Casa di Hanzo Kawabata

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline

    Hanzo Kawabata




    c9fd13de441f8bb577381b78ee369eac3e6a6b16_hq



    La casa è divisa in due piani. Entrando dalla porta, ci si trova davanti ad un ampio salone con pavimento in legno e mobili dello stesso materiale. L'arredamento sembra richiamare un vecchio museo abbandonato: l'area è ricca di quadri e ceramiche vecchie quanto il mondo (tutti regali dei parenti). Dal salone, sullo stesso piano, si accede alla cucina con tanto di piccola sala da pranzo. Al secondo piano c'erano le camere da letto ed i bagni.



    jpg



    -Tecniche conosciute (tecniche da lista):

    CITAZIONE
    Livello E
    - Bujutsu - Arte del Ninja Spia
    - Bujutsu - Arte del Ninja Spia
    - Henge No Jutsu - Tecnica della Trasformazione
    - Kai - Disperdi
    - Utsusemi no Jutsu - Tecnica della Manipolazione della Voce
    - Hikari Dezain no Jutsu - Tecnica del Disegno Spia
    - Genso Soosa - Manipolazione Elementale
    - Kawarimi no Jutsu - Tecnica della Sostituzione

    Livello D
    - Tecnica della Nube Incendiaria [Yuzin Asuka al torneo]
    - Barriera della Nebbia Rossa [Mishi Ameki al torneo]
    - Onda d'Urto Inferiore [Mishi Ameki al torneo]
    - Ayatsuito no Jutsu - Tecnica dei Fili Metallici
    - Samuraisutoppu - Blocco del Samurai
    - Jinsokuna Chuushutsu - Estrazione Rapida
    - Seichō Surusaya - Fodero Crescente
    - Doro Toriatsukai - Manipolazione di Fango
    - Raiton: Denpa - Propagazione del Fulmine

    Livello C
    - Tecnica della Prigione Acquatica [Tetsuo Nara al torneo]
    - Getto di Sciroppo [Tetsuo Nara al torneo]
    - Segno Maledetto • Primo Stadio [Tetsuo Nara al torneo; Hanzo non riesce a capire realmente nulla del segno maledetto]
    - Tecnica di Fumo del Rospo [Yuzin Asuka al torneo]
    - Fuoco della Volpe [Yuzin Asuka al torneo]
    - Tecnica della Palla di Fuoco Suprema [Yuzin Asuka al torneo]
    - Tecnica del Bastone [Mishi Ameki al torneo]
    - Armatura di Lava [Katsumi Nagasaki al torneo]
    - Pugno Fiammeggiante dell'Armatura [Katsumi Nagasaki al torneo]
    - Azione Dinamica [Katsumi Nagasaki]
    - Furontosurasshu - Fendente Frontale
    - Hikoo Koogeki - Assalto Volante
    - Doton: Dochuu Eigyo - Nuotata nel Sottosuolo
    - Doton: Sokonashi Numa - Palude Profonda
    - Kaminari Shuriken - Shuriken Folgoranti
    - Raiton: Kaminari-kyū - Sfera Elettrica

    Livello B
    - Hien - Volo della Rondine [Yuzin Asuka al torneo]
    - Chakura-tō: Maichimonji - Taglio Netto del Chakra [Yuzin Asuka al torneo]
    - Rakanken: Gangeki - Stile Arhat: Pugno Demolitore [Yuzin Asuka al torneo]
    - Torre di Fiamme [Yuzin Asuka al torneo]
    - Esplosione Acquatica [Mishi Ameki al torneo]
    - Mille Squali Famelici [Mishi Ameki al torneo]
    - Omotegiri - Taglio Frontale
    - Hari Jizou - Simulacro di Spine
    - Kekkai • Tengai Houjin - Barriera • Formazione Cupola
    - Kage Bunshin no Jutsu - Tecnica dei Cloni d'Ombra
    - Doton: Dorojigoku - Morsa di Roccia
    - Doryuu Heki - Paramento Terrestre
    - Bakuhatsu Kaminari - Folgore Esplosiva
    - Raiton: Kanasaibō - Parafulmine

    Livello A
    - Mikadzuki no Mai - Danza della Luna
    - Doton: Doro Hōshi - Mare di Fango
    - Raiton: Shichuu Shibari - Barriera dalle Quattro Colonne

    Livello S

    -Tecniche conosciute (Innate/Abilità uniche):

    CITAZIONE
    Shinobi Katana.
    -Conoscenza minuziosa in proporzione al proprio rango.

