamentava: il duro addestramento la alimentava come ossigeno su una fiamma, le logorava il corpo ma illuminava lo spirito. Stava trovando un equilibrio strambo, ma piacevole, nella sua vita.
    Era stato al rientro di una loro sessione che Maemi l'aveva trovata. Si trattava di una lettera, indirizzata a lei e riposta sul comò di camera sua. Era chiusa, segno che i genitori avevano rispettato la sua privacy. Il mittente era proprio la povera donna che aveva incontrato in missione a Mitsu, la madre di una delle tante ragazze scomparse e poi trovate morte annegate.
    Dire che Maemi ne era rimasta sorpresa era un'eufemismo, ma il suo stupore non avrebbe fatto altro che crescere quanto più avesse proseguito con la lettura. Miyako era a Kiri per trovare conforto da alcuni parenti (quelli, se la kunoichi non ricordava male, che avevano fatto pressione affinché la Nebbia inviasse qualcuno) e desiderava incontrarla. Tra le righe, si poteva scorgere un messaggio non esplicitato, ma abbastanza evidente: aveva informazioni importanti da comunicarle. E Maemi, con una morsa allo stomaco, intuì di cosa potesse trattarsi.
    Il respiro regolare scandiva i suoi passi, i quali la portarono a verso le imponenti mura cittadine. Ancora le sembrava di rivederla, in quell'attimo di buio tra un battito di ciglia e l'altro. Lì, seduta su una delle tante panchine dalla vernice scrostata che si affacciava ad un parco a nord del Villaggio. Si era chiesta come mai proprio quel luogo, arrivando alla conclusione che fosse poco importante. Miyako Yamamoto le era apparsa proprio come se la ricordava, eppure qualcosa in lei era profondamente cambiato. La perdita della figlia era ancora visibile sulle rughe degli occhi, nelle spalle appesantite e nello sguardo distante. Maemi si era sentita ipnotizzata, quando i suoi passi l'avevano portata vicino a lei, la testa leggera come una nuvola.

    «Yamamoto-san. Buongiorno».

    Maemi sbatté le palpebre, e il viso lucente di Miyako svanì come acquarelli sotto l'acqua. Ricordava benissimo l'espressione della donna quando l'aveva riconosciuta, di come gli occhi verdi si fossero allargati un attimo, sorpresi, prima che le labbra si aprissero in un sorriso dolcissimo, inondandola di tenerezza.

    «Ti stavo aspettando... Maemi».

    I suoi piedi pestavano velocemente per coprire l’ultimo tratto, fino alla mura cittadine del Villaggio, sollevando la polvere nella foga. Ora la terra battuta si trasformava in una strada vera e propria, con pietre lisce e senza crepe. Il silenzio venne interrotto dal vociare delle strade immacolate e brulicanti di attività, aumentando sempre più mano a mano che ci si addentrava. Svoltò in una via secondaria, poi in un’altra, girando e svoltando lungo strade che conosceva a memoria, gli occhi fissi sull'ambiente attorno a sé senza però vederlo veramente.

    «Il giorno del funerale, quando ho visto il tuo vero aspetto, quando ho scoperto la tua età e dove eri nata...»
    «Sa qualcosa sulla mia nascita, vero?».
    «Ho avuto il forte sospetto. Ma la situazione... era quello che era. Ho dovuto aspettare per avere le mie conferme».


    Le sue conferme. I piedi di Maemi imboccarono una strada ancora più larga, che si immetteva più in là in un'ampia piazza, costellata di banconi esterni intarsiati di mercanzie di ogni genere. Col senno di poi, si chiese come avesse fatto a trovarle, quali fili aveva dovuto muovere per risalire ad una nascita datata quindici anni prima. Ma l'impatto che avevano avuto quelle parole le aveva impedito di rifletterci su a dovere. E poi il suo breve soggiorno a Kiri: era davvero in visita ai parenti oppure era una scusa per trovarla? Perché, si era chiesta allora, quella donna si era data così tanto da fare per venire a cercarla, per parlarle come se per lei fosse una questione personale?

    «So chi è tua madre, la tua vera madre. So il suo nome, dove vive, come potresti trovarla... qualunque informazione tu possa volere. Sempre se desideri sapere».

    Allora non era Miyako sua madre. C'era stato sollievo in Maemi? Cercò di ricordare. Sì... alla fine sì. Era meglio così: invischiarsi nella vita di una donna già segnata da una tragedia era l'ultima cosa che desiderava. Ma l'agitazione c'era, eccome. La ragazza dai capelli scarlatti sfilò in mezzo ad un paio di carri grossi carichi di pellicce; prese un respiro profondo, risentendo la contrazione allo stomaco risuonare insieme al ricordo. In tutta la sua vita, nessuno le aveva mai lasciato una responsabilità del genere: anzi, prima della sua missione a Mitsu, lei non si era mai nemmeno sognata di poter scoprire la verità. Era qualcosa che considerava perso per sempre, un sassolino in mezzo all'oceano, irrecuperabile. E la gravità che improvvisamente le si era parata davanti l'aveva fatta vacillare.

    «Non sei costretta, se non te la senti. Non esiste una scelta giusta o sbagliata, solo la tua. Dopotutto riguarda i tuoi genitori».
    «Ma io li ho già. Si chiamano Yoshito e Reiko Takahashi, e sono gli unici genitori che riconosco».
    «Sono certa che siano persone meravigliose, ma cercare le tue vere origini non vuol dire tradirli. Non c'è nulla di cui sentirti in colpa».


    Lo scenario attorno a sé aveva iniziato a cambiare senza che lei se ne accorgesse. Le strade si facevano più ampie, ed erano costeggiate da chioschi, venditori ed edifici più alti e pretenziosi. Il rumore si era assopito. Gli ammassi incolore di tasselli in pietra lasciarono spazio ad ampie distese d’erba perfettamente tagliata e fiori sbocciati ovunque. Giardini di proprietà splendidi, che parevano fare a gare a chi fosse il meglio curato.
    La donna aveva centrato perfettamente il tiro: Maemi si era infatti ritrovata senza saper come ribattere. Nel suo respiro profondo rivide la pausa che ne era seguita, gli occhi blu marino che si abbassavano lentamente sulle proprie mani. Il distinto sentimento di fastidio; perché lei detestava sentirsi in quel modo. Detestava il potere che quell'argomento aveva ancora su di lei, nonostante non avesse più sette anni, e non avesse più davvero bisogno di genitori. Loro avevano deciso di darla via, quale che fosse la ragione, e l'unica rivincita a cui poteva aspirare Maemi era cercare di vivere la propria vita al meglio del meglio, sputando addosso a tutti quelli che le avevano messo i bastoni tra le ruote.
    Però - si era intromessa una vocina traditrice - che male c'era nel sapere? Solo sapere. Chiudere una volta per tutte questo quesito invece di scappare via, non sarebbe stata una decisione più coraggiosa?
    Fuggire la realtà era tipico dei codardi, e Maemi si vantava di non essere così; anzi, lei era una che affrontava i problemi di petto, schiacciandoli prima che loro schiacciassero lei. E se avesse finito col pentirsene? Era una domanda che la tormentava ancora, in quel preciso momento in cui i suoi occhi passavano in rassegna i vari numeri civici di quel quartiere sfarzoso, circondato da lunghi terreni verdi e ondulati, case ricoperte di rose ed edera con diversi patii e balconi. Ma poi, come sempre, riaffiorava un'altra domanda: poteva davvero pentirsene più del non aver chiesto? Del non aver voluto sapere?
    Basta così. Maemi aveva permesso alla questione di influenzarla anche fin troppo: era lei a decidere questa volta, e nessuna decisione sua sarebbe stata presa per paura nei confronti di chicchessia.

    «Mia madre... Chi è?»

    Risentì il calore del sorriso di Miyako, mentre si avvicinava a bordo strada, gli occhi puntati sul numero civico sette, una casetta sorprendentemente modesta nelle dimensioni. I suoi passi si fecero sempre più lenti, percorrendo un vialetto interno che attraversava l'appezzamento di erba ben tagliata per condurre alla porta d'ingresso.

    «Il suo nome è...»

    "Miho Yamazaki" lesse Maemi, fissando la targhetta con il nome del proprietario di casa.

    «E si trova proprio qui, a Kiri».

    Il dito premette sul pulsante, e subito si sentì il rumore del campanello che si propagava dall'altra parte delle mura. Ci fu un abbaiare di cane, che dal tono acuto doveva essere di piccola razza. Qualche secondo, voci che parlavano, e poco dopo la maniglia tremò. Maemi la fissò, sentendo le mani che tremavano insieme a lei.
    La porta si spalancò, e ad attenderla vi trovò il sorriso di una donna con dei lunghi capelli scarlatti.

    Edited by Skipio - 18/2/2022, 15:09
     
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    «Parlato» - «Parlato Miho» - "Pensato"

    Le radici che affondano nella terra
    Parte 2 di 3


    Maemi ebbe una scarica di adrenalina. Stava fissando il volto della donna, gli occhi che bevevano ogni singolo dettaglio, ogni singola somiglianza che aveva sperato di trovare: proprio come Maemi, aveva una lucente chioma scarlatta, sebbene le ciocche si presentassero un po' più ricce e ribelli; il volto era aggraziato dagli stessi lineamenti dolci, con degli occhi grandi e di un intenso blu scuro, una replica perfetta di quelli che la ragazza osservava ogni volta allo specchio. Era incredibilmente giovane e bella.
    «Sì?» chiese.
    Maemi non rispose subito; le sue labbra si aprirono nell'impressione di un tremolante sorriso. Era così alieno per una adottata poterlo dire, ma la somiglianza era talmente palese da non aver bisogno di altra prova. «Ehm...» disse, cercando di controllare l'emozione nella voce. «Miho Yamazaki, giusto?»
    Qualcosa, nel volto della donna, si era gelato alla vista di Maemi. La stava squadrando da capo a piedi come se fosse un ordigno sconosciuto e di cui aver paura. «Chi mi cerca?»
    «Mi chiamo Maemi» mormorò lei, sentendo il cuore battere sempre più forte. «Sono tua figlia».
    Tutto sembrò immobilizzarsi, come se il tempo si fosse congelato all'improvviso. Il volto di Miho andò a impallidirsi sempre di più, bloccato, quasi trattenendo il respiro. Poi sussultò, gettò uno sguardo preoccupato all’interno e si ritrasse oltre la porta, lasciando sporgere solo il viso. «Dev'esserci stato un errore» disse in tono basso ma deciso. «Io non ho figli».
    La Sp.Jounin la guardò sbalordita, sentendo un macigno sprofondarle nello stomaco. Fra tutte le possibilità che aveva vagliato, fra tutti i modi in cui si era immaginata quell’incontro, quella reazione non era stata minimamente contamplata.
    Il suo cervello si impappinò un attimo, interdetto, poi da qualche parte della sua mente iniziò a riaffiorare un'altra emozione. Incredulità, indignazione... rabbia. Come poteva dubitare delle sue parole, quando aveva la prova davanti ai suoi occhi? «Senti, posso capire che è una cosa improvvisa» cercò di ragionare, facendo appello al suo autocontrollo. «Sono comparsa dal nulla, non te lo aspettavi...»
    «No, no, non capisci» ribatté la donna, il tono sempre più implorante. «Io non ne so nulla, ti prego, non puoi...»
    «Guardami!» ruggì allora Maemi, afferrando con furore la maniglia dall'altra parte, e piantandosi davanti all'entrata in modo da avere lo sguardo di Miho a pochi centimetri da sé. I suoi occhi erano come carboni ardenti, le mani che tremavano dalla vampata d'adrenalina. «Guarda la mia faccia, guardami negli occhi e osa dirmi che non sai chi sono! Che non sai nulla della bambina che hai lasciato all'ospedale di Mitsu quindici anni fa!»
    A quello, Miho non riuscì a ribattere. La fissò allibita, forse per le sue parole incisive, o forse per il modo improvvisamente aggressivo. Non rispose, e per un attimo Maemi avvertì solo il tremolio della maniglia, dovuto al paio di mani che stavano dall'altra parte della porta. Ci fu un momento di stallo dove due paia di occhi blu, identici, si scambiavano un lungo, lunghissimo sguardo, in cui la ragazza cercava forzatamente di fare breccia dentro una muraglia di panico, ma pareva troppo alta e troppo possente per cascar giù.
    Quel momento durò solo pochi secondi, interrotto brutalmente da una voce maschile proveniente dall'interno della casa. Miho sobbalzò sul posto come se avesse preso una scossa, scuotendosi da quello stato di impasse. «Non facciamo resi, grazie!» si affrettò a dire, ora con tono istericamente squillante, prima di richiudere definitivamente la porta.
     
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    «Parlato» - «Parlato Miho» - "Pensato"

    Le radici che affondano nella terra
    Parte 3 di 3



    Come ci era finita ancora sulla soglia di quella porta? Cosa l'aveva spinta ad accettare l'invito di quella stramaledetta lettera, invece di accartocciarla e bruciarla come avrebbe dovuto?
    "Perché sono una stupida, ecco la risposta" pensò Maemi, stringendo forte le mani mentre sedeva su un divanetto in tessuto, ampio e rosso sgargiante, osservando la schiena di Miho Yamazaki che si allontanava fuori dal salotto di casa propria, lasciandola sola. Si guardò attorno con circospezione, sentendo il disagio che le impediva di tenere ferme le mani. Si vedeva lontano un miglio che quella era una famiglia che non si faceva mancare nulla, economicamente: ogni angolo della tenuta urlava professionalità, a partire dalla scelta dell'arredamento, sicuramente curato da mani competenti, per non parlare poi dell'ordine impeccabile di una casa seguita giornalmente da chi le pulizie le faceva di mestiere. Non vi era un filo di polvere, le piante erano rigogliose, i mobili lindi come se fossero nuovi.
    Miho tornò da lei, le dita ancora in bocca, le sopracciglia corrucciate e un'espressione ansiosa. «Perdonami» disse con un filo di voce. «Volevo solo assicurarmi di una cosa».
    Maemi non rispose, limitandosi a squadrarla: la bellezza naturale di Miho era messa ulteriormente in risalto dalla cura con cui si agghindava, a partire dal coloratissimo yukara che indossava, a prima vista di un tessuto di ottima qualità, i capelli rossi tenuti in una crocchia ricercata con un fermacapelli in similoro, e il viso leggermente truccato che le illuminava la pelle. Peccato davvero che quel visino tanto carino fosse rimasto deformato da un'espressione angosciata.
    La ragazza incrociò le braccia, fissando Miho con espressione glaciale. «Allora?»
    La donna esitò. «Mi dispiace davvero molto per come mi sono comportata l'altro giorno» mormorò. «Mi sono fatta prendere dal panico. Non avevo idea... non mi sarei mai aspettata che...»
    Le parole si persero in gola, e per un po' sembrò non saper che dire. Maemi la fissò, per nulla impietosita, in attesa che riprendesse. «Non sto cercando di giustificarmi» continuò infine Miho, gli occhi che guardavano in basso. «Vorrei solo che capissi che... non è facile, nella mia situazione, reagire nella maniera giusta».
    Per l'ennesima volta, Maemi non rispose. Invece, le fece una domanda: «Come hai fatto a trovarmi?».
    «Ho... ho fatto un paio di indagini»
    «Hai pagato per avere informazioni sul mio conto»
    Miho si agitò un attimo sul posto, a disagio.
    «Sai» incalzò allora Maemi, abbandonando le braccia conserte per poggiare i gomiti sulle ginocchia, espondendo il busto. «Mi sono sempre raccontata che i miei genitori naturali fossero dei morti di fame, costretti a darmi via per non farmi morire. E ora invece...» e fece girare gli occhi tutt'attorno, «ora invece scopro che mia madre aveva abbastanza soldi da far invidia a mezza Mitsu».
    «Non è così semplice...»
    «E allora dimmelo te» la interruppe Maemi aspramente. «Ero venuta qui per avere risposte, dopotutto».
    Miho non rispose subito. Abbassò lentamente lo sguardo, facendo un sospiro tremante. Dopodiché, raccontò tutto.
    Miho Yamazaki era l'unica figlia di una famiglia facoltosa: nata a cresciuta per buona parte della sua infanzia a Mitsu, il lavoro eccelso del padre aveva costretto la loro famiglia a trasferirsi a Kiri. Suo padre, Hisao Yamazaki, aveva velocemente scalato i vertici di un'importantissima realtà che produceva armamenti, per cui provava una devozione tale da mettere il proprio lavoro sopra ogni cosa. A parte l'assenza del padre, Miho era cresciuta come una ragazzina che aveva già tutto, con tutte le porte aperte e le strade spianate, ogni desiderio esaudito o esaudibile. E comunque non le bastava. L'età della stupidera l'aveva spinta a ricercare guai, e come molte ragazzine di quell'età andava a fare il contrario di quello che le raccomandavano i genitori. Si era giostrata in una serie di avventure dopo l'altra, sempre più rischiose, sempre più importanti... tra cui...
    «Tra cui rimanere incinta di me, giusto?» chiese Maemi, interrompendo di botto il racconto.
    «Be'...» fece Miho, come se cercasse di correggerla in un modo che risultasse meno brutto, ma poi si arrestò, non trovando le parole. Infine, richiuse la bocca.
    Maemi fece calare lentamente lo sguardo a terra. E così, era questa la verità: una stupida sbandata giovanile. Una stupidata compiuta da una ragazzina annoiata, incosciente di quello che faceva. Che schifo. Che vicenda... banale. Così scialba che pareva uscita da uno dei peggiori romanzetti da zitelle strapieno di cliché.
    Tutte le mille storielle avvincenti, alcune tragiche e alcune epiche, che volevano i suoi genitori come eroi disperati, costretti a cederla per il suo bene, sfumarono in una cortina di delusione.
    Maemi chiuse gli occhi, facendo passare un sospiro lento tra i denti serrati. «Quanti anni avevi?»
    «Sedici» rispose la donna, arrossendo in viso. «Ero una ragazza molto sciocca e ingenua. Quando l'ho scoperto, non volevo crederci. Per mesi ho ignorato il problema, quasi a credere che se ne andasse via da solo se solamente ci avessi sperato abbastanza…»
    Maemi continuava a fissarla, sentendo i muscoli della faccia che non volevano muoversi di un millimetro.
    «Alla fine, mi sono confidata con l'unica persona che potesse capirmi: mia cugina, Miyako. Siamo sempre state amiche, fin da piccole, sai? È stata lei a coprirmi con i miei genitori, facendomi andare a Mitsu»
    «I tuoi genitori non sanno nulla? Nemmeno ad oggi?»
    «No, e prego che non lo scoprano mai».
    Maemi si sentì toccata da quella frase, anche se non riuscì a capire perché. «Io non ne farò parola non nessuno, se è questo che temi».
    Finalmente arrivò un'altra emozione farsi strada oltre al panico: era il sollievo. Allungò le mani come a voler prendere quelle di Maemi, ma si fermò a mezz'aria, prima di serrarle e ritrarle al loro posto. «Grazie... davvero, grazie».
    Maemi non commentò. «Com'è successo quando mi hanno adottata? Mia madre ha detto che è stato tutto un po' strano, quasi frettoloso...»
    «C'era stato un accordo» confidò Miho, il faccino corrugato di chi cerca di ricordare qualcosa di lontano nel tempo. «Se n'era occupata Miyako, non ricordo i dettagli. Ma so che avevano pagato bene per impedire che ti vendessero da qualche parte...»
    «Vendere?» chiese Maemi, allibita.
    «Succede, a Mitsu» spiegò la madre, stropicciandosi il tessuto dello yukata davanti al ventre. «Non c'è una vera e propria tutela per i bambini senza famiglia. Molti finiscono per strada, o dentro gli orfanotrofi. Qualcuno ha la fortuna di essere adottato da famiglie abbienti, mentre qualcun altro... sparisce. Casi dove le ostetriche o le infermiere usavano neonati soli per arricchirsi, o per estirpare debiti, o in cambio di qualcos'altro».
    A Maemi si bloccò il fiato in gola. Quanto era andata vicina dall'essere una di quei bambinetti portati via e venduti al miglior offerente?
    «Quei soldi sarebbero dovuti servire per assicurarci che non ti dessero via così» continuò Miho, apparentemente ignara dei pensieri della kunoichi. «Dovevi finire in un istituto per bene, dove avevi più possibilità di essere scelta da chi poteva darti una buona vita. O comunque avresti ricevuto una buona educazione, maggiori opportunità... non ti avremmo lasciata al tuo destino».
    «Ma è successo» disse Maemi di getto. «Nonostante tutte queste precauzioni, nonostante tutte le belle parole, sono stata data via al primo che è capitato».
    Maemi si vergognò del modo in cui aveva interpellato sua mamma.
    «C'era stato... un errore» rispose Miho, con un filo di voce. Le mani presero a tremarle. «Non ricordo più bene l'accaduto, so solo che una stupida infermiera appena arrivata ha frainteso tutto. Ha sentito la storia dei soldi destinati a te e credeva che servissero per comprarti, ossia il contrario di quello avrebbero dovuto fare. Penso che abbia tentato di fare la cosa migliore per te: cederti alla prima persona che si era interessata, senza chiedere soldi, senza carte, nulla di nulla. E come Miyako l'ha scoperto, te eri già sparita»
    Mille pensieri e domande vorticarono nella mente di Maemi, confondendola. Perché non erano stati in grado di trovarla? Perché Miyako non l'aveva semplicemente adottata appena era nata? Lei si era appena sposata, le aveva detto, e aveva tutti i mezzi per crescerla come figlia sua. Ma nel momento stesso in cui si pose queste domande, la ragazza si rese conto che ormai non erano più importanti, che tanto non avrebbero cambiato il passato e non l'avrebbero fatta star meglio. Prese un bel respiro, sentendolo uscire tremante. «La donna che mi ha portato via da quell'ospedale si chiama Reiko» spiegò. «Mio padre si chiama invece Yoshito. Si sono presi cura di me da che avevo due mesi, mi hanno nutrita, protetta e hanno fatto tutto quello che potevano per assicurarsi che stessi bene».
    Il volto di Miho sembrò impietrirsi, la bocca che diventava una linea sottile. «Sono... contenta».
    Maemi attese che la donna aggiungesse qualcosa, forse che le facesse altre domande sulla sua vita, su com'era stata, su come stava ora, perché si trovava a Kiri... qualsiasi cosa. Ma non successe nulla. La bocca di Miho rimaneva ostinatamente chiusa.
    Le mani di Maemi ebbero uno spasmo. "Tutto qua?" le chiese nella sua testa, il tono avvelenato da un improvviso rancore. Quella donna aveva passato metà della sua vita a sapere di avere una figlia in giro, da qualche parte, senza nemmeno sapere se fosse ancora viva, se stesse bene, chi si stesse occupando di lei, se fosse felice. E quando finalmente se l'era ritrovata davanti, l'unica cosa che aveva voluto sentire era che "le era andata bene".
    La ragazza abbassò lentamente gli occhi. Capì che, forse, era andata lì con più speranze di quanti avesse creduto, creandosi aspettative senza che fosse sua intenzione. Alla fine fece un sospiro, scuotendo la testa rassegnata. «Prima di andarmene, volevo chiederti una cosa».
    Alzò finalmente lo sguardo, incontrando gli occhi impanicati di Miho, le unghie ancora una volta in bocca. «Mio padre» disse con fermezza. «Voglio sapere di lui».
     
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    «Parlato Maemi» - "Pensato Maemi" - «Parlato barista» - «Parlato Zoppo»

    Una freccia scagliata due volte

    Prologo: Attorno al fuoco


    Data: 7 marzo.
    La vista di quelle unghie sporche le stava rovinando il pasto. Il sangue incrostato era sopravvissuto in alcuni punti, creando un piccolo strato rossiccio sotto la parte bianca che la disgustava, la faceva sentire poco pulita; ma la fame era tale da vincere il disagio, e ora Maemi si ritrovava a riempire lo stomaco di cibo e nervoso.
    Sulla destra, la coda dell'occhio captò lo spasmo di un corpo, una novità che catturò immediatamente la sua attenzione. Legato più e più volte con del filo metallico, un ragazzo dalle pesanti ciocche corvine aveva il busto poggiato sul tronco di un albero affusolato, la testa ciondolante che pareva voler dar sfida ai rami cadenti tutt'attorno.
    Maemi sentì la propria masticazione rallentare, i nervi che si tendevano all'idea che il suo ospite si stesse svegliando. Era solo una reazione istintiva, dettata da qualcosa che stava diventando un'abitudine: non aveva però di che preoccuparsi, dato che aveva provveduto personalmente a spezzargli le dita delle mani, prima di legarlo all'albero. Per precauzione, si era anche assicurata che i nodi fossero ben lontani da qualsiasi cosa potesse scioglierli.
    Ancora ora, alla fine di tutto, si domandava se avesse fatto bene a portarselo appresso; se non avrebbe fatto meglio ad ammazzarlo come il peggiore dei cani. Se fare di testa proprio era stato saggio, o se l'avrebbe portata a pentirsene.

    Atto I: Appuntamento al buio


    Data: 26 febbraio.
    Pioveva. Gocce d'acqua si schiantavano contro il cappuccio della mantella, per poi spartirsi e scivolare lungo tutta la sua figura, finendo in un'impressione di pianto proprio lì dove terminava il tessuto. Alcune gocce si erano insinuate dentro il cappuccio, bagnandole i capelli e inumidendole la pelle; Maemi portò le mani a soffiarsi aria calda, sfregandole tra di loro alla ricerca di calore. Voltò la testa: facciate di palazzi si intuivano tra le ombre accentuate, le gocce che oscuravano persino le lucerne esterne. La città di Degarashi Port era un labirinto di strade strette che si alternavano a piazze ingombranti, e per una forestiera come Maemi, impossibilitata a consultare la cartina, fu disorientante come navigare in mezzo all'oceano. Alla fine però trovò la modesta locanda con l'insegna di una brocca fumante, che in mezzo a tutto il vento si agitava senza ritegno. La Locanda del Boccale Amico, così si chiamava. La ragazza si fermò dinnanzi la porta, dopo aver camminato per due isolati ed essersi infradiciata quasi tutta; si diede una veloce sistemata ai capelli - purtroppo gonfi e increspati dall'umidità - e si assicurò per bene la spilla a forma di foglia che teneva legata la mantella. Doveva essere ben in vista. Dopodiché entrò: il locale era molto più malandato di quanto intuibile fuori con la pioggia, eppure incredibilmente frequentato. Due vecchie porte adagiate su quattro barili costituivano il bancone, e su una sedia in un angolo c’era un uomo che dormiva come un sasso. Tutti gli altri sembravano accalcarsi verso il fondo del locale, e in breve tempo la Sp.Jounin capì il perché: c'era una piccola pista da ballo rialzata, dove avevano messo delle ragazze a ballare. "Basta così poco per attirare la clientela..." pensò Maemi con sprezzo, mulinando le braccia per levarsi via i residui d'acqua. S’avvicino al bancone e vi bussò con le nocche. «C’è qualcuno in casa?»
    L’uomo addormentato non si mosse d’un millimetro, ma da una porta alle sue spalle sopraggiunse il barista; portava un grembiule di cuoio macchiato di grasso, in mano stringeva uno straccio sudicio e non sembrava affatto contento di vederla. «E tu chi saresti?»
    «Un caldo benvenuto» commentò Maemi con sarcasmo. «Avete acqua?»
    Il barista sbuffò. «Fuori ce n'è quanta ne vuoi».
    "Wow. Questo si crede pure simpatico". «Sono una kunoichi di passaggio» rispose, aprendo con molta nonchalance la mantella e rivelando l'equipaggiamento militare. «La tempesta mi ha sorpreso e cercavo riparo per la notte. Posso pagare».
    Quella presentazione non passò certo inosservata. ll barista squadrò la sua avventrice dalla testa ai piedi, concentrando particolarmente l’attenzione sulla fronte, cercando probabilmente di scorgere il coprifronte dietro le ciocche bagnate e appiccicate.
    Maemi attese pazientemente, dopodiché tirò fuori dalla tasca una moneta e la sbatté sul bancone. «Acqua, per favore» disse di nuovo, cerando volutamente di imitare il tono del maestro, quel tono così inflessibile che persino i sassi avrebbero risposto al suo comando.
    Sembrò funzionare, almeno in parte. Due minuti dopo ebbe la sua acqua, che si sgolò con un unico, lungo sorso, e persino un panno che usò per asciugarsi il viso. Avrebbe potuto levarsi la mantella, ormai inutilmente fradicia, ma c'era un motivo per cui esitava, un motivo che coinvolgeva la spilla a forma di foglia e che si sarebbe manifestato da un momento all'altro.
    E quel motivo era, sorprendentemente, una frase detta alle nove e venti in punto.
    «Giornata tipica di Degarashi, questa».
    La testa di Maemi scattò di lato. Un uomo la stava fissando dall'altro capo del bancone, appena oltre la testa dell'ubriaco addormentato, ma non era seduto. La mano sinistra era totalmente poggiata ad un bastone che muoveva come sostituzione di una gamba zoppa, e tremava ogni volta che vi si appoggiava.
    Maemi lo fissò: l'aveva visto avvicinarsi qualche minuto prima, proprio nel momento in cui il barista era scappato nuovamente nel retrobottega, ma come da manuale aveva finto di non notarlo. «Mi domando se da queste parti ci siano tanti temporali» fu la sua risposta, che diede senza battere ciglio.
    Il tizio annuì, indifferente, e tutto ritto si incamminò verso l'uscita dal retro. La kunoichi attese un minuto, dopodiché lo seguì: l'uscita secondaria della locanda si affacciava su un portico piccolo e riservato, che in quella giornata uggiosa era piacevolmente disabitato.
    Lo Zoppo (così Maemi si decise a chiamarlo) era lì ad attenderla, la mano ancora tremante e il respiro che si trasformava in condensa. «Devo dire che sono sorpreso. Il nostro amico in comune mi aveva promesso un esperto nel campo Illusorio»
    La frase prese Maemi in contropiede, ma cercò di non darlo a vedere. «E lui mantiene sempre le promesse» rispose asciutta.
    Si scambiarono un'occhiata. Lo Zoppo aveva un'aria cupa e seria. Gli mancava un atteggiamento così apertamente minaccioso come Maemi aveva immaginato, gli occhi erano quelli di un uomo riflessivo, come c'era da aspettarsi da un agente di Kisuke Momochi.
    «Facciamo due passi?» propose lui, aprendo una braccio per indicare la serie di portici che formavano un dedalo di strade riparate, umide ma spoglie e discrete. Al cenno di Maemi, lo Zoppo rimise in azione la gamba malandata, che muoveva con rigidità, come se gli facesse costantemente male.
    La kunoichi voltò lo sguardo verso il lato aperto del portico, scrutando e setacciando in cerca di qualche anomalia; non ve n'era alcuna. La pioggia battente creava un compatta barriera, in grado di oscurare l'occhio e coprire ogni altro rumore.
    «Sai il putiferio che è scoppiato qui la settimana scorsa, vero?».
    «Hanno rubato uno dei tesori del Paese delle Foreste, al museo nazionale» annuì Maemi, con la stessa litania di chi ripeteva una filastrocca a memoria. «La Spada dell'Eroe Dimenticato. Un prestito straordinario del tempio Tahōtō, per commemorare il centenario della battaglia di Sekigahara». "Un aggeggino vecchio e utile solo come artefatto storico". «La mostra doveva durare due settimane ed essere ben presidiata. Si sa solo che durante la notte è scomparsa nel nulla».
    «Quello che non si sa, invece, è che la spada era segretamente protetta da una piccola squadra di Shinobi. Tre ninja di grado Genin capitanati da un Chuunin. È stato un favore che ci hanno fatto quelli di Tanigakure» e nel dire il nome, lo Zoppo fece una smorfia di disgusto. «Ceffi incompetenti».
    «Immagino che non siano molto contenti, a Mori».
    L'uomo fece un gesto come a voler scacciar via il solo pensiero. «Meglio non addentrarci sull'argomento, per favore. Per arginare l'imbarazzo dovremo come minimo fornir loro una spiegazione su che diavolo è successo. Possibilmente senza farci la figura dei polli».
    «Per questo ha chiesto a.... Hisashi di mandare un esperto in Illusioni. C'è qualcosa che non vi torna sulla rapina» dedusse Maemi, utilizzando il nome in codice con cui era conosciuto Kisuke in quelle zone. Si alzò il cappuccio, addentrandosi in un pezzo di strada scoperto per passare da un portico all'altro.
    «Io avrei voluto lui» ribatté lo Zoppo, e i denti stretti tradirono una certa irritazione nel non vedere esaudito il proprio desiderio. «Ma anche questo è un argomento su cui non voglio dilungarmi. Inutile, quando hai a che fare con lui».
    «Al Chuunin è stato chiesto un rapporto completo» continuò, iniziando la sua spiegazione. «Ma qualcosa ci puzza. Sembra scritto da un animale, per tutti i kami! Alcune parti sono poco chiare, altre spiegate male o confuse. Si è capito solo che erano di guardia come da accordi, quando all'improvviso sono stati tutti colpiti da un qualcosa che non sanno spiegare. Lo hanno descritto come un fascio di luce, o una freccia...»
    «Una freccia?» lo interruppe bruscamente Maemi.
    «Una freccia di luce, così ha detto. Poi ha parlato di Genjutsu: appena è stato trafitto dalla freccia non si è ferito, ma è stato immediatamente catapultato in un'Illusione che lo ha folgorato sul posto. Quando si è ripreso la Spada era già svanita. Una storia molto conveniente, se ci pensi: facile da tirar su, se si vuole trovare una scusa per uscirne puliti».
    «O magari siete voi che cercate dei capri espiatori» lo accusò la kunoichi, trafiggendolo con lo sguardo. «Di certo vi laverebbe la faccia con quelli delle Foreste, dare tutta la colpa a dei ninja stranieri»
    Maemi capì di aver centrato il punto, almeno in parte, dall'occhiataccia che le riservò lo Zoppo. «Io voglio sapere la verità, altrimenti non mi sarei preso la briga di chiedere un esperto in materia».
    L'esperta non rispose subito. I suoi occhi rimasero fissi davanti a sé, osservando i sandali che spiattellavano nelle pozzanghere fangose come se fossero la cosa più interessante del mondo. «Esistono modi particolari per attuare le Illusioni» cominciò lentamente, affondando ancora di più la mani nelle tasche. «Incrociare lo sguardo e mostrare i Sigilli sono le modalità più comuni; ma anche il suono di un flauto, o il bagliore proiettato da un'arma possono andar bene. Però i vostri uomini non sono caduti nell'Illusione finché non li ha centrati la freccia, giusto?»
    «Così ha fatto intendere il Chuunin».
    La kunoichi di Kiri fece una lunga pausa. «Ha descritto cos'ha visto?»
    «La propria morte» e qui, per qualche motivo, lo Zoppo sogghignò, come se l'idea lo divertisse. «Che la freccia di luce lo faceva tipo esplodere dall'interno. Infantile, se vuoi il mio parere. Le menti dei tre Genin sono state invece invase da visioni orripilanti; uno di loro è persino scappato a gambe levate».
    Più Maemi ascoltava, più trovava difficile mantenere un'espressione neutra. Il racconto portato dal collega di Tanigakure era quanto più bizzarro avesse mai sentito, lasciandola smarrita e incerta su come rispondere."Sembrerebbe la Morte Vissuta" rifletté, inumidendosi le labbra. "Ma non ci metterei nemmeno la mano sul fuoco. Questa storia della freccia, poi..."
    «Se è vero, non ho mai sentito di una cosa del genere» ammise in fine la ragazza, massaggiandosi la fronte con aria contrita. «Conosco un'Illusione simile a quella che ha colpito il Chuunin, e potrebbe anche essere la stessa... ma non capisco questa incognita delle frecce luminose. Tutto sembra indicare che possano essere un catalizzatore, un innesto, come ho già visto succedere in altre situazioni... ma non ho elementi per esserne sicura. Se vogliamo, potrebbe anche non c'entrare nulla e siano state utilizzate con l'unico scopo di sviarci. Quale che sia la risposta, qualunque sia il tranello, l'unica certezza che ho riguarda l'abilità del nostro ladro: sono sicura che sia un portento nel campo Illusorio, uno che ci sappia fare».
    «Qualcuno come Otoya Yamaguchi?»
    Nell'udire quel nome, Maemi ebbe come una scossa. Gli occhi scattarono verso quelli dello Zoppo, trovandolo soddisfatto nell'averla presa in contropiede. «Lo conoscete?» domandò secca, con tono quasi accusatorio. «Come...»
    Le riservò un ghignetto maligno. «È stato avvistato mentre cercava di lasciare il Paese a bordo di un vascello, diretto a sud. Chi credi che abbia avvisato Hisashi?»
    Maemi fece per ribattere, ma scoprì di non sapere che dire. Era così abituata all'idea che il maestro sapesse sempre tutto, che vedesse tutto, da non porsi nemmeno il problema di dove trovasse le sue informazioni. «Yamaguchi rispecchierebbe la descrizione» concesse infine, ripresasi dalla sorpresa. «Ma sono tutte ipotesi campate per aria. Lui non ha mai dimostrato nessuna capacità simile fino ad ora». E qui esitò un attimo, per poi proseguire: «È anche vero che fa il cacciatore di tesori per il Mercato Nero. Potrebbe aver trovato di tutto in una delle sue spedizioni: rotoli con Tecniche Segrete, armi particolari, amuleti, sostanze allucinogene o chissà che altro. La vera domanda è che cosa...?»
    «L'unica domanda che mi importa» lo Zoppo frenò bruscamente il passo, «è se il suo coinvolgimenti sia plausibile, o sia tutto frutto delle menzogne di questi scimmiottari. È questo il parere che avevo richiesto a Hisashi».
    «C'è solo un modo per scoprirlo» rispose la kunoichi, sentendo una scarica di adrenalina al pensiero. Aprì la bocca per continuare a parlare, ma si fermò, per poi richiuderla lentamente.
    Se davvero si trattava di Otoya Yamaguchi, si trovavano di fronte ad un Mukenin della Nebbia che aveva appena incassato un colpo importante, dando prova di capacità nuove e insolite. Misteriose. Il maestro doveva essere venuto a sapere che qualcosa di sospetto era in corso d'opera da quelle parti, e aveva deciso di mandare Maemi per investigare. Gli ordini si limitavano a incontrare lo Zoppo, raccogliere quante più informazioni possibili e tornare a fare rapporto. Spingersi oltre sarebbe stato sintomo di insubordinazione, o spirito d'iniziativa?
    Le mani pallide di Maemi si strinsero a morsa, sentendo montare qualcosa che somigliava alla rabbia, e sotto sotto un pizzico di rivalsa. «La squadra di Tanigakure è ancora in circolazione, vero?» chiese, una volta presa la sua decisione. «Vorrei farci una chiacchierata».
    ChakraMentaleMalus/Bonus
    » 235;»Tranquilla;» Nessuno;
    Fisico» Ottimo
    Tripla Borsa
    Armi da LancioAccessori
    Kunai = 10Kunai = 10Fili Metallici = 30 mtFili Metallici = 30 mt
    Shuriken = 20Shuriken = 20Fili Metallici = 30 mtKit Grimaldelli
    Cartabomba = 5Cartabomba fasulla= 5Occhio CiberneticoPillole del Soldato = 3
    Palla Gelo = 5//Rotolo di Trasformazione//
    Gilet
    Armi da LancioAccessori
    Senbon = 20N.A.Torcia ElettricaRadiolina
    Foderi
    Fodero Minore
    Tanto
    Fodero
    Katana
    Rotoli
    Sigilli d'Evocazione
    //Shuriken Maggiore
    ////
    Rotolo Minore
    Shuriken Maggiore
    Doppia Tasca da Coscia
    Shuriken ad Astro = 20
    //
    Abbigliamento
    Coprifronte Kiri
    Parabraccia
    Parastinchi
    Note
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati ad uno Shuriken Maggiore;
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati a due Shuriken: quindici ciascuno;
    » Venti metri di Filo Metallico sono legati ad un Kunai;
    » Tre Cartebomba sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Cartebomba Fasulle sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Palle Gelo sono legate ad altrettanti Kunai;