    Clan Nara
    -Conoscenza degli effetti del controllo dell'ombra [Tetsuo Nara]

    Arte medica
    -Pugno di Chakra; Pugno di Chakra Superiore; Tecnica del Palmo Mistico [Mishi Ameki al torneo]

    Jinchuuriki
    -Non sa nulla a riguardo delle Bestie, ma ha visto utilizzare i poteri intermedi a Jinchuuriki, Forma Intermedia di Katsumi Nagasaki

    Youton
    - Tecnica Della Fusione Lavica, Lava Venefica (hitjutsu di Katsumi Nagasaki)

    -Evocazioni conosciute:

    CITAZIONE
    - Ragni [minuziosa; in possesso]
    - Rane [quasi nulla; visto Gamaho durante l'addestramento per opera di Yuzin e durante il torneo]
    - Cani [Tetsuo Nara. Tecnica della Persecuzione Sotteranea; Otto Cani Ninja]

    -Ninja conosciuti:

    [QUOTE]
    //
    [QUOTE]

    Storia

    Saga della ricerca di Hichemon

    Cap 1 - Fuga dagli uomini in nero.
    Cap 2 - Pericolo per Hichemon. I dintorni di Iwa.
    Cap 3 - Aiuto
    Cap 4 - Il consiglio dei Kawabata
    Cap 5 - La risata di Kenjiro
    Cap 6 - Una parola amica
    Cap 7 - Missione esplorativa Hanzo e la squadra Goro
    Cap 8 - La squadra Goro entra nelle terre di Iwa e scoprono delle tracce
    Cap 9 - La squadra Goro viene intrappolata. Morte sensei.
    Cap 10 - Nella Repubblica, il Ciliegio si muove a supporto del ramo della Nuvola (giorni prima rapimento)
    Cap 11 - Tensione nel clan a Kumo. Interviene capelli violacei della Repubblica
    Cap 12 - Squadra di salvataggio, irruzione. Salvataggio 2 membri.
    Cap 13 - Salvataggio quarto membro. Si scoprono che le soffiate erano false.
    Cap 14 - Terza riunione del Clan di Kumo. Partecipa anche il clan della Repubblica.
    Cap 15 - Introduzione dei Nove Foderi della Nuvola. Soluzione: farsi nuovi alleati.

    Mini saga del clan Sasagawa

    Cap 1 - Introduzione di La quiete (Sasagawa)
    Cap 2 - Daisuke spiega ad Hanzo e al resto della squadra Goro la situazione dei Sasagawa
    Cap 3 - Incontro Daisuke e La quiete
    Cap 4 - Introduzione usurpatore Sasagawa
    Cap 5 - Missione dei Kawabata. Riprendersi il controllo del castello Sasagawa (ex alleati Kumo)
    Cap 6 - Infiltrazione nel castello e guerriglia urbana
    Cap 7 - Scontro finale Hanzo vs guardia dai capelli bianchi
    Cap 8 - Scontro finale La quiete (fodero) vs usurpatore
    Cap 9 - Daisuke entra in contatto con i documenti dell'usurpatore. Notizie su Hachimon
    Cap 10 - Speranze.