    Edited by Skipio - 9/6/2022, 11:28
     
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    «Parlato Maemi» - "Pensato Maemi" - «Parlato Chuunin» - «Parlato Miyoshi» - «Parlato Genin»

    Atto II: Tra sibili e sussurri


    Data: 28 febbraio.
    Al gruppo di Tanigakure era stato richiesto di non allontanarsi dalla città, e senza ordini diretti del proprio Villaggio - che dovevano ancora arrivare - pensarono bene di non disquisire. Sentivano ancora il peso del fallimento sulle spalle, e questo più di ogni altra cosa li convinse a fare i buoni e non creare ulteriori problemi. Il sindaco di Degarashi aveva offerto loro la propria seconda casa in una zona tranquilla della città, dove non era né periferia né centro pieno, ma tanto i ninja non ci stavano mai molto all'interno. Questo, Maemi poté constatarlo nei due giorni successivi che passò ad osservarli: forse era la noia, forse trovavano insopportabile starsene con le mani in mano, sta di fatto che trovavano ogni occasione buona per uscire. Il più delle volte andavano ad allenarsi, come in quella mattina di fine febbraio.
    La kunoichi era ferma immobile sopra il tetto, nascosta ma in ascolto. Li vide uscire dal retro e poi allontanarsi verso la foresta con cui confinava la casa, e sapeva che ci sarebbero rimasti per almeno due ore. Aveva tutto il tempo per preparare le presentazioni a modo.
    Con un balzo ridiscese sul retro, voltandosi per dare una bella occhiata alla dimora del sindaco: non era per nulla male. Si trattava di un solido edificio di due piani, le assi di legno che la costituivano erano state tinteggiate d’un bianco brillante ed il tetto era costituito da levigate, bellissime tavole nere. Una veranda, coperta da una tettoia e circondata da una recinzione con tanto di porticciola e scalini, era stata arredata con svariati tavoli e sedie, mentre alle pareti e di fianco alla porta d’ingresso erano adagiati diverse scope e pennelli.
    Maemi voltò lo sguardo verso il punto in cui erano svaniti i quattro ninja: un sentiero appena accennato serpeggiava lungo una coltre di alberi più o meno alti, con robusti rami che si sviluppavano comodamente verso l'esterno. Calcolò velocemente le angolazioni migliori, dopodiché unì le mani a formare il Sigillo per la Kage Bunshin. Davanti a sé, nati da degli sbuffi di fumo, si materializzarono tre copie perfette di sé stessa.
    Kage Bunshin no Jutsu - Tecnica dei Cloni d'Ombra x3
    GVXt
    Villaggio: Tutti
    Livello: B
    Tipo: Ninjutsu
    Questa Tecnica è più avanzata rispetto alla Bunshin no Jutsu e consiste infatti nella creazione di copie dotate di consistenza fisica, in grado quindi di provocare danni reali. I cloni svaniscono in una piccola nube di fumo non appena vengono feriti, quando l'utilizzatore decide di annullarli oppure quando non ha più Chakra. Il vero punto di forza del Jutsu è che i cloni, non appena svaniti, trasferiscono tutte le conoscenze e le capacità acquisite al proprietario, che esse siano informazioni segrete o conoscenze acquisite durante un allenamento. Questi cloni hanno la facoltà di utilizzare qualsiasi Abilità o Jutsu.
    - Il Chakra utilizzato dai cloni viene ovviamente scalato dall'originale e si dissolvono se subiscono una qualsiasi forma di ferita.
    Il clone gode in tutto e per tutto dello stesso equipaggiamento dell'originale, a partire dagli indumenti fino agli oggetti di natura metallica. Fanno eccezione Armi Leggendarie ed oggetti monouso come Carte-bomba e Kit di Pronto Soccorso.
    Consumo: 8 (A Clone)

    Maemi incrociò le braccia al petto. «Posizionatevi. Tu fai l'avanguardia, quando li avvisti comunicacelo tramite il canale ventidue» diede l'ordine, facendo passare lo sguardo verso la copia a destra, la prescelta per l'avanguardia, che non sembrava per nulla contenta. «Mi raccomando, nulla di serio, intesi?»
    In realtà non serviva ripetere a voce alta il piano, ma farlo le dava l'impressione di essere al comando e dunque la faceva sentire più sicura, più in controllo. Non sapeva se avrebbe potuto averla vinta contro quattro ninja da sola, sebbene di livello inferiore al proprio, ed allo stesso tempo non voleva far loro del male davvero, ma attirare la loro attenzione e mettersi in una posizione sopraelevata rispetto a loro. Per altro, voleva fare in modo che il gruppo avvertisse la sua presenza in arrivo, e di conseguenza fosse in grado di ribattere a quell'attacco.
    Passò anche meno tempo di quanto Maemi avesse preventivato all'arrivo degli shinobi, ma i cloni erano tutti in posizione perfetta: ciascuno sopra il ramo di un albero diverso, non erano prettamente nascosti ma nemmeno in bella vista, e posizionati in modo che formassero un anello attorno ad un epicentro immaginario, che coincideva con un tratto di sentiero. Quando il team di Tanigakure raggiunse il centro perfetto della formazione, finalmente Maemi diede il via al suo personalissimo modo di fare nuove conoscenze: dai punti nascosti iniziarono a partire una tempesta di armi da lancio, mirando lì vicino ai loro piedi. Il primo a notare l'attacco fu il Chuunin, che si parò anche davanti ai suoi sottoposti come a volerli proteggere. "Apprezzabile" pensò la Maemi originale distrattamente, mentre con un balzo atterrava su un letto di foglie secche. Alzò lo sguardo verso gli shinobi contornati dal metallo affilato, che fecero scattare le facce verso di lei.
    «Chi di voi è Otoya Yamaguchi?» tuonò Maemi, raggiungendoli a grandi falcate.
    Le facce di ciascuno di loro si rabbuiò. Si guardarono, nel volto una consapevolezza che diede alla ragazza la conferma che cercava. «Allora ci ho preso! Chi di voi è Yamaguchi?»
    «Nessuno di noi lo è» replicò quello che la ragazza identificò come capo della squadra.
    Maemi fece una smorfia sprezzante. «Non prendermi per il culo! L'aria attorno a voi è rarefatta della sua presenza. Lo sento, lo percepisco. Non potete mentire al mio fiuto».
    «Ci siamo scontrati con lui, ma nessuno di noi lo è» rivelò una dei tre Genin, che pareva la più nervosa.
    «Stai zitta, Miyoshi!» la rimproverò il capo.
    «Vi siete scontrati con lui, hai detto?» li interruppe Maemi, incrociando le braccia al petto.
    «No, non ha detto niente...!»
    Con uno scatto repentino, la spada di Maemi si liberò del fodero, e la punta arrivò ad un centimetro dalla gola del Chuunin, che ammutolì. I Genin dietro di loro sobbalzarono, la ragazza emise un'esclamazione di sgomento, e le mani di tutti si mobilitarono per raggiungere le armi. L'aria si fece improvvisamente più fredda. «Forse non vi è chiara la situazione» fece la kunoichi di Kiri, la voce salda quanto la presa sulla katana. Fece un cenno col mento verso l'alto, dove le sue copie erano ancora posizionate. «Siete in maggioranza numerica, ma non siete in vantaggio contro di me. Potrei catturarvi e farvi cantare come galline che hanno appena deposto l'uovo, ma per me sarebbe uno spreco di tempo e di energie, e per voi uno strazio non necessario. Quindi rispondete alle mie domande e lasciatemi fare quello che voi non siete riusciti a fare... dal momento che sulla testa di quel criminale pende ancora una taglia ed un mandato di cattura».
    Maemi vide nei loro occhi quello su cui cercava di far leva, ovvero il senso di colpa. Loro erano stati lì, ad un centimetro dalla sua cattura, eppure si erano lasciati scappare sia lui che la reliquia da proteggere. Ma nei loro occhi, oltre a quel peso, Maemi vi trovò qualcosa che non aveva considerato, e che poteva intralciarle i piani: vergogna. Si vergognavano della loro stessa inadempienza, e questo non portò ad altro che il silenzio della reticenza. "Nulla di grave. Devo solo cambiare registro" si disse Maemi, pronta a procedere esattamente come si era prefissata. Fece un sospiro, per poi abbassare l'arma e allontanarsi di qualche passo; si sedette su un masso lì vicino, mettendosi comoda con le gambe accavallate e la faccia verso i suoi interlocutori. Non rimise la spada al suo posto, ma piuttosto se la rigirò tra le dita, un monito per gli altri shinobi che il pericolo era sempre dietro l'angolo. «Cerchiamo di ricominciare col piede giusto, che dite? Allora: Yamaguchi si cela tra voi o no?»
    «No» rispose il capo della squadra, e pressoché all'unisono con lui altri due Genin.
    «Allora probabilmente lui vi ha colpiti con il suo Chakra, ed in qualche modo ve lo ha affissato addosso, sfruttandovi per attirarmi da voi anziché da lui. Sospettava che lo stessi seguendo, ed avrà intuito quello che sono in grado di fare. È furbo, quel bastardo...» borbottò Maemi tra sé e sé.
    Il capo squadra sbuffò. Era rigido come un paletto di legno, ma negli occhi risplendeva una furia mal repressa. «Deve essere stata una coincidenza» confidò a denti stretti, stringendo le mani in una morsa. «O per lo meno non il suo obiettivo. Ci ha attaccati mentre facevamo da guardia ad un antico manufatto, ed abbiamo combattuto per esso».
    «Antico manufatto...» mormorò Maemi, con un profondo cipiglio. Si portò una mano davanti alla bocca, tracciando con il polpastrello dell'incide il profilo delle labbra in un moto pensieroso. «Per caso parli di quella spada del Paese delle Foreste? Lo stesso che hanno rubato al museo di Degarashi?»
    «E tu come lo sai?»
    «Secondo te? I giornali ne parlano da giorni. Questo vuol dire che è stato Yamaguchi a rubarla... tipico. Dopotutto è un cacciatore di tesori, in caso non lo sapeste».
    «Giornali?» mormorò lui debolmente. Era impallidito tutto d'un tratto. «Siamo a questi livelli?»
    «E non solo» disse Maemi, non riuscendo a sopprimere un sorriso. «Non avevo collegato i punti, ma ora mi sembra chiaro. Alcune testate parlavano di ninja stranieri che avevano segretamente fatto da guardia al manufatto... allora non erano dei complottisti, siete proprio voi. Sembrerebbe che il vostro coinvolgimento sia trapelato, in qualche maniera. Molti vi stanno già additando come i veri responsabili del disastro, e non credo che al governo centrale dispiaccia questa visione dei fatti».
    «Ma non è vero! Ho fatto rapporto, ho detto loro tutto quello che è successo...»
    «E credi davvero che basterà questo per farvi uscire puliti?» lo incalzò Maemi, la voce improvvisamente più dura. «Sai cosa cercheranno di fare, quelli di Degarashi? Diranno che i vostri rapporti sono sospetti, che in realtà vi siate inventati tutto per cercare di darvi la colpa. Lo sapete che il Paese delle Foreste sarà furioso e vorrà un colpevole da punire, vero? Il Paese del Té cercherà di lavarsene le mani, arrivando addirittura ad insinuare che siate complici del ladro, e il vostro Villaggio non saprà dove sbattere la testa. La cosa più facile sarà punirvi in maniera esemplare, in modo da appagare tutte le parti».
    «Suoi complici?!» tuonò il Chuunin, gli occhi sporgenti come se avesse visto un incubo. «Stronzate! Chi mai crederebbe che ci sporcheremo la carriera per un criminale e per della ferraglia?»
    «Non credo dobbiate dimostrarlo a me, anche se sarei curiosa di sapere per cosa vi sporchereste la carriera. A quel punto nessuno sarà veramente interessato alla verità: in mancanza del vero colpevole, dovranno solo trovare un capro espiatorio. E voi, miei cari compagni, siate sacrificabili».
    Lasciò una pausa nel mezzo, per permettere alle informazioni di affondare nella loro mente. Le facce dei Genin erano tutte terrorizzate: senza nessun problema avevano creduto all'ipotesi della kunoichi, perché la trovavano sensata, perché un po' sapevano che il mondo non era giusto e loro erano alla fine della catena alimentare. I singoli ninja, in mezzo alle dispute più ampie dei vari Paesi, non contavano nulla.
    Maemi fece di tutto per controllare la propria espressione. Ora, dopo la bomba distruttiva, serviva gettare l'ancora di salvezza. «Sapete cosa può risparmiarvi?»
    Le facce degli shinobi scattarono verso la sua, gli occhi infestati che pendevano dalle sue labbra. La kiriana sorrise. «Io. Se dovessi riuscire a catturarlo grazie alle informazioni che mi avete dato, potrei riuscire a dimostrare che il vostro rapporto rispecchia la realtà. E con il ladro in catene, e magari il manufatto recuperato, verrete sollevati da tutte le accuse e considerati solo dei poveri sfortunati, che si erano trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato».
    «Sfortunati fino ad un certo punto... abbiamo subito un attacco a sorpresa» confessò il Chuunin, e dal modo in cui aveva smesso di tremare, Maemi capì che aveva ceduto. Adesso era suo, come lo erano tutti gli altri. «E, sebbene ci aspettassimo rogne, il tutto è avvenuto in un modo ancora non del tutto chiaro nemmeno a noi, tanto che ancora non abbiamo perfettamente idea di quel che è successo. Però fatto sta che siamo stati attaccati, accecati ed intrappolati in Genjutsu. Se vogliamo, si può dire che è finita nel momento stesso in cui è iniziata. Quando siamo tornati in noi, il manufatto era sparito».
    «Praticamanente non avete nulla in mano».
    Qui, il Chuunin esitò un attimo. «In realtà siamo riusciti ad inseguirlo dopo».
    «Come?»
    «Ci aspettavamo rogne, come ho già detto, o non saremo stati messi a guardia del manufatto, quindi abbiamo nascosto un trasmettitore all'interno del pomolo filettato».
    «Oh...» fu l'unica cosa che uscì dalla bocca di Maemi, con il tono a metà tra il sorpreso e l'incredulo. "Non so se considerarla una pensata geniale, o estremamente stupida" commentò tra sé e sé, conscia dell'altra faccia della medaglia. "Se si venisse a sapere, questi tre agli occhi di Degarashi e delle Foreste hanno profanato il manufatto, un danno incalcolabile. Che spiegherebbe anche la loro reticenza nel raccontare troppi dettagli, e soprattutto sembra che non abbiano fatto menzione dell'inseguimento"
    «Così non appena ci siamo ristabiliti tutti quanti, ci siamo subito messi ad inseguirlo sfruttando la pista del trasmettitore. Ma è riuscito a neutralizzarci una seconda volta, e la traccia del trasmettitore è svanita. Deve aver sospettato qualcosa, perché ha fatto in modo di non lasciarci tracce dopo essersi preso un bel vantaggio sulla distanza, quindi non è da escludere che abbia capito il trucco e si sia sbarazzato del trasmettitore».
    "Invece andare a riprenderlo, sempre voi, da soli, non è stata una grande idea" così Maemi terminò il suo flusso di pensieri, un sopracciglio inarcato e le braccia conserte. Evitò di dirlo, sia perché non avrebbe sciolto le loro lingue e sia perché sapeva in realtà potevano esserci innumerevoli variabili che avevano impedito loro di chiamare aiuto. "Tra cui anche aver svitato il pomolo sull'elsa per nasconderci un trasmettitore, un'aggravante al furto, e volevano che tutto si trasformasse in un brutto incubo anzi che in una macchia sui loro curricola".
    Fece passare un respiro secco tra i denti. «Ma com'è possibile che vi sia sfuggito? Eravate in maggioranza e con l'effetto sorpresa dalla vostra». Se da un lato Maemi recitava la sua parte per estrapolare informazioni al gruppo, dall'altro era seriamente incredula dell'accaduto. In un primo istante rivalutò le sue asserzioni precedenti sul poterla scampare contro quei quattro, ma subito dopo si concentrò sulla cosa più importante: capire perché per ben due volte non ce l'avevano fatta. "Che magari può far luce sulle zone d'ombra presenti nelle informazioni dello Zoppo".
    «Quel fottuto arco...»
    «Shino, modera il linguaggio quando sei con me!» lo rimproverò il Chuunin.
    «Arco...?» incalzò Maemi.
    Il Chuunin esitò ancora, il suo senso del dovere che cozzava con l'egoistico desiderio di salvarsi la faccia. La ragazza si chiese se non avesse ricevuto ordini precisi di non parlare dell'accaduto con nessuno, e questo avrebbe spiegato la reticenza.
    «Per favore, i segreti non mi aiuteranno a riabilitarvi» disse allora Maemi, fissandolo negli occhi.
    Il ragazzo la fissò per un attimo che parve interminabile. Dopodiché fece un sospiro sconfitto, e le spalle si accasciarono. «La prima volta che abbiamo avuto a che fare con lui, non ci siamo resi conto di cosa ci è successo. Solo Miyoshi» disse il Genin indicando la sua compagna. «...è riuscita a vedere dei fasci luminosi che ci avevano colpiti come frecce, prima di venire colpita a sua volta per ultima e finire in un Genjutsu come tutti noi».
    «Quando lo abbiamo inseguito dopo il furto...» continuò, con un grande sospiro anticipatorio, consapevole che ormai fossero in ballo. «Durante il combattimento abbiamo visto il suo arco trasformarsi in una sagoma abbagliante in grado si scagliare quei dardi strani».
    «Ed ancora siete finiti preda dei suoi Genjutsu?»
    I ninja di Tanigakure annuirono.
    "Però nelle informazioni su questo Yamaguchi, non vengono annoverate particolari doti nei Genjutsu e men che meno nell'utilizzo di un arco come arma da combattimento" rifletté lei. Ma, come aveva teorizzato nel suo incontro con lo Zoppo, fare il cacciatore di tesori portava a grandi vantaggi: se davvero l'arma era il centro di tutto, Maemi doveva trovarla. Una cosa così particolare non poteva rimanere nelle mani di criminali senza scrupoli.
    ChakraMentaleMalus/Bonus
    » 235-8-8-8=211;»Concentrata;» Nessuno;
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    Armi da LancioAccessori
    Kunai = 10Kunai = 10Fili Metallici = 30 mtFili Metallici = 30 mt
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    Senbon = 20N.A.Torcia ElettricaRadiolina
    Foderi
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    Rotolo Minore
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    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati ad uno Shuriken Maggiore;
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati a due Shuriken: quindici ciascuno;
    » Venti metri di Filo Metallico sono legati ad un Kunai;
    » Tre Cartebomba sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Cartebomba Fasulle sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Palle Gelo sono legate ad altrettanti Kunai;
     
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    «Parlato Maemi» - "Pensato Maemi" - «Parlato reporter 1» - «Parlato Zoppo» - «Parlato reporter 2»

    Atto III: Preparativi


    Data: 2 marzo.