    Casa Yuzin : corrente 5

    Casa John : corrente 2

    Casa Ryoku : corrente 2


    Edited by Zanna. - 2/9/2023, 21:30
     
    .
  2.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline
    Kumo-Ryū: Damashigiri - Stile della Nuvola: Taglio dell'Inganno
    GpuX
    Livello: C
    Tipo: Ninjutsu
    Tramite questa Tecnica il Ninja eseguirà un rapido taglio dal basso verso l'alto. La caratteristica di questo colpo risiede nel fatto che il Ninja immetterà il proprio Chakra all'interno della lama, facendole assumere un colorito dorato che all'ultimo momento, esploderà in un bagliore accecante conferendo al colpo una imprevedibilità inaspettata. L'avversario sarà infatti improvvisamente accecato, seppur per poco più di un istante, e non potrà vedere la lama dello Shinobi che cambierà repentinamente posizione, trasformandosi in un taglio orizzontale. Il colpo ha alte probabilità di successo nel caso in cui l'avversario decida di pararlo o di rimane entro la portata della lama. Infliggerà danni medi da taglio.
    Consumo: 4




    Kumo-Ryū: Damashigiri - Stile della Nuvola: Taglio dell'Inganno



    Diario di un Samurai. Il Dojo.

    Avevo affrontato da poche settimane l’esame per diventare Chuunin. La nuova posizione all’interno dell’esercito della Nuvola non mi conferiva solo un lauto stipendio e una divisa appariscente, ma anche diversi oneri che non sempre avevo in genio di rispettare. Capitava, il più delle volte, che le giornate infatti fossero piene di impegni burocratici e che le notti piovose le passassi in guardia al Cancello del Villaggio mentre l’umidità del Paese del Fulmine mangiava la mia pelle. Tolti alcuni eventi che narrerò in altre pagine del Diario, posso solo dire che in generale risultavano davvero pochi i momenti in cui potevo dar libero sfogo alla mia abilità con la spada e anche in quei frangenti ero comunque limitato dal fatto ch’io fossi rimasto ormai molto indietro con l’addestramento e quindi risultassi leggermente arrugginito.
    Approfittai della prima settimana di riposo per recarmi al Dojo del maestro Iruka. Il maestro Iruka era stato compagno, per svariati anni, di mio padre e fu, in seguito, uno dei miei insegnanti negli anni dell’adolescenza: se dal maestro Daisuke avevo imparato la filosofia della Spada e le ragioni dietro la «via del guerriero» – strada che stavo in parte rivalutando viste le mie burrascose vicende personali – il maestro Iruka aveva fatto invece il “lavoro sporco”, insegnandomi i rudimenti del Kenjutsu. Il maestro Iruka aveva assistito, assieme a me e al nonno, alla creazione di Zeus ed era stato lui e dargli il bagno del fuoco sfidandomi in duello. Come dimenticare quel momento? Ero talmente impaurito quel giorno, a maneggiare una vera lama, che il mio tremore sembrava l’inizio di convulsioni: una delle cicatrici che porto sull’addome porta la sua firma.