    Il secondo di marzo era una giornata calda e noiosa. Un reporter per il giornale nazionale aveva sostituito la sua veneranda macchina fotografica con una nuova, una modello all'avanguardia, e, sebbene rimpiangesse ancora la perdita della sua vecchia amica, sapeva che quella nuova, come una giovane amante, aveva mille qualità ancora tutte da scoprire e da apprezzare. Gli era stata data in omaggio, a lui così come ad altri venti giornalisti, nella speranza che il nuovo modello si diffondesse velocemente nella comunità di professionisti. Quale miglior avvenimento per testarla, allora, se non ad un incontro super segreto con chi professava di avere un micidiale scoop sulla Spada dell'Eroe Dimenticato?
    La sua fonte si rivelò essere una ragazzina che poteva essere sua figlia, con dei lunghi capelli scarlatti. Aveva un faccino giovane, ma gli occhi duri di chi non avrebbe esitato a spezzarti un braccio, se solo avessi detto una parola di troppo.
    «Prego» era stata la prima cosa che gli aveva detto, porgendogli una involucro di carta, che conteneva sicuramente qualcosa di rigido. Si erano incontrati in un parco, dove una manciata di persone faceva scorrazzare i propri figli e animali domestici nell'erba alta. «Credo che questo possa spiegare meglio delle mie parole».
    Il reporter fregò dentro il sacchetto, abbassò lo sguardo e notò subito che si trattava di una fotografia. Anzi, tre fotografie, ma tutte uguali: ritraevano un gruppetto di shinobi con il coprifronte di Tanigakure, quello al centro - il più alto - che teneva tra le mani una spada antica ed infinitamente decorata, con la stessa delicatezza di chi prende in mano un neonato; la kunoichi al suo fianco, invece, teneva ben alzato un giornale datato il primo marzo di quell'anno.
    Gli occhi chiari del reporter strabuzzarono. «Ma questa...!»
    «È la Spada dell'Eroe Dimenticato» annuì la ragazza, facendo ballare le sue ciocche scarlatte. Pareva soddisfatta della sua reazione. «E come vede, la foto è scattata dopo la rapina».
    «Ma com'è possibile?»
    «La spada non è mai stata rubata: il ladro si è portato via un falso, al cui interno è stato inserito un trasmettitore in modo da poter rintracciare e arrestare il criminale, così da punirlo e farne un esempio per tutti. Purtroppo lui si è rivelato più duro del previsto, e ci è scappato».
    «Ma...» boccheggiò il tizio, facendo fatica a riprendersi dal proprio sbigottimento. «E perché non è stato reso noto subito dopo la rapina? Attendere così tanti giorni... rischiare un incidente diplomatico con Tani e Mori...»
    «Era necessario, per la sicurezza dell'artefatto. Se il Mukenin avesse sospettato che si trattava di un falso, sarebbe potuto tornare sui suoi passi e fregarcelo veramente. Abbiamo aspettato che le acque si calmassero, prima di tirare un sospiro di sollievo».
    Il giornalista iniziò a tirare fuori penna e taccuino. «Erano in pochi a sapere di questa storia?»
    «Pochissimi, ovviamente, ma non posso fare nomi».
    «E tu chi saresti? Qual è il tuo ruolo in tutto questo?»
    «Non mi è permesso dirlo. Al limite posso definirmi una... consulente esterna, anche se non è il termine più appropriato».
    Il reporter continuò a tartassarla di domande, a volte arrendendosi ai suoi no, altre volte cercando di aggirarli con domande furbescamente poste in maniera diversa, ma puntando alla stessa sostanza. La ragazza senza nome, tuttavia, rispondeva con precisione chirurgica e senza lasciar trapelare nessuna emozione particolare, accorgendosi ed evitando le trappole senza fare una piega, come una macchinetta che andava di energia propria. Il cielo fece tempo a colorarsi di un arancio rossastro, e il vento farsi sempre più gelido quando il professionista, rabbrividendo e stringendosi di più nel suo cappottino, decide che era arrivato il momento di far terminare lì il loro incontro. Una stretta di mano, un piccolo inchino con la testa, e si lasciò alle spalle la ragazza con un passo baldanzoso, in faccia un ghignetto che non riusciva a spegnere. Che notizia! Che gioia, per lui e per il suo reparto al giornale. La prima cosa che avrebbe fatto, una volta tornato in ufficio, sarebbe stato contattare un suo informatore all'interno dei reparti pubblici di competenza così da confermare quanto appena detto. Giusto per scrupolo: aveva abbastanza esperienza nel campo da fiutare un racconto vero, distinguendolo da una storiella inventata. Quella ragazza aveva dato troppo particolari, fatto troppi nomi e troppe coincidenze che pareva azzeccate, per non sapere il fatto suo. Ma comunque una conferma era doverosa, e lui aveva gli agganci giusti. Diavolo, avrebbe fatto rivoltare dalla sedia tutti quegli scansafatiche al dipartimento pubblico, se questo gli avrebbe assicurato un titolone in prima pagina per l'edizione del mattino!

    Quell'articolo uscì, creando uno scompiglio generale come non ce n'era stato da parecchi giorni. Ma questo c'era da aspettarselo; un evento più in piccolo, ma comunque importante da menzionare fu un altro incontro tenutosi quella stessa mattina, tra un giornalista ed un informatore, ma in un luogo diverso e con protagonisti diversi. Una ragazza faceva da reporter, con un naso schiacciato e gli occhi animati dalla ferocia di chi doveva raggiungere in fretta i vertici del mestiere.
    «Perché questa storia non è saltata fuori prima?» accusò veemente la ragazza, scrivendo furiosamente qualcosa sul suo quadernino. «Perché non da noi? Siamo stati i primi a coprire questo incidente, la prassi non è questa».
    «Non è stata mia la decisione di divulgare quel tipo di informazioni».
    Il suo interlocutore non era altro che lo Zoppo, lo sguardo stoico e la gamba che tremolava anche da seduto. Si trovavano in una pasticceria di medio tenore, in una zona ovviamente appartata e gli occhi dello Zoppo che controllavano tutto peggio delle telecamere di sorveglianza; davanti a loro c'erano due tazze di tè contornate da una fetta di morbido dorayaki, al momento intonse e dimenticate.
    «E di chi è stata, allora!?» scattò la tipa, sbattendo furiosamente sul tavolo tondo il pugno armato di penna. «Abbiamo puntato noi il dito contro quegli incapaci di Tani, sotto vostra richiesta. E adesso questo! Ha idea del danno che questa notizia avrà sulla nostra credibilità come...?»
    «Abbassi la voce» l'avvertì il signore, il tono calmo ma inflessibile come l'acciaio. «O mi rivolgerò a qualcuno di più professionale per rivelare altre informazioni sensibili».
    Quella frase riuscì ad attirare l'attenzione della giornalista; le orbite scattarono all'insù e la bocca si arrestò lì, mezz'aperta, in una smorfia piuttosto ridicola. «Altre informazioni? Vuol dire che c'è dell'altro?»
    «Non parlerei di informazioni vere e proprie, quanto più di voci di corridoio. Voci a cui darei adito, se capisce cosa intendo» e le lanciò uno sguardo significativo. «Io non ero a conoscenza di questo scambio, e sì che ero uno dei maggiori responsabili per tutta l'operazione. Una mossa del genere non mi sarebbe dovuta scappare».
    «Che cosa sta insinuando?»
    «Non è ovvio? Penso, e non lo penso solo io, che tutta quella storia sia una frottola, una macchinazione inventata dagli shinobi di Tani - magari sotto ordine del loro stesso Villaggio».
    Gli occhietti della tipa si assottigliarono. «E perché farlo? Quale sarebbe lo scopo ultimo?»
    «Altre domande stupide?» Lo Zoppo sbuffò. «Creare una copertura per quelli di Tani, ritardare il disastro nel tentativo di insabbiare l'insabbiabile... magari sperare che il ladro si faccia comodamente avanti e ci restituisca quello che lui crede sia un falso, giusto per essere educati».
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    Edited by Skipio - 6/6/2022, 11:49
     
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    «Parlato Maemi» - "Pensato Maemi" - «Parlato Yamaguchi»

    Atto IV: Danze tra i ruderi


    Data: 6 marzo.
    Un clangore di spade che si scontravano smosse l'immobilità della foresta, facendo scappare via gli uccelli che si sollevarono dal fogliame come nuvolette di puntini neri. Al centro dell'isola principale, nei pressi di una cittadina abbandonata vicino a Degarashi Port, c'erano i resti di un antico anfiteatro; le colonne di roccia erano cadute, l'edera si era impadronita delle parti più esposte alla luce, mentre il pavimento bianco pareva scavato come la carie su un dente, con i gradoni che ormai avevano perso la loro forma originaria.
    Al centro di tutto questo, due shinobi si stavano scontrando, l'impeto di entrambi che rintoccava insieme al clamore delle lame poste a fronteggiarsi. I capelli scarlatti avvolgevano la figura di una ragazza, assecondandole i movimenti ed ondeggiando come se avessero vita propria, la veste che le aderiva al corpo e poi si gonfiava ad ogni scoccata di spada, ad ogni calcio e ad ogni torsione dei muscoli. Dall'altra parte, partecipante di quella danza letale, c'era un ninja che poteva avere pochi anni più di lei: era alto, con il volto allungato e sotto gli occhi due tatuaggi neri che somigliavano a delle lacrime perfettamente diritte, fermandosi a metà guancia. Il resto era un tripudio di nero: gli indumenti, il mantello e i capelli iridescenti erano tutti scurissimi. In mano gli luccicava la lama di una Kurarigama
    «Sei tu, quella di cui parlavano!» ringhiò il ninja, scivolando all'indietro dopo aver parato un sonoro calcio. «Sei tu a custodire la spada. Dammela!»
    Maemi si arrestò, acquattata come un gatto, e non riuscì a contenere un sorriso. «Ti stai sbagliando» chiarì, sentendo il petto gonfiarsi di orgoglio. «Non è che ce l'ho io. Io sono la spada».
    Gli occhi del ninja si allargarono, le mani si strinsero ancora più forte all'elsa. «Che cosa...?»
    «È stata tutta una trappola. Quella spada che hai visto in foto ero io, trasformata» chiarì Maemi, rimettendosi in posizione eretta. «Ho chiesto che si diffondesse la notizia il più velocemente possibile, affinché arrivasse alle tue orecchie. E poi il pettegolezzo che in realtà fosse tutta una bufala, per instillarti il dubbio ed impedire che tu gettassi il cimelio, pensando che fosse effettivamente un falso».
    Il volto allungato del Mukenin di Kiri calò una consapevolezza che si mischiò alla rabbia. Era stato fregato, capì; non aveva preso in considerazione che Kiri si immischiasse in quell'affare. Cavoli, erano stati veloci.
    «Ti è venuto il dubbio, quando hai capito che c'era un trasmettitore dentro il pomolo, vero?» lo stuzzicò Maemi, il cui tono beffardo era paragonabile ad una presa in giro vera e propria. «Per questo non sei fuggito subito. Dovevi assicurarti di non scappare con un falso; chi sarebbe così stupido da profanare un reperto storico originale, dopotutto? E quando hai letto quell'articolo... i tuoi peggiori timori parevano confermati. Poi è stato semplice lasciarti le molliche di pane, per condurti qui dove credevi avresti trovato la spada originale».
    Yamaguchi snudò il labbro, ringhiando. A Maemi scappò un risolino, levandosi una ciocca da davanti la fronte. Aveva centrato in pieno: nulla le diede più soddisfazione nel capire che era riuscita a predire i suoi ragionamenti, che gli era entrato nella testa senza averlo mai visto in faccia. Era in controllo, era in potere, e questa consapevolezza le diede una scarica di energia inebriante che l'attraversò da capo a piede.
    «Brava, complimenti» rispose Yamaguchi, ribattendo al tono beffardo che con il proprio tono beffardo, con evidenti infiltrazioni di rabbia. «Bel piano per scavarti la tomba».
    Affondò la lama della Kusarigama nella venatura di una roccia, dopodiché formulò una serie di Sigilli ben nota e schiaffare il palmo della mano sul pavimento. Da uno sbuffo di fumo si generarono due serpentoni che strisciarono veloci verso la direzione della ragazza, sibilando e ondulando minacciosi. Maemi preparò la spada, decisa a mozzar loro la testa, quando quelle aprirono d'improvviso la bocca per sputare tutta una serie di serpentelli più piccoli, che ne fecero uscire altri a loro volta come una matriosca. Quello fu un effetto a sorpresa che riuscì a prenderla in contropiede, e prima che se ne accorgesse si ritrovò gli arti inferiori e - solo parzialmente - quelli superiori invasi da viscidi rettili.
    Kuchiyose no Jutsu - Tecnica del Richiamo
    YkrtwxH
    Villaggio: Tutti
    Livello: C
    Tipo: Ninjutsu
    Quest'abilità viene appresa esclusivamente da Shinobi dal rango Chuunin in poi. Non per la complessità stessa dell'abilità, ma in particolare tale normativa tutela gli Shinobi privi d'esperienza in modo che non facciano una scelta avventata ed errata. Una volta stipulato un Contratto con una razza animale infatti, non sarà più possibile tornare indietro e vi si rimarrà legati a vita. Le evocazioni necessitano di una notevole quantità di Chakra emessa tutta insieme per esser evocate, e per questo può risultare di difficile utilizzo. Per utilizzare la tecnica bisogna versar anche una minuscola goccia del proprio sangue per poi formare la serie di Sigilli necessari per l'esecuzione del Jutsu, che sono i seguenti: Cinghiale, Cane, Gallo, Scimmia, Pecora.
    Per riuscire ad evocare taglie Grandi è necessario il grado Sp.Jounin, per le Leggendarie quello ANBU.
    Consumo: 10

    Serpenti Chimera
    SerpentiChimera
    Le dimensioni di queste serpi corazzate possono raggiungere i cinque metri di lunghezza. Il loro potere offensivo è elevato rispetto alla maggior parte delle Taglie Piccole, infatti con un semplice morso possono arrivare a causare fino a danni medi. Ciò nonostante, esse concentrano tutta la propria forza nella grossa testa e non sono in grado di stritolare l'avversario, tutt'al più riusciranno a limitarne leggermente i movimenti avvolgendone il corpo o gli arti. Non potendo comunicare in alcun modo con l'utilizzatore sono principalmente utilizzati in battaglia. La loro velocità è alta, ed ognuno di essi può essere ucciso con un Jutsu di livello D o un colpo di arma ben assestato, o in alternativa basterà un Jutsu almeno C per distruggerli a gruppi. È possibile evocarne più gruppi ripetendo la Kuchiyose. In quanto, nonostante la loro particolare natura, restino pur sempre delle serpi, sono in grado di percepire il calore mediante la lingua, grazie alla quale hanno anche un notevole olfatto.
    Serpenti Chimera Evocabili: [Chuunin: 2; Sp.Jounin: 3; ANBU: 4]

    Dakoumou - Rete di Serpenti
    rete
    Villaggio: Tutti
    Livello: C
    Tipo: Ninjutsu
    Tramite questa tecnica sarà possibile far uscire dalla bocca dei due Serpenti Chimera una trentina di copie in tutto, seppure di più piccola dimensione, con l'unico scopo di avvolgere i nemici in una fortissima stretta. La tecnica può cogliere di sorpresa il nemico perché i nuovi serpenti usciranno man mano dai serpenti usciti in precedenza formando così una vera e propria rete. La tecnica copre un'area lunga dieci metri e larga cinque ma i serpenti possono essere facilmente tagliati utilizzando armi comuni.
    Consumo: 4

    Maemi strinse i denti, contenendo un'imprecazione di schifo. Le avevano subito bloccato il braccio con la spada, fermandole le articolazioni e impedendole di maneggiarla. Non le rimase altra scelta che utilizzare la mano destra per comporre l'unico Sigillo necessario per la sua sola Tecnica Raiton difensiva. "Raiton: Ryūshutsu!"
    Raiton: Ryūshutsu - Scarica
    nvbz
    Villaggio: Tutti
    Livello: C
    Tipo: Ninjutsu
    Tramite questa Tecnica, che ha scopi prevalentemente difensivi, si eseguirà un singolo Sigillo per avvolgere il proprio corpo con scariche elettriche. La Tecnica ha una durata massima di tre secondi, durante i quali sarà necessario rimanere immobili e mantenere il Sigillo, sempre se non si desideri interromperla prima. Le scariche arrivano fino a cinquanta centimetri dal corpo dell'utilizzatore, creando una sorta di campo protettivo. La Tecnica viene usata in due modi: per scrollarsi di dosso un eventuale avversario o come difesa. Nel primo caso le scariche elettriche causeranno danni medio-lievi da Scossa e un malus motorio di un grado per un Turno, a chiunque si trovi entro la portata del Jutsu. Nel secondo caso le scariche proteggeranno l'utilizzatore da un singolo Ninjutsu di livello C, ma in quel caso si estingueranno subito dopo aver sortito il loro effetto.
    Consumo: 4

    Le ventose che erano quei piccoli serpenti persero aderenza, crollandole ai piedi in un lieve odore di bruciato. La mano armata di Maemi fu nuovamente libera, e lei iniziò a concentrarsi sui due serpenti principali quando, senza preavviso, un fascio di luce insieme ad una sorta di crepitio attirò la sua attenzione; alzò lo sguardo, e in direzione dell'avversario ebbe la fugace visione di una freccia massiccia, fatta di luce bluastra, prima che questa la colpisse allo sterno.
    Tutto il suo corpo si irrigidì. I serpenti davanti a sé sfruttarono la sua distrazione per arrotolarsi attorno alle caviglie, risalire velocissimi e aprire la bocca per scoprire dei denti aguzzissimi, che affondarono nel suo collo strappandole pelle e carne. Lo shock colpì il cervello di Maemi come uno schiaffo in faccia, il corpo congelato dall'orrore e dalla terrificante consapevolezza che era finita, era finita...
    Kaijo • Maboroshi Dātsu - Rilascio • Dardo Illusorio
    b9OxHXQ
    Livello: B
    Tipo: Ninjutsu
    Il Rilascio della Decima trasformerà l'Arco in un ammasso di Chakra azzurro brillante sul dorso della mano che lo impugna. Il Chakra così rilasciato non ostacolerà in alcun modo l'utilizzatore dalla composizione di Sigilli o quant'altro. Quando l'utilizzatore desideri sfruttare il potere dell'Arco, gli basterà tendere la mano per materializzare un vero Arco composto di puro Chakra ed una freccia dello stesso materiale nell'altra mano. A quel punto l'utilizzatore dovrà tendere l'Arco materializzato per scoccare questo proiettile di Chakra a velocità alta con gittata massima di cento metri, che sarà in grado di passare attraverso a qualsiasi materiale solido e Jutsu fino al livello B senza alcuna difficoltà. La particolarità di questa freccia è che, se colpisce, essa farà automaticamente cadere il proprio bersaglio in un Genjutsu massimo di livello A che dovrà essere pagato dall'utilizzatore al momento in cui scaglierà la freccia stessa. Il bersaglio divenuto vittima del Genjutsu dovrà pagare oltre al Costo del Genjutsu anche il Costo della Freccia impiegato per esso oppure subire una ferita di mezzo-grado superiore a quella normalmente necessaria per dissolverlo.
    Consumo: 8 (A Freccia)

    Shikumi no Jutsu - Tecnica Della Morte Vissuta
    GVJh
    Villaggio: Tutti
    Livello: A
    Tipo: Genjutsu
    Questa straordinaria illusione, permetterà all'utilizzatore di far visionare nella mente della vittima, la scena della sua morte. Lo shock che proverà quest'ultima sarà notevole e vedrà ogni cosa dagl'occhi di se stessa ma portata ad uno stato critico. Questo jutsu per essere effettuato richiede una condizione, ovvero quello di incrociare il proprio sguardo con quello della vittima. La visione è chiaramente dettata dall'utilizzatore e la strategia più utile, è quella di non far cambiare l'ambiente circostante ed ottenere una morte realistica dell'avversario, così che egli non capisca sia un illusione. E' possibile muoversi, ma solo leggermente, durante il Genjutsu. Per uscire dal Jutsu bisogna infliggersi una ferita di medio-grave entità. Se la tecnica va a segno l’avversario subirà un malus fisico-motorio pari a due gradi per Tre turni oltre a essere visibilmente scosso e, nel peggiore dei casi, quasi paralizzato.
    Consumo: 15

    Poi un dolore acuto la fece capitombolare alla realtà. Uno dei due serpentone le si era arrotolato alla gamba, mordendole la coscia con i suoi denti, che non erano però paragonabili ai rasoi che aveva visto un attimo prima. L'altro aveva appena puntato al suo fianco ma con un fendente animato, la ragazza lo tagliò in due prima che riuscisse nel suo intento. «Via!» esclamò Maemi infuriata, tirando fuori il Tanto e falciando l'animale attaccato alla sua carne, tranciandogli di netto la testa; la cortezza della lama le permise maggior precisione, evitando di farsi male.
    Rialzò lo sguardo per puntarlo sull'avversario. Lo trovò lì dove l'aveva lasciato, con un arco in mano, in posizione. Ma l'arco non aveva nulla di simile ad un'arma tradizionale: era formato da puro Chakra bluastro, troppo ampio e possente per poter essere maneggiato, eppure Yamaguchi sembrava sapere cosa fare. Tirò indietro il braccio destro, e Maemi vide sotto i suoi la creazione di una freccia dello stesso materiale.
    La ragazza sussultò. "È quello...?"
    La mano del Mukenin rilasciò la freccia, che scoccata viaggiò lesta verso di lei. Questa però era preparata, ed utilizzò una mano per comporre dei Sigilli difensivi.
    Kaijo • Maboroshi Dātsu - Rilascio • Dardo Illusorio
    b9OxHXQ
    Livello: B
    Tipo: Ninjutsu
    Il Rilascio della Decima trasformerà l'Arco in un ammasso di Chakra azzurro brillante sul dorso della mano che lo impugna. Il Chakra così rilasciato non ostacolerà in alcun modo l'utilizzatore dalla composizione di Sigilli o quant'altro. Quando l'utilizzatore desideri sfruttare il potere dell'Arco, gli basterà tendere la mano per materializzare un vero Arco composto di puro Chakra ed una freccia dello stesso materiale nell'altra mano. A quel punto l'utilizzatore dovrà tendere l'Arco materializzato per scoccare questo proiettile di Chakra a velocità alta con gittata massima di cento metri, che sarà in grado di passare attraverso a qualsiasi materiale solido e Jutsu fino al livello B senza alcuna difficoltà. La particolarità di questa freccia è che, se colpisce, essa farà automaticamente cadere il proprio bersaglio in un Genjutsu massimo di livello A che dovrà essere pagato dall'utilizzatore al momento in cui scaglierà la freccia stessa. Il bersaglio divenuto vittima del Genjutsu dovrà pagare oltre al Costo del Genjutsu anche il Costo della Freccia impiegato per esso oppure subire una ferita di mezzo-grado superiore a quella normalmente necessaria per dissolverlo.
    Consumo: 8 (A Freccia)

    Jigoku Kōka no Jutsu - Tecnica della Discesa Infernale
    GVXP
    Villaggio: Tutti
    Livello: B
    Tipo: Genjutsu
    Questa Tecnica crea un'Illusione nella quale una tremenda palla di fuoco dal diametro di venti metri cade dal cielo, in un luogo designato a scelta dell'utilizzatore. Il Genjutsu ha effetto su chiunque si trovi entro un raggio di trenta metri dallo Shinobi. Quest'ultimo per utilizzare il Jutsu deve comporne i Sigilli e chiunque ne sarà vittima vedrà incombere l'enorme palla di fuoco e tenterà quindi di fuggire o di contrastarla come se fosse reale. In questo modo ci si potrà spostare indisturbati fruttando la distrazione appena creata o cercare di colpire a sorpresa, mentre l'attenzione è posata sulla palla di fuoco, che si schianterà al suolo causando una grande esplosione. L'Illusione è molto realistica e chi la subisce percepirà come reali anche eventuali danni all'ambiente circostante causati dalla sfera infuocata al momento dell'impatto. I Sigilli di questa tecnica sono gli stessi della Tecnica del Richiamo e chi dovesse osservarli, se in possesso di tale Jutsu, sarà quindi ulteriormente portato a credere che l'utilizzatore abbia evocato l'imponente palla di fuoco che si sta abbattendo su di lui. Il soggetto colpito dall'Illusione avvertirà bruciature di medio-grave entità una volta colpito dalla palla di fuoco, che svaniranno soltanto al termine del Genjutsu che dura fino al termine del Turno successivo.
    Dissolvibile con una ferita media.
    Consumo: 8


    Suiton Shubi Suitenhōfutsu - Orizzonte Acquatico Difensivo
    GVxP
    Villaggio: Tutti
    Livello: C
    Tipo: Ninjutsu
    Dopo aver eseguito i Sigilli necessari, il Ninja concentrerà il proprio Chakra d'elemento Suiton in modo da creare intorno a sè una bolla d'acqua, che fungerà da barriera contro Taijutsu e Ninjutsu di livello C ed inferiori, Armi metalliche, Cartabomba e simili. Non sarà possibile eseguire Tecniche al suo interno, né spostarsi mentre la Tecnica è attiva.
    Consumo: 4 (A Turno)

    Attorno a sé si innalzò una cupola d'acqua, che la circondò e la protesse dal pericolo incombente. Ma la freccia di Chakra procedette imperterrita, trapassando la barriera e colpendo il braccio della ragazza come se la difesa nemmeno esistesse. Il respiro di Maemi le si bloccò in gola, e immediatamente avvertì sopra la sua testa una sensazione di calore estremo, unito ad un improvviso luccichio. Alzò la testa, la cupola che si riaprì sopra di lei lasciando spazio alla terrificante visione di un sole incandescente che dal cielo si abbatteva su di lei. Le sue mani si irrigidirono. "È un'Illusione!" si disse, in un tentativo di convincere la parte più viscerale della sua mente. Ora aveva capito, dopo averlo provato sulla propria pelle: doveva essere una sorta di Tecnica, che generava una maniera alternativa per lanciare i Genjutsu, permettendo di saltare tutta la trafila di Sigilli, scambi di sguardi eccetera. Somigliava soltanto ad un'arma.
    Maemi si attivò subito: concentrò una buona quantità di Chakra nell'occhio sinistro, causando un restringimento vertiginoso della pupilla, e quando la riaprì vide finalmente il mondo per quello che era. E vide l'avversario che la stava caricando con la Kusarigama Maggiore, l'arco di Chakra sparito e sostituito con un ammasso azzurrognolo sul dorso della mano.
    Men'eki-me - Occhio Immune
    GQQZgHS
    Villaggio: Tutti
    Livello: B
    Tipo: Doujutsu
    Nel momento in cui si prende la Specializzazione si dovrà scegliere uno dei propri occhi che potrà usare questa tecnica. L'occhio scelto diventerà immune a qualsiasi Genjutsu, rendendo di conseguenza qualsiasi arte illusoria che abbia come vittima la vista del soggetto inutile. Per utilizzare il Doujutsu sarà necessario aver chiuso l'occhio prescelto durante gli istanti precedenti per accumulare il Chakra nella zona interessata, anche durante una tecnica in corso per poi aprirlo e attivare la tecnica. Ciò avviene grazie alla quantità di Chakra pompata nell'occhio speciale, la cui pupilla si restringerà fino a diventare un puntino mentre questa tecnica è attiva. Il nemico che sta utilizzando il proprio Genjutsu non riuscirà in alcun modo a percepire che la propria tecnica non stia funzionando, ed è questa apertura a rendere la capacità assai temibile.
    Utilizzabile per un massimo di tre Turni per combattimento.
    Consumo: 8 (A Turno)

    Se non fosse stato per l'occhio, probabilmente Maemi sarebbe stata colpita; invece, riuscì a frapporre all'ultimo la propria katana, sentendo tutto il peso dell'arma nemica. Liberò una mano a comporre una veloce esecuzione di Sigilli, e del Chakra elettrico iniziò a pervadere la katana, connettendosi al metallo della Kusarigama e colpendo infine Yamaguchi, che con un ringhio di dolore la levò subito in alto.
    Raiton: Denpa - Propagazione del Fulmine
    YxzI
    Villaggio: Tutti
    Livello: D
    Tipo: Ninjutsu
    Tramite questa Tecnica, dopo due rapidi Sigilli, l'utilizzatore potrà propagare su un qualsiasi oggetto metallico una violenta scarica elettrica allo scopo di folgorare chiunque ne entri in contatto, causandogli danni medio-lievi da Scossa oltre che un malus motorio di un grado per un Turno. La Tecnica necessita espressamente di propagare il Chakra di tipo fulmine su una superficie metallica, sulla quale si propagherà la scossa elettrica. Il Jutsu può quindi servire per potenziare un proprio attacco con un'Arma di metallo oppure per propagare la scossa attraverso varie superfici metalliche in successione, fino ad arrivare ad una distanza massima di tre metri. Sarà inoltre possibile propagare la scossa stessa nell'Arma che sta impugnando l'avversario. È possibile anche concentrare il Chakra in una singola Arma da lancio e poi successivamente lanciarla, ma in quel caso il Raiton presente sull'Arma non si propagherà ad eventuali superfici metalliche colpite.
    Consumo: 2

    Maemi cercò di sfruttare l'attimo con un calcio al costato, che andò tuttavia a vuoto quando Yamaguchi balzò un paio di volte all'indietro. A quanto pare aveva avvertito l'intorpidimento dei muscoli, e saggiamente preferito evitare uno scontro corpo a corpo.
    Era caduto in ginocchio a circa dieci metri da lei. Lo sguardo era incendiato. «Quell'occhio! Anche tu...»
    «Anche io cosa? Ci so fare con le Illusioni?» lo prese in giro Maemi, lasciandosi andare ad un risolino che non aveva nulla di divertente. Era più una reazione artificiale alla stress mentale di tutte le Illusioni che aveva subito. «Hai un'arma davvero interessante, Yamaguchi. È con quella che sei riuscito a fare il colpaccio, no?»
    Non attese una risposta. Infilzò la spada nel terreno e le mani davanti al busto che andarono a comporre una serie di Sigilli; ricercò con lo sguardo quello di Yamaguchi, con l'obiettivo di catturarlo in una delle sue più potenti Illusioni.
    E così fu. Il Mukenin avvertì uno sfrigolio alle sue spalle, e voltandosi vide solo una copia della ragazzina che stava per scagliarsi su di lui con in mano una lancia di Chakra Raiton. Strinse i denti, ma non riuscì a fare nulla: la lancia gli si conficcò nel centro del petto, aprendogli un buco lì dove c'era il cuore. Una scarica lo attraversò tutto, il sangue che gli risaliva dai polmoni come un fiume, straripandogli dalle labbra...
    Poi tutto terminò. I suoi polmoni tornarono a funzionare, e lui trasse un respiro profondo e tremante. La fronte era imperlata di un nuovo sudore freddo, mentre gli occhi tornavano alla sua avversaria, caldi e attenti come un animale spaventato.
    Shikumi no Jutsu - Tecnica Della Morte Vissuta
    GVJh
    Villaggio: Tutti
    Livello: A
    Tipo: Genjutsu
    Questa straordinaria illusione, permetterà all'utilizzatore di far visionare nella mente della vittima, la scena della sua morte. Lo shock che proverà quest'ultima sarà notevole e vedrà ogni cosa dagl'occhi di se stessa ma portata ad uno stato critico. Questo jutsu per essere effettuato richiede una condizione, ovvero quello di incrociare il proprio sguardo con quello della vittima. La visione è chiaramente dettata dall'utilizzatore e la strategia più utile, è quella di non far cambiare l'ambiente circostante ed ottenere una morte realistica dell'avversario, così che egli non capisca sia un illusione. E' possibile muoversi, ma solo leggermente, durante il Genjutsu. Per uscire dal Jutsu bisogna infliggersi una ferita di medio-grave entità. Se la tecnica va a segno l’avversario subirà un malus fisico-motorio pari a due gradi per Tre turni oltre a essere visibilmente scosso e, nel peggiore dei casi, quasi paralizzato.
    Consumo: 15

    Maemi aveva già ripreso in mano la spada: si stava scagliando su di lui con la stessa foga della sua copia immaginaria, contando sulle debilitazioni motorie causate al nemico dal Raiton. Questi però, dopo una breve serie di Sigilli, evocò due bracci d'acqua che si andarono velocemente ad avviluppare attorno al busto, bloccandole le gambe e dunque l'avanzata, oltre che stringersi attorno alle spalle. Gli occhi della ragazza strabuzzarono in allarme, ma riuscì temporaneamente a salvare la mobilità delle mani. Alzò gli occhi verso il Mukenin, e lo trovò che sogghignava, ricambiando il suo sguardo. Ottimo. Maemi compose un'altra sequenza di Sigilli, sufficientemente complessi per poter esprimere la Tecnica dello Spazio Temporale Illusorio.
    Suiton: Mizu Shibari - Costrizione Acquatica
    QPcgsso
    Villaggio: Tutti
    Livello: C
    Tipo: Ninjutsu
    Questa Tecnica necessita di una breve serie di Sigilli al termine dei quali dal pavimento alle spalle dell'utilizzatore, a distanza non superiore ad un metro, fuoriusciranno due getti acquatici semisolidi dal diametro circa venti centimetri ciascuno. Questi getti d'acqua si avvinghieranno a velocità medio-alta addosso ad uno o più avversari imprigionandoli ed impossibilitandoli al movimento. Per liberarsi da ciascun getto acquatico, che potranno colpire due bersagli differenti, sarà necessaria una Tecnica di livello C; se sono entrambi sullo stesso bersaglio, un Jutsu di livello B per liberarsi di entrambi o due C, una per ciascun getto, oppure possedere una Forza di due gradi superiore a quella dell'utilizzatore per liberarsi dalla stretta di un singolo getto, oppure di quattro gradi per liberarsi di entrambi.
    Consumo: 4 (A Turno)


    Jikūkan no Mira - Specchio Spaziotemporale Illusorio
    GVKF
    Villaggio: Tutti
    Livello: A
    Tipo: Genjutsu
    Per mandare a segno questo Genjutsu occorre incrociare lo sguardo con quello della vittima. Questa Tecnica consente all'utilizzatore di far apparire una persona intorno all'avversario, entro una distanza massima di dieci metri da esso. L'illusione attaccherà il nemico, potendo anche simulare un qualsiasi attacco o Tecnica conosciuta dall'utilizzatore, seppur anch'essa rimanga una semplice illusione, dopodiché sparirà in uno sbuffo di fumo. Se in possesso della Specializzazione in Genjutsu, è possibile alterare il modo in cui dissolvere il clone illusorio, mimando elementi o modalità di dissoluzione a proprio piacimento. La vittima del Genjutsu si vedrà colpire in pieno dall'attacco e ne avvertirà i danni come reali per l'intero Turno; a causa del trauma sarà incapace di eseguire Jutsu superiori al livello B fino al termine dello stesso. All'inizio del Turno successivo tornerà a poter utilizzare Tecniche di qualsiasi livello. Subirà inoltre un malus fisico-motorio pari a due gradi per due Turni. La Tecnica raggiunge il massimo del realismo se sia lo Shinobi che l'avversario conoscono la persona che appare, o se questa lancia un Jutsu tra quelli conosciuti dall'utilizzatore. Durante il Genjutsu è necessario restare immobili.
    Dissolvibile tramite il Kai o con una ferita medio-grave. Nel secondo Turno è possibile liberarsi dai malus solo tramite il Kai.
    Consumo: 15

    Questa volta, Yamaguchi fu un po' più reattivo; sentì un improvviso rumori di passi dietro il suo fianco destro, e voltandosi ebbe modo di vedere una seconda copia della ragazza con in mano degli Shuriken elettrizzati dal Raiton. Com'era possibile...? Digrignando i denti, le sue mani composero un'ennesima sequela di Sigilli magici che andarono a formare un anello d'acqua attorno a sé, e si sentì già più protetto. Stava iniziando a tirare un sospiro di sollievo quando dall'alto avvertì nuovamente uno sfrigolio, seguito poi da un dolore atroce alla spalla e dalla bruciatura di una scossa che si propagò su tutto il corpo. Il suo grido di dolore si estinse quando serrò i denti in una smorfia infuriata. Il Muro d'Acqua calò giù, e fece in tempo a vedere la copia della kunoichi sbiadire nel nulla.
    In quel momento capì: si trattava di un'Illusione. Abbassò gli occhi sulla ferita, e notando che il sangue ancora sgorgava e che il dolore ancora c'era, si portò una mano davanti al petto per pronunciare la classica Tecnica del Rilascio. «Kai!»
    Suiton: Suijinheki - Muro d'Acqua
    srUi6NC
    Villaggio: Tutti
    Livello: B
    Tipo: Ninjutsu
    Grazie a questa Tecnica Suiton, dopo aver eseguito gli opportuni Sigilli, sarà possibile creare un muro d'acqua lungo dodici metri e alto cinque, in grado di proteggere sia da Ninjutsu che da Taijutsu, massimo di livello B. Il muro potrà essere creato orizzontalmente davanti all'utilizzatore oppure attorno a lui, potendolo coprire a 360°. In questo caso il muro avrà una circonferenza massima di dodici metri (quindi potrà essere creato, al massimo, a due metri scarsi di distanza dall'utilizzatore). Al tempo stesso sarà possibile far assumere al muro una forma semicircolare, ma in ogni caso le dimensioni del muro rimarranno invariate, così come la distanza che lo separa dall'utilizzatore. La Tecnica può essere mantenuta fino alla fine del Turno, ma in questo caso non si potranno eseguire altre Tecniche che non siano A Turno e che non siano già state attivate in precedenza.
    Consumo: 8

    Kai - Disperdi
    GVoq
    Villaggio: Tutti
    Livello: E
    Tipo: Ninjutsu
    Questa Tecnica elementare viene insegnata agli Studenti fin dai tempi dell'accademia. Il Jutsu è di facile applicazione, a patto che ci si accorga di essere caduti all'interno di un Genjutsu, poiché basta comporre un singolo sigillo e pronunciare la parola "Kai" per dissolvere l'illusione. Con questa Tecnica sarà anche possibile liberare altri soggetti caduti in un Genjutsu, sempre che si riesca a rendersene conto. Per farlo si dovrà comporre un singolo Sigillo ad una mano e poggiare l'altra sulla spalla della vittima, concentrando il proprio Chakra dentro la stessa, per interrompere il flusso di Chakra destabilizzante e farla tornare in sé. Questa ultima variante non è utilizzabile su sé stessi, nemmeno mediante i Kage Bunshin.
    La tecnica ha effetto solo con alcuni Genjutsu.
    Consumo: 15

    Anche quella ferita svanì come acquarelli sotto l'acqua. Trovò la sua avversaria ancora lì, ancorata dalla sua Tecnica. Perché aveva preferito lanciargli un'Illusione piuttosto che colpirlo veramente, o tentare di liberarsi? Forse non sapeva come uscirne da quella Tecnica, ipotizzò. Forse era disperata. «E allora?» ansimò lui, divertendosi a provocarla dopo tutta la strafottenza che aveva dimostrato. Si lasciò andare ad una risatina isterica. «Adesso non fai più la sbruffona, eh?»
    Per un attimo gli venne voglia di intrappolarla per poterci giocare ancora un po'; di certo sarebbe stato un bello sfogo sfigurare il suo faccino impertinente, ma convenne che non sarebbe stato saggio. Era meglio ammazzarla e riscuotere la sua taglia per una modesta sommetta. Fece tornare il suo arco allo stato originale, per poi recuperare una freccia e incoccarla, deciso a trapassare il cuore di quella stupida ragazzina.
    Un improvviso rumore di passi attirò la sua attenzione; si voltò, e vide nuovamente un clone della ragazza che si fiondava su di lui. Ancora?! si chiese Yamaguchi, preso in contropiede. Questa volta, però, non si sarebbe fatto prendere in castagna: canalizzò una buona quantità di Chakra nel suo occhio destro, restringendogli la pupilla e permettendo di vedere oltre le menzogne di quella puttanella.
    Men'eki-me - Occhio Immune
    GQQZgHS
    Villaggio: Tutti
    Livello: B
    Tipo: Doujutsu
    Nel momento in cui si prende la Specializzazione si dovrà scegliere uno dei propri occhi che potrà usare questa tecnica. L'occhio scelto diventerà immune a qualsiasi Genjutsu, rendendo di conseguenza qualsiasi arte illusoria che abbia come vittima la vista del soggetto inutile. Per utilizzare il Doujutsu sarà necessario aver chiuso l'occhio prescelto durante gli istanti precedenti per accumulare il Chakra nella zona interessata, anche durante una tecnica in corso per poi aprirlo e attivare la tecnica. Ciò avviene grazie alla quantità di Chakra pompata nell'occhio speciale, la cui pupilla si restringerà fino a diventare un puntino mentre questa tecnica è attiva. Il nemico che sta utilizzando il proprio Genjutsu non riuscirà in alcun modo a percepire che la propria tecnica non stia funzionando, ed è questa apertura a rendere la capacità assai temibile.
    Utilizzabile per un massimo di tre Turni per combattimento.
    Consumo: 8 (A Turno)