    Il Dojo era situato al centro del quartiere. Quello che noi chiamavamo impropriamente «Quartiere del Ciliegio», altro non era che una zona molto piccola del Villaggio dove la maggioranza dei membri del clan Kawabata viveva: lì erano frequenti la presenza di scuole per imparare i rudimenti dell’arte dei Samurai o Fabbri specializzati nella forgiatura di armi ed armature tipiche della nostra Arte. Tra le tante scuole, quella del maestro Iruka era forse la più fatiscente di tutte perché venne abbandonata anni prima dopo la scomparsa del padre e non era più entrata ufficialmente in attività. Il maestro la gestiva a titolo personale, ma non professava il mestiere di Gran Maestro in quanto non si riteneva adatto a gestire le giovani leve. Pensando a quei giorni spensierati, in cui mio padre lo supplicava di riaprire il Dojo per me e me soltanto, ricordo una frase che lui diceva per spronarmi: «riaprirò il Dojo quando diventerai un Samurai che non si piscia addosso». Quella frase mi faceva sempre imbestialire perché – piccolo com’ero – non riuscivo a rendermi conto che lo stuzzicare del maestro fosse un modo per incitarmi e non per prendersi gioco di me.
    Il primo passo a salire gli scalini che m’avrebbero portato verso l’atrio fu ricolmo di bei ricordi. Non potevo sapere che le condizioni del tempio erano peggiorate così tanto: la polvere era accumulata ai margini del pavimento in legno e le ragnatele dominavano tra le assi che sorreggevano la struttura. Qua e là intravedevo rozzi tentativi di dare una pulita generale, ma – ahimé! – il tentativo era fallito. Anche il legno sembrava consumato dal tempo. Entrai dentro.
    All’interno la struttura era completamente vuota. Il mio sguardo fu attratto dal tatami, il quale presentava diverse bruciature come se qualcuno ci avesse spento dei sigari sopra. Alzai lo sguardo. La postazione delle Katane del maestro Iruka era vuota. Le altre imposte erano state forzate. Non ci voleva un investigatore privato per capire che qualcuno si fosse intrufolato di notte e avesse devastato tutto. Questo era uno dei problemi dell’abitare in una zona così periferica del Villaggio: seppur al centro, la zona rimaneva quasi del tutto priva di controlli e la notte poteva succedere la qualunque. Facendo anche lavori di milizia all’interno del Villaggio, ero consapevole di tali carenze del comparto militare, ma sapevo anche che questo era legato agli impegni che le forze armate avevano anche al di fuori dei confini: gli uomini erano quelli che erano ed era quasi accettata come normalità che alcune zone più isolate e tranquille rimanessero senza controlli assidui e quindi capitava, di tanto in tanto, che le voci si spargessero e che i delinquenti della zona ne approfittassero. Quel vecchio Dojo doveva averli attirati, forse perché i malviventi sapevano che non avrebbero trovato probabilmente nessuno a fare la guardia. Vedere quel posto così consumato mi fece un colpo al cuore. Nonostante il maestro Iruka non fosse in quel momento presente, non riuscivo a starmene con le mani in mano e cominciai a mettere in ordine e dare una pulita generale. Piegai il tatami rovinato e lo gettai fuori. Spalancai tutte le imposte, facendo entrare aria pulita; lavai il pavimento e sistemai tutto ciò che non era in ordine. Ammassai in un angolo tutti gli accessori del Dojo che erano stato rovinati o distrutti cercando di segnarli su un foglio di carta, facendo così un catalogo degli oggetti da sostituire. Erano anni che non mettevo piede lì dentro quindi non avrei saputo dire, per la precisione, quali oggetti mancassero all’appello. Dai miei ricordi, mancavano qualche quadro – con la raffigurazione dei vecchi Maestri -, le Katane da parata in esposizione e un piccolo scrittoio.