    Non trovò quello che sperava, perché, a sua insaputa, quello non era un clone Illusorio, ma un vero e proprio Kage Bunshin che fino a quel momento aveva assistito allo scontro, in disparte e nascosto tramite il Manto senza Polvere: la ragazza aveva uno sguardo violento che le deformava i tratti gentili del viso, e stava componendo dei Sigilli. Un attimo dopo e dalla sua bocca esplose un getto di acqua pressurizzata che lo investì con violenza inaudita, scaraventandolo contro dei gradoni e facendogli picchiare violentemente schiena e testa. Un mondo di puntini gli esplose dietro le palpebre, e per un attimo non sentì e non ebbe più sensibilità di nulla, come se fosse svenuto. Ma si riprese in fretta, avvertendo fasci spinosi che gli si attorcigliavano attorno alle gambe, poi alle braccia e infine attorno al busto; riaprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre, e finalmente vide quello che stava succedendo. I lunghi capelli della kunoichi di Kiri si erano allungati ulteriormente, oltre ogni naturale misura, ed avevano formato dei fasci vivi che si muovevano e lo avevano intrappolato, facendogli inoltre sanguinare le braccia con le loro spine. Cercò la forza di opporsi, di lottare contro quelle ciocche scarlatte, ma il colpo subito lo aveva intontito più di quanto potesse credere. Gli girava tutta la testa, ed avvertì il mondo farsi sempre più nero.
    «Fine dei giri» riuscì ad udire, prima di perdere completamente i sensi.
    Suiton: Suidan no Jutsu - Proiettile d'Acqua
    GGNp
    Villaggio: Kirigakure no Sato
    Livello: B
    Tipo: Ninjutsu
    Tramite questo Jutsu, dopo gli opportuni Sigilli, sarà possibile emettere dalla bocca un getto d'acqua che arriva fino a una distanza massima di trenta metri e avrà un'ampiezza di tre. Il getto avanzerà in base a una linea immaginaria creata dall'utilizzatore al momento dell'esecuzione, ma non si potrà cambiare la direzione una volta emesso il getto d'acqua. Questo vuol dire che il colpo potrà procedere in linea retta, così come muoversi in modo apparentemente casuale andando da una parte all'altra. La velocità del colpo è medio-alta e arriverà a causare danni medio-gravi da Impatto, nel caso in cui si riesca a colpire l'avversario.
    Consumo: 8

    Ranji Shigumi no Jutsu - Tecnica della Criniera del Leone Selvaggio
    GVm2
    Villaggio: Tutti
    Livello: B
    Tipo: Ninjutsu
    Immettendo il proprio Chakra nei capelli, l'utilizzatore può controllarli ed aumentarne la lunghezza e la resistenza, nonché modificarne la forma a piacimento. Tramite questo Jutsu i capelli possono arrivare a una distanza massima di venti metri e saranno in grado di bloccare completamente Armi di qualsiasi tipo, oltre a Jutsu di livello C o inferiore. Questi non hanno solo la funzione di immobilizzare un avversario, ma possono servire anche per ferirlo direttamente. I capelli potranno infatti formare sulla loro superficie una moltitudine di spine o dividersi in ciocche, che potranno causare singolarmente una ferita di medio-lieve entità all'avversario, per poi cercare di bloccarlo completamente. I capelli possono essere facilmente distrutti da un Jutsu di livello B o superiore e potranno abbattere Jutsu massimo di livello D.
    Durante il mantenimento del Jutsu potranno essere utilizzati solamente Jutsu A Turno precedentemente attivati.
    Consumo: 8 (A Turno)

    ChakraMentaleMalus/Bonus
    » 235-4-4-8-2-15-15-8-8=171;»Concentrata;» Malus fisico 1 grado;
    » Malus fisico-motorio 2 gradi;
    Fisico» Ferita da perforazione media alla coscia;
    Tripla Borsa
    Armi da LancioAccessori
    Kunai = 10Kunai = 10Fili Metallici = 30 mtFili Metallici = 30 mt
    Shuriken = 20Shuriken = 20Fili Metallici = 30 mtKit Grimaldelli
    Cartabomba = 5Cartabomba fasulla= 5Occhio CiberneticoPillole del Soldato = 3
    Palla Gelo = 5//Rotolo di Trasformazione//
    Gilet
    Armi da LancioAccessori
    Senbon = 20N.A.Torcia ElettricaRadiolina
    Foderi
    Fodero Minore
    Tanto
    Fodero
    Katana
    Rotoli
    Sigilli d'Evocazione
    //Shuriken Maggiore
    ////
    Rotolo Minore
    Shuriken Maggiore
    Doppia Tasca da Coscia
    Shuriken ad Astro = 20
    //
    Abbigliamento
    Coprifronte Kiri
    Parabraccia
    Parastinchi
    Note
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati ad uno Shuriken Maggiore;
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati a due Shuriken: quindici ciascuno;
    » Venti metri di Filo Metallico sono legati ad un Kunai;
    » Tre Cartebomba sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Cartebomba Fasulle sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Palle Gelo sono legate ad altrettanti Kunai;
     
    .
  10.     +1   +1   -1
     
    .
    «Parlato Maemi» - "Pensato Maemi" - «Parlato Yamaguchi»

    Epilogo: Attorno al fuoco - parte 2


    Data: 7 marzo.
    «Ben svegliato».
    Maemi fece due passi, e il fuoco dietro di sé proiettò la sua ombra in faccia a Yamaguchi, la testa ancora cadente come se pesasse moltissimo. La scosse un attimo, prima di alzarla con un grugnito: degli occhi scuri, spenti e ancora intontiti, fecero capolino in mezzo alla frangia. Ci fu un attimo di confusione, tempo che la sua mente mettesse in ordine gli eventi e le varie conseguenze, e infine gli occhi si riempirono di furente consapevolezza. «Tu!»
    «Sai già cosa succede, ora» chiese Maemi con un sorriso. Si accovacciò, in modo da essere più o meno alla stessa altezza. «Pensi di fare resistenza?»
    «Perché dovrei darti delle informazioni?» domandò Yamaguchi, con un tono che credeva essere di sfida.
    «Va bene». Maemi estrasse il Tanto lo accostò a un punto particolarmente sensibile. «Possiamo cominciare subito, se è questo che vuoi».
    L'intero corpo di Yamaguchi raggelò, ma sulla faccia comparve un'espressione feroce. «Vaffanculo, puttana! Tu mi vuoi ammazzare! Io non ti dico un cazzo di niente!»
    Maemi fece risalire il tanto fino a portarglielo sotto il mento. Lo fissò negli occhi: la luce del fuoco vi danzava dentro, creando un piccolo spettacolo di riflessi incandescenti. «Non ho intenzione di ammazzarti, te lo prometto. Ritornerai a Kiri vivo e vegeto. Ma prima ho delle domande da farti».
    La perplessità sul volto di Yamaguchi era abbastanza divertente, tanto che a Maemi venne da sorridere per un momento. Poi scosse la testa. Il sentiero che le si spianava davanti era estremamente insidioso, in bilico tra due pericolosi strapiombi, e in fondo a entrambi c'era lo strazio; uno strazio di due tipi diversi, ma ugualmente distruttivo. Doveva prendere le distanze dalla realtà del momento, pur rimanendovi aggrappata. "Forse non sarà necessario" sperò.
    "Dipende da lui" fu la pronta risposta dalla sua vocina interna. Senza distogliere lo sguardo, fece una leggera pressione sui Sigilli d'Evocazione, che produssero un leggero sbuffo di fumo. Dal nulla comparve un arco di piccole dimensioni, semplice ma elegante al contempo, con delle rune incise sul corpo curvo e bianco. Gli occhi di Yamaguchi lampeggiarono.
    «Lo riconosci» constatò Maemi, gli occhi che luccicavano di famelico interesse. «Bene. Perché adesso mi dirai tutto quello che sai».

    Non fu necessario ricorrere alla tortura. Il Mukenin di Kiri era così tronfio, così sicuro del suo da usare le informazioni per sbeffeggiarla e rimarcare, seppur da sconfitto, una qualche posizione di forza. L'arma si chiamava Decima, ma non sapeva da dove provenisse quel nome. Alcuni l'avevano chiamata Divoraluce. Era un qualcosa di misterioso che si era perso in vari passaggi di mano nelle Terre di Nessuno, insieme alla sua storia e alle sue origini, perdendo sempre più valore man mano che cadeva nelle mani di esseri indegni e incapaci di utilizzare il suo potere. Yamaguchi ve n'era entrato in possesso traendo in inganno il suo precedente proprietario, che non riuscendo ad attivare gli straordinari poteri della Decima aveva concluso che si trattasse di un falso, invece che incolpare una sua mancanza di capacità; era stato facile rinforzare quella credenza, per poi soffiargli via l'arma senza che quasi se ne accorgesse.
    «Non riuscirai ad attivarla» l'aveva presa in giro, con quell'aria di ostentata superiorità. «Non risponde a tutti. Ha una sua volontà, e finché io esisto, lei risponderà solo a me».
    Adesso Yamaguchi era fuori dai giochi, ancora legato all'albero ma con la testa afflosciata dopo aver ricevuto un bel calcio in faccia dalla ragazza. Maemi era naturalmente molto scettica nei confronti di tutte quelle credenze animiste e che sforavano nel sovrannaturale, sebbene avesse avuto prove o testimonianze del contrario. E forse era proprio a causa di quelle prove che si ritrovava, un'ora dopo la sua chiacchierata con il prigioniero, in piedi con la luce del fuoco alle sue spalle. Teneva l'arma in mano, e la osservava con una cura quasi reverenziale. Passò il pollice sulle venature intarsiate nel legno, abbellendo l'arco già grazioso per via del suo colore pallido.
    Lo alzò lentamente, mettendosi in posizione di tiro; all'Accademia le avevano insegnato le basi del maneggiare ogni tipo di arma, ma non era mai diventata una maestra in niente. Non aveva nemmeno frecce. Usò due dita ad uncino per tendere all'indietro la corda, chiudendo l'occhio e fingendo di prendere la mira nell'oscurità. Le dimensioni contenuto dell'arco lo rendevano comodo e leggero, e con sorpresa Maemi capì che le calzava perfettamente.
    Lo riabbassò, perdendosi ancora una volta nella sua bellezza. Poi, come stuzzicata da un'eccitante curiosità, provò a trasmettere il proprio Chakra nel legno, osservando la voracità dell'arma che assorbì la sua energia come una spugna. Poi accadde qualcosa: Maemi sussultò, e quasi lasciò la presa quando la parte in legno dell'arco venne avvolta da un'aurea bluastra, che risplendeva nella notte di una luce tutta sua; perse ogni impressione di forma e divenne un ammasso di lucine blu, che si concentrarono sul dorso della sua mano sinistra, seguendo ed assecondandone i movimenti.
    Maemi la fissò, meravigliata. Era esattamente quello che era successo nello scontro, quando era nelle mani di Yamaguchi. Era la Decima che manifestava il proprio potere.
    "È incredibile" pensò, estasiata.
    "È mia" aggiunse una vocina avida, avvertendo il dolce sibilo del potere che la richiamava. Pensò che, dopotutto, Yamaguchi poteva aver ragione: quell'arma aveva vita propria, e non rispondeva a chiunque. Lo sentiva, nel Chakra che le solleticava i il dorso a contatto con la Decima, ed era una certezza più forte di qualsiasi reticenza. Non si sarebbe fatta dominare da chiunque, non avrebbe accettato la mano di un indegno. Ma adesso che le teneva stretta, sentiva che a lei avrebbe risposto; perché aveva battuto il suo precedente proprietario, perché si era dimostrata capace abbastanza per brandirla.
    Provò a convogliare nell'arma una buona quantità di Chakra, utilizzando lo stesso metodo di quando ricreava l'Illusione Demoniaca, e portò contestualmente indietro il braccio libero. Una freccia si materializzò improvvisamente nella sua mano, e la ragazza vi avvertì la potenza del colpo e quello che sarebbe stato in grado di fare, confermando dunque le sue supposizioni. Abbassò subito entrambe le braccia, estinguendo il bagliore e riducendo tutto l'arco a solo un ammasso di luce sul dorso sinistro. Aggrottò la fronte, si concentrò un attimo e all'improvviso si ritrovò nuovamente il piccolo arco bianco impugnato nella mano.
    Funzionava. Una scarica di esaltazione la inondò tutta, e le sue labbra si aprirono in un incontenibile sorriso. Le scappò dapprima un risolino, che si trasformò poco dopo in una vera e propria risata animata che le procurò dei crampi allo stomaco. Si lasciò cadere seduta a terra, le dita sull'erba ancora strette attorno all'arco, alla Decima, e gli occhi sognanti rivolti al cielo. Ripensò a tutto quello che era successo nei giorni scorsi, al modo in cui aveva intelligentemente attratto a sé il Mukenin, a come lo aveva sconfitto e recuperato la Spada dell'Eroe Dimenticato. A Degarashi Port tutti avrebbero decantato il suo nome, Kisuke sarebbe rimasto impressionato dal suo operato. Qualsiasi pretesta su ritardi o disattenzioni agli ordini sarebbero impallidite dinnanzi ai risultati che aveva portato, ne era certa...
    Torse il collo e si allungò verso destra per recuperare il suo zaino da viaggio, le mani rinvigorite di nuova energia al pensiero di tornare a Kiri a fare rapporto. Anzi, era meglio che si sbrigasse. Aveva tante cose da raccontare al suo maestro.
    ChakraMentaleMalus/Bonus
    » 235;»Estasiata;» Nessuno;
    Fisico» Ottimo
    Tripla Borsa
    Armi da LancioAccessori
    Kunai = 10Kunai = 10Fili Metallici = 30 mtFili Metallici = 30 mt
    Shuriken = 20Shuriken = 20Fili Metallici = 30 mtKit Grimaldelli
    Cartabomba = 5Cartabomba fasulla= 5Occhio CiberneticoPillole del Soldato = 3
    Palla Gelo = 5//Rotolo di Trasformazione//
    Gilet
    Armi da LancioAccessori
    Senbon = 20N.A.Torcia ElettricaRadiolina
    Foderi
    Fodero Minore
    Tanto
    Fodero
    Katana
    Rotoli
    Sigilli d'Evocazione
    //Shuriken Maggiore
    ////
    Rotolo Minore
    Shuriken Maggiore
    Doppia Tasca da Coscia
    Shuriken ad Astro = 20
    //
    Abbigliamento
    Coprifronte Kiri
    Parabraccia
    Parastinchi
    Note
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati ad uno Shuriken Maggiore;
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati a due Shuriken: quindici ciascuno;
    » Venti metri di Filo Metallico sono legati ad un Kunai;
    » Tre Cartebomba sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Cartebomba Fasulle sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Palle Gelo sono legate ad altrettanti Kunai;
     
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  11.     +2   +1   -1
     
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    «Parlato Maemi» - "Pensato Maemi" - «Parlato Nariko»

    Il tempo dei fuochi d'artificio
    Parte 1 di 4


    «Ecco fatto».
    Comodamente seduta sul bordo del letto, Maemi si lasciò scappare un sospiro di sollievo e si rimise addosso la maglietta. Il fianco destro era pervaso da uno strano gelo, come se qualcuno le avesse poggiato del ghiaccio; e invece, fino ad un attimo prima c'erano state le mani di Nariko circondate da un'aura smeraldo. «Grazie» borbottò, aspettandosi uno dei soliti rimproveri da parte della sua migliore amica, nonché ninja medico. Solitamente era sempre così, ogni qualvolta le evitava di dirigersi all'ospedale per farsi dare una sistemata, ma quel giorno Nariko pareva troppo allegra e frivola per dispensare occhiatacce. Era alzata dall'altra parte del letto, evitando il suo sguardo, e si stava palesemente concentrando per sopprimere un sorriso, senza successo.
    «Ma che hai, oggi?» la punzecchiò Maemi, rialzandosi e finendo di sistemarsi.
    «Be’, sai... il sole splende, gli uccellini cinguettano».
    La Sp.Jounin la fissò con un sopracciglio inarcato, facendole cenno alla nebbia tetra e scura al di fuori della finestra.
    Nariko lanciò un'occhiata alla porta dietro Maemi, e si alzò in punta di piedi per controllare che suo padre non fosse a portata di udito. Poi mise le mani sulle spalle dell'amica. «Sai essere una ragazza per qualche secondo?»
    «Ma io sono sempre una ragazza» rispose Maemi stranita.
    «Non fare la finta tonta, sai cosa intendo: nel senso di una ragazza pettegola e smorfiosa».
    Maemi corrucciò le sopracciglia, arrotolandosi una ciocca di capelli attorno al dito. «Boh, spara».
    «Bene». Nariko le mollò le braccia dalle spalle e si accoccolò sopra il materasso, un sorriso che arrivava da un'orecchio all'altro. «Satorou... mi ha baciata!»
    «Che?!» esplose Maemi, cascando sul letto accanto a lei e brandendole le braccia come se temesse di vederla scappar via. «Satorou?... Quando? Come? Com’è successo?»
    «Allora sai essere una ragazza!» rise Nariko, raddrizzandosi. «Be', un giorno è venuto a farsi medicare proprio alla fine del mio turno, e mi ha proposto il pranzo per sdebitarsi. Poi abbiamo fatto un giro. Stavamo parlando di... non ricordo neanche di cosa... e tutt’a un tratto lui si è semplicemente fermato, si è chinato e... mi ha baciata».
    «Lo sapevi di piacergli?» le chiese subito Maemi. «Cioè, di piacergli in quel senso».
    «No! Be', non proprio» si corresse, alzando gli occhi come a riflettere su qualcosa. «Però, col senno di poi, devo ammettere che sono stata cieca su parecchie cose. Il fatto divertente è che, poi, abbiamo continuato a camminare e chiacchierare come se nulla fosse successo, finché non mi ha riaccompagnata a casa. E lì sono stata io a baciare lui».
    Maemi spalancò la bocca, impressionata. «Che fine ha fatto la ragazzina che ha scaraventato un banco al suo primo giorno di accademia? Stento a credere che siate la stessa persona».
    Nariko scoppiò a ridere. «Be', se è per questo non mi ero neanche accorta che mi piacesse. Forse è il modo in cui è sempre stato gentile con me anche in Accademia, o il modo ammirato in cui mi guarda quando lo rimetto in sesto. È bello: non credevo ci si potesse sentire così»
    Gli angoli della bocca di Maemi ebbero uno spasmo, e si ritrovò ad abbassare la testa per fissare il bianco del materasso. Provò un guizzo di invidia a livello del petto, anche se non riusciva a dargli una forma definita. Che stupidaggine. Come poteva essere invidiosa della propria migliore amica?
    Sforzando di ingoiare le brutte sensazioni, la rossa deglutì rumorosamente. «Sono contenta per te. Te lo meriti».
    «Dici?». Il sorriso radioso di Nariko tentennò un poco. «Sai... delle volte mi sento in colpa, con tutta la gente che mi muore tra le mani. So che è stupido, ma non posso farne a meno».
    A quello, Maemi non rispose; invece, tentò di intrappolare con le dita le pieghe del lenzuolo con un movimento lento e pensoso. Sapeva che stava parlando del lavoro all'ospedale, un lavoro a cui si dedicava anima e corpo come una vera martire. All'improvviso, la Sp.Jounin pensò a sé stessa per come gli altri avrebbero potuto guardarla: una maschiaccio arrogante, fissata con il rigore e gli addestramenti, indisponente... Il pensiero le provocò un senso di disagio che le fece agitare sul posto. Nariko era invece quella sempre solare, altruista, che soffriva delle tue pene come se fossero sue, Ovvio che suscitasse maggior interesse, era stupido pensare il contrario...
    Uno schiaffo a testa su entrambe le guance la risvegliò da quei pensieri. «Ahi!» fece Maemi, più per sorpresa che per vero dolore. Era stata Nariko, che si era avvicinata alla sua parte di bordo, senza che lei se ne accorgesse.
    Aveva un sorrisetto malizioso. «E tu? Quando inizierai a darti da fare con quel tuo bel faccino?»
    «Non ho un bel faccino» bofonchiò Maemi, strappandosi di dosso le mani di Nariko. «E comunque so usarlo, quando c'è bisogno».
    «Non parlo delle missioni, ma per tuo interesse personale» e qui inclinò la testa, assottigliando gli occhi come a volerla studiare «Sai cosa penso, Maemi? Che tu non sai divertirti. Passi tutto il tuo tempo ad allenarti, parli a ruota libera delle tue armi, dei tuoi allenamenti e delle missioni. Non stacchi mai, nemmeno con la testa. Sembri ossessionata».
    «E allora?» fece la kunoichi dai capelli rossi, mettendosi sulla difensiva. «Che male c'è? Ti ricordo che io non sto tutto il tempo dentro quattro mura, la mia sopravvivenza dipende dalla mia bravura».
    Nariko la fissò a lungo, con i suoi occhietti verdi assottigliati dal sospetto. Forse stava valutando se le sue parole fossero sincere o meno, eppure Maemi ebbe la forte impressione se si stesse trattenendo dal sgridarla, come una mamma con la figlioletta petulante. «Domani inizia il festival estivo. Organizzo un'uscita, e ci verrai anche tu».
    «E chi lo ha stabilito?»
    «Io, in qualità di tuo medico».
    Maemi alzò gli occhi al cielo.
    «Sono seria, Mae. Dai, pensaci: abbiamo solo quindici anni! Tutti dicono che sono gli anni d'oro e noi li stiamo passando ad ammazzarci di lavoro. Meritiamo una piccola dose di divertimento, ogni tanto».
    La Sp.Jounin aprì la bocca per ribattere, ma si accorse di non avere argomentazioni. Richiuse la bocca, sentendosi all'improvviso preda di una strana inquietudine. Rivide la propria vita per come la stava vivendo in quel momento, dove non vi era spazio per altro che non fossero doveri, missioni, impegni. Sarebbe stato così per sempre? I suoi occhi indugiarono ancora un po' su Nariko, e provò invidia per la felicità che le illuminava le espressioni, anche se lei nemmeno se ne accorgeva. Si sarebbe mai sentita così, lei? E se un giorno si fosse pentita di non aver nemmeno provato ad essere una ragazzina normale? A fare le sue uscite con gli amici, a divertirsi in un festival... a provare quello che stava provando Nariko in quel momento. Ad essere guardata con quegli occhi accesi, a compiacersi al pensiero di essere desiderata da qualcuno che non aveva occhi per nessun'altra.
    Mandò giù un nodo che le si era fermato in gola, scrollare la testa e dissipare la propria apprensione. «Partendo dal presupposto che non è detto che io venga... chi inviteresti?»
    «Oh, solo un paio di persone» si illuminò Nariko, cercando di contenere un sogghigno. «Vecchie conoscenza dell'Accademia. Nessun deficiente, te lo assicuro. Ah, e per l'amor del cielo, Maemi... mettiti addosso qualcosa di diverso dalle solite tute».
    ChakraMentaleMalus/Bonus
    » 240;»Tranquilla;»Nessuno;
    Fisico» Ottimo
    Tripla Borsa
    Armi da LancioAccessori
    Kunai = 10Kunai = 10Fili Metallici = 30 mtFili Metallici = 30 mt
    Shuriken = 20Shuriken = 20Fili Metallici = 30 mtKit Grimaldelli
    Cartabomba = 5Cartabomba fasulla= 5Occhio CiberneticoPillole del Soldato = 3
    Palla Gelo = 5Fumogeni = 5Rotolo di TrasformazioneBinocolo
    Divisa alternativa
    Armi da LancioAccessori
    Senbon = 20Cartabomba = 5Torcia ElettricaRadiolina
    Foderi
    Fodero Minore
    Tanto
    Fodero
    Katana
    Rotoli
    Sigilli d'Evocazione
    DecimaShuriken Maggiore
    Frecce = 30//
    Rotolo Minore
    Shuriken Maggiore
    Doppia Tasca da Coscia
    Shuriken ad Astro = 20
    //
    Abbigliamento
    Coprifronte Kiri
    Parabraccia
    Note
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati ad uno Shuriken Maggiore;
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati a due Shuriken: quindici ciascuno;
    » Venti metri di Filo Metallico sono legati ad un Kunai;
    » Tre Cartebomba sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Cartebomba Fasulle sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Palle Gelo sono legate ad altrettanti Kunai;