    Stavo quasi per rassegnarmi all’idea sarebbe stato impossibile, per me, sistemare tutto; avrei solo dovuto avvisare il maestro Iruka o il maestro Daisuke per spiegare loro la situazione e capire sul da farsi. D’improvviso, però, un’irritante risata acuta richiamò la mia attenzione facendomi voltare di scatto. Davanti a me c’era un uomo sulla quarantina, dai lunghi capelli corvini legati alla nuca alla rinfusa, e dal fisico corpulento. Nonostante le rughe cominciassero a coprire il suo volto, il viso rimanere stupendo.
    «Maestro Iruka!», esclamai allargando le braccia. «Ma da quanto tempo è qui?»
    «Abbastanza tempo per farti fare la maggior parte del lavoro», disse continuando a ridere. Indossava un Kimono da allenamento ed al fianco aveva due Katane in legno. Ricordo le usavamo spesso durante l’addestramento e ricordo anche gli ematomi che procuravano quegli oggetti infernali. Sulle spalle, il maestro portava un grande tatami arrotolato su sé stesso.
    «Mi dispiace per quello che è successo qui,» dissi con un nodo alla gola. Il maestro però non sembrava affatto turbato.
    «Ah, che ti devo dire? Sono cose che capitano. Alla fine erano solo ragazzini che hanno pensato che questo posto fosse abbandonato. Ormai erano mesi che non c’erano neanche le imposte chiuse né il ritratto di mio padre e mio nonno erano appese al muro. Diciamo che mi hanno dato una motivazione per tornare qui a darci una pulita». Anche il maestro era un ninja come me ed aveva abbracciato la carriera militare perché non si sentiva adatto alla responsabilità di cui i genitori lo avevano investito facendogli ereditare il Dojo; essendo figlio unico, egli non poté mai rinunciare all’incarico, ma seppe nascondersi oltremodo dietro la scusa degli impegni.
    «Perché non riapre il Dojo?»
    «Perché ancora ti pisci addosso», concluse ridendo. Il tono scherzoso sembrava mascherare un certo nervosismo dietro quelle parole. Non insistetti, anche se avrei voluto.
    «Ho saputo di tuo padre, comunque, e…» il volto del maestro si contrasse in una smorfia di dolore, mordendosi il labbro per fermarsi. «Nulla, mi dispiace».
    Feci spallucce, fingendo non m’interessasse il discorso. Mi aveva incuriosito il cambio di tono che ebbe la sua voce, come se avesse qualcosa da nascondere. Ma sapevo anche che cercare di estorcergli una parola sarebbe stata inutile, quindi feci finta di nulla.
    Passammo i minuti successivi a sistemare la sala, posizionando il nuovo tatami e buttando le cose distrutte. Non si poteva certamente dire che il lavoro era stato svolto egregiamente, ma quantomeno il Dojo cominciò ad acquisire una certa dignità. Ormai era tutto spoglio. Cercai di aggiustare le imposte, ma finii solo per peggiorare la situazione, rompendo un pannello.
    «Tranquillo, Hanzo, ormai quello è tutto da cambiare», disse il maestro schernendomi e lanciandomi addosso un panno umido. «Piuttosto, perché non inauguriamo il nuovo tatami con un combattimento?»