    Edited by Skipio - 21/1/2023, 21:21
     
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  12.     +2   +1   -1
     
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    «Parlato Maemi» - "Pensato Maemi" - «Parlato Nariko» - «Parlato Kenta» - «Parlato Satorou» - «Parlato Maemi»

    Il tempo dei fuochi d'artificio
    Parte 2 di 4



    Nariko aveva fatto pressioni affinché indossasse uno yukata, ma Maemi proprio non ne voleva sapere. Lo trovava un abito scomodo per la libertà di movimento, e non si sentiva a suo agio, così dovette trovare un compromesso tra la comodità e l'eleganza. Optò per una gonna corta, color indaco, con due spacchi ai lati di ciascuna coscia che si aprivano a mostrare i pantaloncini aderenti e nerissimi, con solo un centimetro di pelle a separarli dalle calze dello stesso tipo e colore. Un corpetto le incorniciava il busto, ricalcandone le forme e lasciando le spalle libere, coperte solo da un sottile tessuto di pizzo ricamato, aperto sulla schiena. L'abbigliamento era stato approvato da Nariko, che tuttavia trovò da ridire sulla capigliatura.
    «E basta con queste trecce!» aveva abbaiato, strappandole brutalmente l'elastico e liberando le ciocche. «Ti danno l'aria da maestra, e le maestre non piacciono a nessuno».
    «Non lo faccio per piacere agli altri» borbottò Maemi di rimando, ma comunque si lasciò i capelli sciolti.
    La sera del primo giorno di festival era graziosamente priva di nebbia, e le due ragazze si affrettavano a passare al centro di una via di bancharelle che si allungava a serpentoni, i contorni infestati da lampade rosse che illuminavano l'aria di un'atmosfera magica. Nariko affrettava il passo, la mano che stringeva quella di Maemi per non perderla in mezzo alla folla, ma il suo yukata color ciliegio le impediva un passo rapido.
    Maem si guardò attorno, sentendo montare il nervosismo. «Dov'era il punto di...?»
    Avvertì la mano di Nariko irrigidirsi all'improvviso. «Satorou!» esclamò, alzando un braccio e, una volta mollata la mano dell'amica, si alzò la gonna e corse letteralmente verso di lui. A una decina di metri, appostati a lato del percorso così da dare meno fastidio, vi era un piccolo gruppetto di shinobi, quasi tutti vestiti in abiti da civili. Uno di questi, Maemi lo riconobbe subito, era Satorou: il bambino prediletto della classe, quello sempre primo in classifica, bello e di buona famiglia, popolare ma umile. Perfetto sotto ogni punto di vista, e per questo a Maemi aveva sempre dato sui nervi.
    Nariko gli si era gettata al collo, scoccandogli un sonoro bacio sulle labbra.
    «Le donzelle si fanno aspettare» commentò Satorou, ma aveva l'aria divertita. «In ritardo di trenta minuti».
    «Ventisei, per la precisione» tubò Nariko, staccandosi da lui e voltandosi verso Maemi, per poi far passare lo sguarda da lei agli altre nuove facce. «Ti ricordi di Shoko, Makiko e Kenta, vero?»
    Sì, Maemi li ricordava, ma abbastanza vagamente: gli anni dell'Accademia sembravano appartenere ad un'altra vita, lontani come se fossero un semplice racconto piuttosto che momenti di vita vissuta. Shoko non era cambiata affatto, sembrava solamente la prosecuzione temporale della bambina che teneva costantemente il naso suo libri, quella che al suo primo lancio di kunai aveva quasi ammazzato un gatto che passava di lì. Era bionda, secca e piatta come una bimba. Makiko era invece peggiorata di molto, con quel faccino piccolo che faceva sembrare il naso ancora più grosso e i denti storti più prominenti. Le due stavano parlottando assieme, e si accorsero appena dell'arrivo delle due ex-compagne di classe.
    «Ciao, Maemi».
    La suddetta girò lo sguardo, e trovò un ragazzo alto almeno cinque centimetri più di lei che aveva una mano alzata, le dita arricciate in un gesto di timido saluto. Era Kenta, riconobbe lei dopo un attimo: diamine, com'era cresciuto. L'ultima volta l'aveva visto al diploma d'Accademia, ed era un bambino dimenticabilissimo con cui aveva scambiato in totale forse un paio di parole. Adesso si era alzato, aveva un bel taglio di capelli color cioccolato e dei tratti proporzionati, piacevoli.
    «Kenta» rispose al saluto, cercando di sorridere. «Cavolo quanto ti sei fatto alto».
    Lui rise, portandosi una mano dietro la nuca. «Anche tu sei cambiata. Siamo cresciuti un po' tutti».
    «Già, be', il tempo può avere questo effetto sulle persone».
    Era con la coda estrema dell'occhio, le sembrò quasi che Nariko sporgesse il faccino verso di lei con un ghignetto, ma probabilmente aveva visto male.
    «Ragazzi, più in là ci sono le giostre!» esclamò Shoko, attirando l'attenzione di tutti. «Mi voglio fare qualche giro prima di rimpinzarmi di ikayaki».
    «Io voglio vedere le bancarelle» obiettò Nariko, aggrottando le sopracciglia. Si avvicinò a Maemi e la prese sottobraccio. «Che dite, facciamo una passeggiate da quella parte?».
    Nessuno ebbe da obiettare. Il gruppetto di giovani si mosse come un unica entità lungo tutto il susseguirsi di bancarelle, che offrivano mercanzie e leccornie di ogni tipo. C'era musica, soffocata dal chiacchiericcio di centinaia di persone, e in lontananze si potevano vedere zone adibite ai balli tradizionali. Maemi camminava lentamente tra Nariko e Kenta, rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra; la kunoichi medico la teneva a braccetto e cercava di trascinarla sempre nella conversazione, un modo per spronarla a sciogliersi. Doveva essersi accorta che l'amica non si sentiva a suo agio, cosa che sorprese Maemi stessa. Scoprì di non essere abituata a stare insieme a tanti suoi coetanei in un contesto frivolo come quello, ed era facile sentirsi un pesce fuor d'acqua per una non molto espansiva di natura, né incline parlare molto. Preferiva ascoltare: apprese così che Satorou, insieme a lei, era l'unico altro Sp.Jounin del gruppo, mentre tutti gli altri erano ancora fermi al grado Chuunin. Shoko era stata presa sotto l'ala di suo zio, che le stava insegnando i rudimenti del Doton, ma ancora stava faticando parecchio; Kenta si stava avvicinando all'Arte della Spada, e con lui Maemi ebbe un breve confronto sulla difficoltà di varie stanze e tecniche, appurando che molte delle sue iniziali difficoltà parevano essere comuni con molti altri iniziati.
    Si arrivò ad una piazza, in mezzo al parco, tutta tappezzata di bancarelle; vendevano in maggior parte vestiari e bigiotteria di scarso valore, nonché accessori per capelli. C'erano anche borse o borselli in cuoio, e dello zucchero filato che attirò particolarmente l'attenzione di Nariko. Il gruppo si sparpagliò, ognuno a vedere le cose che preferiva. Maemi si guardò intorno, facendo un respiro profondo che aveva un ché di sollievo, per poi avvicinarsi ad una bancarella e fare esattamente quello che facevano tutti gli altri. Allungò una mano e si portò vicino agli occhi una scatoletta aperta, blu scuro, che conteneva un piccolo ciondolo argentato delle fattezze di una fiamma stilizzata, con dentro un cuore di zaffiro. O meglio, una pietra che somigliava allo zaffiro: altrimenti non sarebbe potuto costare solo una manciata di ryo.
    «Ti piace?»
    La voce di Kenta la fece quasi trasalire. Le era arrivato di spalle senza che se ne accorgesse. «È carino» fece lei ostentando indifferenza, riponendo la scatoletta e tornando a guardare tutta la mercanzia senza soffermarsi su nulla in particolare. «Nulla di chissà che».
    Ma Kenta non la stava più guardando; alzò una mano per attirare l'attenzione del commerciante, che sfrecciò immediatamente verso di loro.
    «Che fai?» sibilò Maemi, la quale aveva intuito le sue intenzioni. Kenta le fece un sorriso timido, prima di richiedere il ciondolo, pagarlo e facendoselo mettere in un sacchettino di velluto blu, da gioielli. Glielo porse. «È un regalo».
    «Non te l'ho chiesto» borbottò Maemi, accettandolo con riluttanza.
    «Be', se fosse richiesto non sarebbe un regalo» rise lui, infilandosi le mani in tasca. Abbassò lo sguardo sui propri sandali, molleggiando un po' sulle ginocchia. «Credo che possa stari molto bene indosso. Richiama il colore dei tuoi occhi».
    Maemi sentì le guance farsi improvvisamente bollenti. Il comportamento di Kenta nei suoi confronti era proprio anomalo; fino ad allora le era stato sempre alle costole o affianco, mentre chiacchieravano era quello che le aveva fatto più domande di tutti ed il suo sguardo gravitava spesso attorno a lei. Adesso aveva appena pagato per un ciondolo a cui aveva mostrato giusto un interesse appena accennato. E poi, il modo in cui Nariko aveva continuato a gettarle occhiate nella sua direzione, poco prima...
    Una sorta di scossa la fece rizzare sul posto. «Scusa» borbottò, facendosi frettolosamente spazio in mezzo alla calca e piantando in asso Kenta, che la seguì con lo sguardo finché poté, gli occhi strabuzzati e confusi, chiedendosi se avesse fatto qualcosa di sbagliato.
    Maemi trovò Nariko due minuti dopo, che si specchiava con in testa un cappello in paglia di dubbia fattura. «Cos'è questa storia?» esclamò lei, prendendola bruscamente per una spalla e facendola girare. «Che diamine hai combinato?!»
    «Ma che dici?» fece la mora, lo sguardo esageratamente innocente. «Non capisco proprio...»
    «Sai benissimo cosa intendo, non prendermi in giro! Hai... hai...». Strinse i denti, le guance che avvamparono. «Lo hai reclutato per venirmi dietro?»
    «Ssh, non urlare» fece Nariko, guardandosi attorno e facendole un cenno. «Comunque non ho reclutato proprio nessuno. È stata Shoko a dirmi che Kenta sarebbe stato molto contento di unirsi a noi, se venivi anche tu».
    «E perché?»
    «Secondo te?»
    Maemi si limitò a fissarla, già sapendo ma senza avere il coraggio di dirlo ad alta voce.
    «Gli piaci, Mae!» Nariko alzò gli occhi al cielo, volendosi mostrare esasperata. «
    «Non ci vediamo dai tempi dell'Accademia» bofonchiò la Sp.Jounin, iniziando a sentire un sempre più opprimente senso di agitazione. «Com'è possibile che io gli piaccia? Non mi conosce nemmeno».
    «Forse è meglio dire che prova interesse nei tuoi riguardi, allora. Nel senso, è attratto da te». La squadrò un attimo, confusa. «Non capisco perché lo trovi così aliena, come cosa. Non credi di essere bella?»
    Maemi non seppe che dire. Non aveva mai valutato il proprio aspetto in base a quanto gli altri potessero apprezzarlo. «E adesso cosa dovrei fare?» chiese.
    Nariko fece spallucce. «Goditi il momento, no?»
    Era più facile a dirsi che a farsi. La consapevolezza di essere sotto i riflettori per qualcuno l'aveva fatta sprofondare in una insospettabile agitazione, che l'aveva colta totalmente impreparata. A lui piaceva, ma a lei lui piaceva? Come si faceva a capire quando ti piace una persona? I romanzi descrivevano farfalle nello stomaco, nodi in gola e un'irrefrenabile voglia di contatto fisico. Maemi non provava nulla di queste cose, solo un forte desiderio di sotterrarsi finché tutta quell'uscita non si fosse conclusa.
    Alla fine, decise che ne aveva abbastanza. Se voleva uscire viva da quella situazione, doveva fare qualcosa di drastico, qualcosa di azzardato e perfettamente illegale. Scivolò dietro una bancherella che vendeva saké di prim'ordine, e mentre i venditori erano troppo impegnati con i clienti, la mano di Maemi pescò tre bottiglie da settecentocinquanta millilitri ciascuna con la stessa maestria di una ladra esperta. Erano tozze e ingombranti; se le infilò sotto le braccia e si affrettò ad allontanarsi.
    I ragazzi si erano nuovamente raggruppati, e a giudicare dal modo in cui si osservavano attorno, chi seccati e chi preoccupati, stavano aspettando proprio lei.
    Quando Nariko la vide arrivare con le bottiglie in mano, strabuzzò gli occhi. «Maemi, che fai!»
    «Sai come la penso» sorrise lei, senza alcun senso di colpa. Alzò entrambe le bottiglie come se fossero dei trofei. «Le cose o si fanno bene, o non si fanno proprio».
    Nariko fu l'unica a protestare; tutti gli altri si liberano in esclamazioni festose e sonore pacche sulle spalle, e ben presto iniziarono a discutere su chi spettasse l'onore del primo sorso. A quanto pare, nessuno lì aveva mai osato prova un alcolico.
    «È stata Maemi a procurarle» disse Kenta, zittendo tutti. «È giusto che l'onore spetti a lei».
    Tutte le teste si voltarono prima nella direzione di lui, poi in quella di Maemi. La ragazza esitò, facendo passare lo sguardo su tutti e soffermandosi un po' di più sul volto di Kenta, che la fissava con gli occhi accesi e carichi di ammirazione. Sentì qualcosa solleticarle la pelle, come delle formiche invisibili ma zampettanti, ma non volle soffermarsi su cosa volevano dire. Prese coraggio e stappò la bottiglia, se la portò alle labbra a mandò giù in fretta un sorso pieno, cercando di contenere una smorfia di disgusto.
    «Com'è?» si precipitò a chiedere Satorou, gli sguardi di tutti che si avvicinavano a lei.
    «Fa schifo» dichiarò Maemi, pulendosi la bocca per poi scoppiare a ridere insieme a tutti gli altri.
    ChakraMentaleMalus/Bonus
    » 240;»Tranquilla;»Nessuno;
    Fisico» Ottimo
    Tripla Borsa
    Armi da LancioAccessori
    Kunai = 10Kunai = 10Fili Metallici = 30 mtFili Metallici = 30 mt
    Shuriken = 20Shuriken = 20Fili Metallici = 30 mtKit Grimaldelli
    Cartabomba = 5Cartabomba fasulla= 5Occhio CiberneticoPillole del Soldato = 3
    Palla Gelo = 5Fumogeni = 5Rotolo di TrasformazioneBinocolo
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    Fodero Minore
    Tanto
    Fodero
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    //
    Abbigliamento
    Coprifronte Kiri
    Parabraccia
    Note
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati ad uno Shuriken Maggiore;
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati a due Shuriken: quindici ciascuno;
    » Venti metri di Filo Metallico sono legati ad un Kunai;
    » Tre Cartebomba sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Cartebomba Fasulle sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Palle Gelo sono legate ad altrettanti Kunai;
     
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  13.     +1   +1   -1
     
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    «Parlato Maemi» - "Pensato Maemi" - «Parlato Nariko» - «Parlato Kenta» - «Parlato Satorou» - «Parlato Maemi»