    Mi svestii dalla Katana e mi sgranchii le gambe. Il maestro mi aveva dato in prestito una delle sue spade d’allenamento e mi ci volle un po’ ad abituarmi al nuovo peso e alla nuova impugnatura. Lui, invece, sembrava molto a suo agio mentre si riscaldava con i movimenti di spada. Le sue azioni sembravano così fluide che rimasi a bocca aperta.
    Quando demmo inizio allo scontro, le nostre armi si scontrarono con violenza. Facevo molta fatica a stare al passo del maestro Iruka, non tanto in termini di forza, quanto per fluidità dei colpi. Nonostante fossi arrugginito, pensavo comunque di poter vantare una certa destrezza con le Katane. Riuscii anche ad assestare qualche colpo dritto alla pancia del maestro, ma quest’ultimo seppe sempre come contrattaccare dandomi poca manovra di ribattuta.
    «Nonostante l’età», dissi con un certo tono ironico mentre faticavamo a riprendere fiato, «lei è più forte di quello che ricordassi»
    «Passeranno altri vent’anni prima ch’io possa perdere contro un piscia sotto come te».
    Ridemmo a guardarci negli occhi, poi ci rimettemmo in piedi, in posizione di guardia. L’espressione del mio maestro sembrò cambiare, come ad ammonirmi:
    «Sei troppo rigido nei movimenti, Hanzo», prese ad osservare, «e inoltre, fai troppo conto sulla forza fisica e meno sulle tue abilità mentali»
    «Che vuol dire?»
    «Che ti butti come un mulo in avanti e speri di vincermi sulla forza o sulla velocità, ma non ci riuscirai e lo sai bene. Sai anche che non sto dando neanche il trenta percento. Continuiamo»
    Passammo di nuovo ad incrociare i legni. Ad un suo colpo, rispondeva uno mio e viceversa. Non riuscivo a comprendere le parole del mio maestro. Cosa aveva voluto dire? Ad ogni colpo, però, il maestro Iruka sembrava guadagnare maggiore flessibilità nei colpi e reagiva con sempre maggiore velocità. Ad un mio colpo bruto, lanciato dall’alto verso il basso, con cui credevo di aver finalmente messo la parola fine allo scontro, egli riuscì a scansarlo con un rapido movimento del bacino. Da lì, tentò un colpo dal basso verso l’alto portato col legno, ma un’intensa luce accecò i miei occhi. Non capivo cosa fosse successo. Ricordo solo che il colpo mi colpì in pieno, sullo stomaco, ma sul fianco.
    Caddi a terra tenendomi lo stomaco, neanche se il maestro m’avesse affettato con una vera lama. Rantolai a terra bestemmiando qualche parola confusa. Il mio maestro rise.
    «Ed anche oggi, ti pisci sotto»
    «Lei ha imbrogliato», sostenni io con aria imbronciata, alzando lo sguardo.
    «Per gli déi delle Montagne, e perché lo pensi?»
    «Mi ha accecato all’improvviso. Non è barare?»
    «Assolutamente no», disse il maestro chinando in avanti verso di me e aiutandomi a riguadagnare una posizione ritta. Si mise dietro spingendo dai reni e aiutando la mia respirazione, poi riprese: «vedi, il fatto che noi non utilizziamo tecniche illusionistiche perché le riteniamo vigliacche, non vuol dire che non dobbiamo facilitarci la vita approfittando della nostra abilità con la spada. Alla fine, cosa pensi io abbia fatto?»
    Per un attimo rimasi in silenzio, perché in effetti non sapevo cosa rispondere. «Onestamente, non ne ho idea», ammisi.
    «Non ho fatto altro che fare più e più volte lo stesso attacco nei tuoi confronti per poi inserire, nell’ultimo affondo, una modesta quantità di chakra facendoti accecare e portandoti a distrarre: così potevo colpire dall’altro versante. In uno scontro mortale», e qui la sua voce si fece più rauca, «t’avrei potuto uccidere senza alcun problema».
    Sudai freddo a quelle parole. Per il maestro io avevo uno stile di combattimento così elementare da poter pensare così tanto tempo prima come colpirmi? Quelle parole, per quanto dure, potevano solo aprire la mia mente. Stavo sbagliando tutto. Contavo tutto sui miei muscoli e sulle abilità che avevo già appreso. Avevo completamente dimenticato che l’Arte della Spada era un cammino in continua evoluzione e che dovevo vivere in simbiosi con tale Arte, non certamente arrendermi e nascondermi dietro a “questo non è giusto farlo”.
    «Maestro,» gli chiesi, «mi insegni la tecnica che ha utilizzato».