    Il tempo dei fuochi d'artificio
    Parte 3 di 4



    Tempo poco più di un'ora, e il gruppetto si era diviso, tra chi preferiva andare a godersi le giostre e chi si era ritirato in uno spiazzo sconcio dietro le bancarelle, protetti dalla luce e dal baccano della festa. Nariko, Maemi, Kenta e Satorou avevano deciso di fermarsi, notando una sorta di bivacco mezzo smantellato in cui qualcuno aveva usato ceppi tagliati con l’accetta per ricavarne rozze panche. Tra i tronchi scuri dei pini faceva più fresco, e si sentiva l’odore di terra umida. Le ragazze si erano seduta in maniera più o meno scomposta, ridendo e chiacchierando, mentre i ragazzi avevano spaccato la bottiglia ormai vuota ed usavano i cocci come delle armi da lancio, sfidandosi a conficcarne quanti più possibili nella corteccia di un albero. Il gioco li assorbì completamente, lasciando l'unica bottiglia superstite nelle mani di Maemi, che era decisamente incapace di gestirla.
    Doveva ammetterlo, il saporaccio del liquore si era fatto più clemente ad ogni sorsata, e ci era voluta solo una mezz'oretta per ritrovarsi con la bottiglia mezzo vuota. Aveva scoperto che l'alcool era in grado di diluire il disagio e farle vedere il mondo in maniera diversa: gli alberi del parco che li circondavano sembravano più verdi, di un colore così intenso da avvertirne quasi il sapore. Ma poi si rendeva conto di quanto sciocchi fossero i suoi pensieri, e allora le partiva un risolino incontrollato. Rideva davvero parecchio.
    «Secondo me gli adulti fanno sempre gli esagerati» fece Nariko, che aveva lasciato il fianco di Satorou per mettersi a braccino con Maemi. «Tutta questa grande cosa dell'alcool... io mi sento bene, e tu?»
    «Bene!» confermò Maemi, sbattendo forte le ciglia. «Ma un po' come se come se stessi... fluttuando. Od ondeggiando. Come stai tu?»
    «Te l'ho appena detto».
    «Ah, ok».
    Nariko si mise a ridere. «Vedi, devi fidarti delle mie idee! E allora, dimmi...» qui si chinò con fare confabulatorio verso l'amica, anche se essendo più alta non ce n'era affatto bisogno. «Che ne pensi di Kenta?»
    Maemi alzò lo sguardo verso il ragazzo, che si stava chinando per raccogliere gli shuriken improvvisati. «È attraente» ammise con un risolino. Una piccola parte della sua mente riconobbe che, fosse stata sobria, non avrebbe mai usato quel tono da smorfiosa pettegola. «Sei sicura che io gli piaccia? Perché non so spiegarmelo. Io non sono una persona molto affabile, vero?»
    «No, non molto» convenne Nariko con un sorrisone. «Ma penso che potresti esserlo, se ci provassi».
    «Grazie, ti prenderò in parola».
    Senza altro avvertimento, Maemi si alzò in piedi per dirigersi verso i ragazzi; dovette appoggiarsi alle spalle di Nariko per non perdere l’equilibrio, ma quelle erano salde, quindi non si preoccupò. Barcollò rischiando di inciampare su tralicci e pezzi sporgenti di radici, ridacchiando della sua stessa instabilità. Era di nuovo goffa, proprio come quando da piccola stava imparando a camminare.
    «Kenta!» esclamò, e contro ogni prospettiva gli gettò le braccia al collo. Era così alto che dovette alzarsi sulle punte dei piedi. «Tu mi trovi davvero carina?»
    Sentì Satorou ridere sguaiatamente a pochi metri da lei, mentre il faccione di Kenta si colorava di rosso. «Ehi, Nariko, non dirmi che sei andata quanto lei» fece, avvicinandosi a lei e mettendole un braccio attorno alle spalle.
    «Credo... dovrei mettere qualcosa nello stomaco» disse Nariko, con una voce particolarmente vicina al rantolo. «Mi accompagni tu, vero?»
    «Sicuro».
    Qualche secondo e Maemi e Kenta si ritrovarono improvvisamente soli. La ragazza alzò lo sguardo e vi trovò gli occhi scuri del ninja che la evitavano, incerto su come gestire la situazione, visibilmente impacciato.
    Maemi sorrise, stuzzicandolo. «Vuoi baciarmi?»
    «Non così» fece lui, cercando di liberarsi gentilmente dalle sue braccia. «Non sai quello che dici...»
    La ragazza si scostò, rimettendo i piedi saldi a terra. «Sono perfettamente in me, grazie mille per l'interessamento» fece, avvertendo nella voce il riflesso tagliente del rifiuto. «E non ho bisogno di te che fai le mie veci. So cosa voglio, e voglio che tu mi baci. Ora».
    Kenta la stava ancora fissando con un profondo cipiglio sul volto.
    Maemi gli strinse le maniche della maglia. «Non ti prendevo per un codardo che si fa implorare» sibilò con sprezzo, facendo un paio di passi indietro. «Nemmeno a sbatterlo in faccia. Famminuccia».
    Ebbe modo di vedere gli occhi di Kenta infiammarsi, prima di voltarsi. Aveva tutta l'intenzione di lasciarlo lì, solo con gli insulti che gli aveva sputato, quando quello le afferrò il polso e con uno strattone la fece voltare verso di sé. I loro corpi si scontrarono nell'impatto, e la ragazza incespicò a causa di un improvviso moto di vertigine; alzò gli occhi e vi trovò quelli scuri di Kenta che le riempivano completamente la visuale. Erano ancora incendiati, ma non di rabbia, quanto di un'emozione che la Sp.Jounin non sapeva descrivere. Si avvicinò e premette le labbra sulle sue.
    In un primo momento Maemi si irrigidì. Si sentiva stranamente tesa, insicura, e quando Kenta si scostò un attimo, lei si convinse di aver fatto qualcosa di male o di sbagliato. Ma poi le circondò il viso tra le mani, con determinazione, e riprese a baciarla con più fermezza stavolta, più sicurezza. Maemi senti i muscoli sciogliersi; gli mise un braccio intorno alle spalle e sollevò la mano fino al collo e ai suoi capelli corti. Ringraziò l'alcool che inghiottì i suoi timori, rese stabili le sue mani e soffocò la sua inesperienza.
    Si baciarono per diversi minuti, finché lo scoppio dei fuochi d'artificio non fece alzare loro le teste in direzione del cielo. La notte di Kiri si illuminò di svariati colori, di rumori e suoni meravigliati dei partecipanti. Maemi rise, sentendo le vibrazioni del suolo sotto le scarpe, il calore umano di Kenta che le entrava nel palmo della mano. Pensò che partecipare a quell'uscita era stata la scelta migliore che potesse fare.
    ChakraMentaleMalus/Bonus
    » 240;»Tranquilla;»Nessuno;
    Fisico» Ottimo
    Tripla Borsa
    Armi da LancioAccessori
    Kunai = 10Kunai = 10Fili Metallici = 30 mtFili Metallici = 30 mt
    Shuriken = 20Shuriken = 20Fili Metallici = 30 mtKit Grimaldelli
    Cartabomba = 5Cartabomba fasulla= 5Occhio CiberneticoPillole del Soldato = 3
    Palla Gelo = 5Fumogeni = 5Rotolo di TrasformazioneBinocolo
    Divisa alternativa
    Armi da LancioAccessori
    Senbon = 20Cartabomba = 5Torcia ElettricaRadiolina
    Foderi
    Fodero Minore
    Tanto
    Fodero
    Katana
    Rotoli
    Sigilli d'Evocazione
    DecimaShuriken Maggiore
    Frecce = 30//
    Rotolo Minore
    Shuriken Maggiore
    Doppia Tasca da Coscia
    Shuriken ad Astro = 20
    //
    Abbigliamento
    Coprifronte Kiri
    Parabraccia
    Note
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati ad uno Shuriken Maggiore;
    » Trenta metri di Filo Metallico sono legati a due Shuriken: quindici ciascuno;
    » Venti metri di Filo Metallico sono legati ad un Kunai;
    » Tre Cartebomba sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Cartebomba Fasulle sono legate ad altrettanti Kunai;
    » Tre Palle Gelo sono legate ad altrettanti Kunai;
     
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    «Parlato Maemi» - "Pensato Maemi" - «Parlato Nariko»

    Il tempo dei fuochi d'artificio
    Parte 4 di 4



    Maemi si sentiva davvero uno schifo.
    Si era svegliata una volta, nel cuore della notte, ed era certa che il soffitto stesse vorticando pericolosamente, causandole un nauseante senso di vertigini. In qualche modo era riuscita a riaddormentarsi, svegliandosi la mattina dopo dai suoni di Nariko che correva al bagno per vomitare. Anche lo stomaco della Sp.Jounin non era messo da dio, ma quanto meno reggeva; il che era una manna dal cielo, perché non ci sarebbero stati altri bagno disponibili.
    «Pessima idea» boccheggiò Nariko, uscendo a gattoni dal bagno per arrampicarsi sul letto con la stessa grazia di un bradipo.
    «Qualcuno deve andare a prendere l'acqua» disse Maemi con un braccio a coprirsi gli occhi. La voce le uscì tutta impastata. «Ho la bocca più asciutta del deserto di Suna».
    «Se mi alzo in piedi io torno a vomitare, ti avviso».
    Maemi levò il braccio da davanti gli occhi, strizzandoli per abituarli alla luce. Era incredibilmente fastidiosa. «Che ore sono?» Voltò la testa e allungò il collo per vedere l'orologio da comodino. Le dodici e mezza di mattina. Avevano dormito per... otto, nove ore? Come faceva a sentirsi così da schifo nonostante tutto quel riposo?
    «Troppo saké» ansimò Nariko, come se le leggesse nel pensiero. «Cavolo, e chi se lo aspettava?»
    «Parla il medico...»
    «Boh, è stato strano. Quando ero in ballo non mi sentivo così andata... è stato solo quando mi sono accasciata in mezzo alla via che ho capito di aver esagerato».
    «Aspetta, prima o dopo che ho spinto Satorou nel laghetto?»
    Nariko sospirò. «È stata una nottata da ricordare, questo è sicuro».
    Maemi non rispose. Tenne lo sguardo fisso sul soffitto, rivivendo le sensazioni della sera precedente, almeno quelle che ricordava. Dopo la una e mezza di notte, i suoi ricordi sbiadivano in un'accozzaglia di avvenimenti confusi.
    «Mi sa che per te la serata è andata particolarmente bene» rise Nariko, voltandosi a pancia in giù e puntando gli occhi su quelli dell'amica. «Ti ho vista, come pomiciavi con Kenta».
    «Io non pomiciavo di sicuro» la corresse lei, fulminandola con uno sguardo. «Ci siamo baciati qualche minuto, nulla di più».
    «Comunque, ti è piaciuto, no?»
    «Non... ero molto lucida» borbottò lei, prendendosi una ciocca e rigirandosela tra le dita. «E l'ho provocato. Lui non voleva baciarmi quand'ero così».
    «Giusto, ha fatto bene». Nariko sospirò placidamente. «Anzi, non avrebbe nemmeno dovuto cedere! »
    «Guarda che anche lui era un po' brillo, eh. Ed ero io a volerlo, lui non ha fatto nulla di male».
    Nariko tentò di trattenere un ghigno, ma le uscì una smorfia orribile. «Stai prendendo le sue difese, per caso?»
    «Stai prendendo le sue difese, per caso?» scimmiottò la rossa, cercando di ricalcare la voce dell'amica in chiave comica. «Te l'ho mai detto che sei insopportabile quando fai così?»
    «Allora lo vuoi rivedere?»
    «Non lo so» borbottò Maemi, accoccolandosi meglio sotto le coperte. Un'ombra di inquietudine calò sul suo viso. Provò a passare in rassegna i ricordi sbiaditi della serata precedente, riconoscendo l'euforia e l'ebrezza derivate dall'alcool che le aveva disinibita e le aveva lavato via quell'ammasso di disagio. Ricordò la sensazione delle labbra di Kenta sulle sue, i suoi grandi occhi che brillavano nel guardarla, il suo respiro tiepido e il calore del suo corpo.
    Per qualche motivo, quelle sensazioni la fecero rabbrividire e non in maniera piacevole. «Ho fatto una cazzata» gemette, portandosi entrambe le mani a stropicciarsi gli occhi. «Un'enorme, stupida cazzata. Non avrei dovuto lasciarmi andare così, non avrei dovuto baciarlo».
    «Perché?» fece Nariko, sorpresa. «Non ti è piaciuto?»
    «Non è quello!» si lamentò l'altra, schiaffando il pugno sul materasso per la frustrazione. «Ma non so cosa pensare, né cosa fare... non capisco! Voglio dire, mi è piaciuto tutto: il bacio, le attenzioni, lui. Mi sono sentita bene, davvero bene».
    «Ma...?»
    Maemi fece scivolare gli occhi su di lei, sentendo le labbra tremare. «Ma non so se provo qualcosa» confessò, sentendo una sorta di senso di colpa nel dire la verità. «Cioè, non provo smania al pensiero di rivedere Kenta, né di ripetere quello che è successo ieri. Non so nemmeno se ci riuscirei senza essermi sgolata un'altra bottiglia di saké. Eppure è carino, e si è comportato sempre a modo con me... e ripeto che sono stata bene».
    «Forse non è scattata la scintilla?» obiettò Nariko, aggrottando le sopracciglia.
    «O forse non sono fatta per provare queste cose» borbottò Maemi, scivolando più profondamente nel letto e lasciando libere le proprie inquietudini più recondite. «Magari il problema sono io».
    «Nah, ne dubito. Secondo me sei solo offuscata dall'ansia, cosa che non è affatto da te. Può darsi che tu abbia bisogno di qualcosa di più che un bel faccino e delle buone maniere per aprirti».
    La ragazza dai capelli scarlatti non commentò. Lasciò scivolare lo sguardo sulle proprie mani, intente a intrecciarsi delle ciocche più e più volte tra le dita. L'inquietudine che aveva provato due giorni prima era tornata a farle visita, ancora più opprimente e pressante; il timore di non provare mai quello che tutti, prima o poi, avrebbero provato nella loro vita, una prova lampante che, in fondo in fondo, lei qualcosa che non andava ce l'aveva. Una sorta di difetto di fabbrica, che nessuno avrebbe scelto e destinato alla discarica per essere buttato e dimenticato. «Cosa dovrei fare?» chiese, senza rivolgersi a nessuno in particolare.
    «Non sei costretta a fare nulla che non ti senti, Mae». Nariko scrollò le spalle, rigirandosi e ripiombando con la schiena sul letto. «Puoi semplicemente dimenticare tutta la questione... fare come se non fosse successo nulla».
    Maemi non rispose; si portò il pollice alle labbra e iniziò a mangiucchiarsi l'unghia, tentando di contrastare il crescente senso di inquietudine. Più ci pensava, più trovava papabile la proposta della kunoichi medico: dimenticare tutto, tornare a sotterrare quei dubbi pressanti... il pensiero era, in un certo senso, confortante. Ma sapeva che era pari a nascondere la sporcizia sotto il tappetto.
    Seguirono svariati minuti di silenzio, rotti solo dai pesanti respiri di Nariko.
    «Be', almeno una cosa da questa storia l'abbiamo scoperta» esclamò quest'ultima all'improvviso, salvandola dai suoi pensieri lugubri.
    Maemi sbuffò. «E cosa?»
    «Che comunque sei più per i maschietti».
    Entrambe le amiche si voltarono a guardarsi, e l'attimo dopo scoppiarono a ridere insieme.
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    Rera Ainu



    PSX-20230517-003050



    19 giugno - Kirigakure no sato

    Chi l'avrebbe mai detto? Io che dapprima deridevo questa usanza quando la vidi in prima persona da Yuichi Sakamoto, ora la sto usando e mi da pure soddisfazione. Di cosa parlo? Dello scrivere. Noi Ainu siamo un popolo che trasmette le sue tradizioni, le sue storie in maniera orale, da padre in figlio, da famiglia a famiglia in modo che la nostra eredità non si perda mai. Eppure lo scrivere nero su bianco ogni cosa da un vantaggio notevole, e fa in modo che esso non si perda se il detentore di quel messaggio scompare. Inoltre provo una certa soddisfazione nel mettere i miei pensieri per iscritto, mi tranquillizza e mi fa fare il punto della situazione della giornata. Questo diario ne é la prova maestra. Qui i miei pensieri e le mie giornate narrano la mia storia, o meglio la storia della mia carriera ninja, della mia esperienza fuori dal paese del Gelo, come Shinobi di Kumo. Queste pagine in particolare del mio viaggio verso Kiri. Viaggio che in fondo al cuore avrei voluto fare prima o poi, anche solo per capire se le dicerie su questo luogo immerso in una nebbia perenne fosse corrispondere a realtà, ma mai avrei pensato di farlo così "prima". Ero ancora fresca di promozione a Genin e dopo una missione per il villaggio ho deciso in intraprendere quest'epopea per incontrare nuovamente Maemi, la mia esaminatrice durante l'esame. Non avevo alcun tipo di alterco verso di lei, nessun sentimento di vendetta o rabbia, anzi il contrario. Per quanto durante tutto l'esame fossi stata trattata come un obbligo da sbrigare il prima possibile, come si può trattare il cuginetto che bisogna per forza accudire, verso di lei avevo un'innata simpatia. Il suo modo di fare burbero e saccente mi ricordava i vecchi cacciatori del villaggio quando mi insegnavano l'arte della caccia e della sopravvivenza. Il modo migliore per imparare era sbagliare, rendersi conto di aver sbagliato e sbatterci il muso. Così era andato il mio esame e la cicatrice sulla coscia rimaneva come indelebile segno di questo. Inutile dire che con me questo metodo funziona alla grande sia dai vecchi cacciatori che da Maemi avevo imparato un sacco di cose e le avevo imparare anche alla svelta. Ma quindi perché rivederla? Per il semplice motivo che avevo l'impressione, anzi la certezza che poteva insegnarmene molte di più. Non avevo avuto che un assaggio delle sue capacità e per una misera apprendista furono spettacolari, i Ninjuts, i Kenjutsu e perfino i Genjutsu che aveva sfoderato le erano rimasti impressi vividi nella mente. In lei vedevo ciò che aspirava ad arrivare, sopratutto lei era l'unica che avessi mai incontrato che aveva accennato ad usare un arco. Arma fondamentale per gli Ainu e per me stessa. Vedevo in lei un modo per progredire in quell'arte e nell'arte della spada che seppur basiche erano i fondamenti del mio modo di combattere. In questa pagina non racconterò del viaggio che intrapreso, del come ho scoperto di provare il mal di mare, di come il mio corpo necessitasse di una superficie solida per stare bene o al massimo un assenza di superficie. Ma tutto quell'ondeggiare... Al solo ricordo mi vengono ancora i conati. Mi ero fatta fare da Kumo un lascia passare di una settimana, per entrare a Kiri, mi hanno detto che era la prassi. I viaggi solitari senza un reale coinvolgimento del villaggio per noi shinobi era fonte di sospetto, dopotutto anche se il paese del Gelo era stato risparmiato, l'ombra della guerra ancora aleggiava sui grandi villaggi. Mostrato il lascia passare venni condotta al palazzo dell'accademia ninja. Potrei dire qualcosa dell'architettura di Kiri, dei passaggi angusti, del odore di salmastro sempre presente, ma la nebbia che realmente ammantava tutto, rendeva anche la mia mente annebbiata e non mi lasciava focalizzare su quei dettagli, al momento volevo solo parlare con Maemi. Il resto del permesso del lasciapassare l'avrei passato a visitare questo misterioso villaggio. Mi recai all'ufficio degli insegnati dopo che mi vi condussero e chiesi con voce cortese: Vorrei incontrare Maemi Takahashi. È stata la mia esaminatrice durante il mio esame Genin. È possibile avere un colloquio con lei?. Non avevo altri scopi al momento. Speravo che non fosse in missione o che volesse ricervermi, altrimenti avrei fatto un viaggio a vuoto.

    01



    ~ Nome: Rera Ainu
    ~ Stato fisico: Ottimo
    ~ Stato pscichico: Speranzosa
    ~ Chakra: 80/80
    ~ Borsa:
    5/5 Carte Bomba
    ~ Faretra:
    30/30 Frecce
    ~ Note: 4 carte bomba legate a 4 frecce.
     
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61 replies since 6/1/2018, 13:08   2089 views
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