    Diario di un Samurai. L’addestramento.

    Il maestro Iruka mi aveva insegnato che dovevo metterci un piccolo di pazzia in quello che facevo; che non dovevo pensare a caricare, sfruttando la mia forza, ma a seguire i ritmi dello scontro e a sfruttare le opportunità del tempo. Era una lezione che non avrei dimenticato facilmente. Da quando gli avevo chiesto di insegnarmi la sua tecnica – che mi aveva tanto messo in difficoltà – girava per il Dojo come un bambino, felice di essere di nuovo tornato ad insegnarmi qualcosa. Nonostante lui lo nascondesse, amava insegnare.
    «Maestro», gli dissi timidamente, «se riuscirò ad apprendere questa tecnica entro due ore, lei aprirà il Dojo a tutti e farà di questo il suo lavoro».
    Il maestro Iruka si bloccò nei suoi movimenti, mentre cercava di sistemare una delle ante che cedevano. Borbottò qualcosa e poi, sbuffando e arrossito in volto, si portò verso la mia posizione con la Spada di legno in mano.
    «Prima impara e poi ne parliamo».
    Si posizionò a pochi metri da me. Alzò il l’indice destro verso il cielo e partì con uno di quei suoi pipponi che trasformavano il suo viso in quello del mio insegnante dell’Accademia Ninja.
    «Questa tecnica si chiama Taglio dell'Inganno ed è una tecnica venutasi a sviluppare proprio dai Samurai della Repubblica che si unirono anni fa all’esercito di Kumo. Durante le battaglie, infatti, cercarono di unire lo stile che potremmo definire “classico” dei Samurai con l’Arte Magica dei Ninja». Io ero seduto ad ascoltarlo con attenzione, ma nonostante ciò volle assicurarlo buttando un’occhiata nella mia direzione, poi, soddisfatto, ricominciò: «lo scopo è quello di far credere all’avversario che tu lo stai attaccando verso una determinata posizione con un determinato fendente» e imitò con il legno un movimento verticale, dal basso verso l’alto. «Ma nel momento in cui il tuo avversario si ritroverà a parare succederà quello che è successo a te, quindi?»
    «Rimarrà accecato»
    «Esattamente. In realtà quello che causa accecamento momentaneo non è altro che un’esplosione di chakra che avevi precedentemente concentrato sulla punta della lama». Mi venne quasi da ridere perché io non avevo notato alcuna concentrazione di chakra, preso com’ero dal combattimento in corso. Ne avevo di strada da fare. Il maestro continuò: «una volta distratto l’avversario, devi avere l’agilità necessaria per cambiare rapidamente la direzione dell’attacco e colpirlo da un altro punto» e, di conseguenza, imitò un secondo fendente, orizzontale questa volta, con un movimento da sinistra verso destra. La tecnica di per sé non sembrava così difficile da apprendere. Forse avrei potuto veramente farcela in così poco tempo.
    «Bene», esclamò il maestro con un ghigno di soddisfazione per lo spiegone e sbattendo la spada sul tatami. «Adesso che abbiamo finito la parte teorica, è giusto cominciare con la pratica. Sei pronto?»
    «Sì, maestro Iruka».
    «La prima fase consisterà nel movimento del corpo, poi penseremo al chakra e subito dopo all’esecuzione della tecnica vera e propria»
    Il maestro Iruka mi trascinò per la manica dell’Hakama verso il centro del tatami, concentrando i suoi occhi suoi miei piedi.
    «Maestro, cosa c’è che non va?» Lo sguardo di lui era severo e sembrava mugugnare tra sé qualcosa, anche se lo faceva con un tono talmente basso che anche io a letteralmente un passo da lui non riuscivo a comprendere.
    «I tuoi piedi», cominciò a dire, «ti muovevi veramente da schifo prima e la colpa è dei tuoi piedi»
    «Mi scusi, ma che c’entra ora con la tecnica?»
    «Questa è una tecnica in cui devi avere una grande mobilità ed un’ottima connessione mente-corpo. Se non ti muovi bene, non riuscirai a fare un cazzo. Hai passato tutto il tempo, prima, ad agitare la Katana e a muoverti solo se volevi avanzare o meno. Ma se ti ricordi quello che ti dissi anni fa: l’Arte della spada è una danza».
    Detto questo, indietreggiò di qualche passo e cominciò ad eseguire dei rapidi fendenti. Io lo guardavo in silenzio, fino a sua ammonizione: «non ti focalizzare sulle braccia, guarda le mie gambe». Le sue gambe si muovevano a seguire ogni suo movimento del bacino. Non l’avevo notato prima. I suoi colpi sembravano dei movimenti così naturali, come per me lo era bere dell’acqua o dormire. Era sul serio merito del movimento dei piedi? Il maestro si fermò, puntando l’arma contro di me. «Adesso prova tu, ed esegui i miei stessi movimenti».
    Il maestro si pose al mio fianco posizionandosi in guarda, con la gamba destra in avanti come perno e quella sinistra, dietro, flessa e pronta allo scatto; il braccio destro ad impugnare l’arma, leggermente in avanti. Il maestro Iruka abbassò leggermente il suo baricentro spostando la lama in avanti e facendola roteare in senso orario, nel momento stesso in cui la mano sinistra si poggiava sull’elsa della Katana per supportare il fendente, egli sfruttava la gamba sinistra per spostarsi di lato.
    «Ecco, questo è una parte del movimento, seppur censurato dei suoi movimenti finali».
    Non risposi, ma decisi di provarci subito, esaminato dagli occhi vigili del maestro. Mi posizionai con le gambe divaricate, in posizione di guarda, abbassando leggermente il baricentro proprio come aveva fatto il maestro Iruka.
    «No, non ci siamo», mi interruppe il maestro prima ancora che io facessi qualcosa.
    «Ma come?»
    «Tu mi stai solo imitando, non stai seguendo i miei movimenti. Sono due concetti diversi: con il primo, tu forzi il tuo corpo a seguire una meccanica che fa fatica a seguire; con il secondo tu segui un’onda».
    Seguire un’onda. I movimenti del maestro Iruka, in effetti, mi erano sembrati molto armoniosi mentre io quasi soffrivo a posizionarmi in quel modo. Dopo un attimo di esitazione, sollevai leggermente il baricentro restringendo le gambe. Nonostante rimasi con la schiena ritta, cercai di rilassare i muscoli respirando a pieni polmoni e gettando lentamente tutta l’aria fuori. Il maestro annuì energicamente.
    Mossi la spada di legno prima in senso anti orario, poi orario, posizionandola con il filo rivolto verso il mio ipotetico avversari come se avessi voluto sferrare un attacco dal basso verso l’altro; finsi l’attacco, poi mi spostai verso sinistro con un rapido scatto della gamba sinistra. Inciampai, ma riuscii a tenermi in piedi per il secondo fendente.
    «Manchi di pratica, ma hai capito come muoverti. È stato solo per un po’ di sfortuna se non sei riuscito ad atterrare bene. Prova a ripetere finché non ti verrà bene».
    Passai una buona mezz’ora a ripetere quel movimento. Anche quando il maestro sembrò soddisfatto dei miei movimenti, egli continuò a farmelo provare dietro la scusa che «la pratica fa la perfezione». I muscoli delle mie gambe non sembravano dargli ragione. Quando caddi a terra stremato, egli mi disse di fermarmi, facendomi abbeverare ad una gavetta che aveva con sé.
    «Adesso, anche sotto immenso sforzo fisico, hai reso tuo un movimento rendendolo naturale perché non ti sei più concentrato su “cosa devo fare” ma su “come devo fare”». Quindi era per questa ragione che mi aveva fatto provare fino allo sfinimento? Sorrisi. Io ero talmente una testa di cazzo da non comprendere che delle cose così elementari – o almeno così m’apparivano dopo che il maestro me le spiegava.
    «Bene, adesso tocca alla seconda parte dell’addestramento. Adesso c’è la parte del chakra. Come ti ho detto, tu non devi semplicemente sferrare dei fendenti, ma la difficoltà della tecnica consiste nel dosaggio del chakra e nell’esplosione». Prese a colpire l’aria con qualche fondente, poi per un secondo caricò l’arma fino alla punta estrema e, in un fendente successivo, scaricò la tensione in una specie di esplosione.
    «Vuoi provare?»
    Strinsi forte l’elsa della mia Katana di legno tra le mani. Chiudendo gli occhi cercai di concentrare il chakra all’interno della lama, poi con un fendente cercai di rigettare con un impulso quel chakra fuori. Risultato? Il legno esplose. La punta della Katana andò in frantumi bruciandosi. Lasciai andare l’arma a terra indietreggiando per il piccolo spavento.
    «Mh,» mugugnò il maestro portandosi una mano verso il mento e l’altra sotto le braccia, «credo tu abbia sovraccaricato troppo l’arma. Certo, una Katana vera non sarebbe ovviamente esplosa, ma il controllo del chakra è essenziale per la riuscita della tecnica e devi tenerlo presente».
    Avevo, dunque, esagerato nel dosaggio del chakra. Avevo già avuto questo problema durante l’apprendimento della Tecnica del Richiamo, ma all’epoca risolsi la questione andando a tentativi perché avevo tutto il tempo del mondo. Ma, avendo fatto una scommessa che intendevo vincere, qui avevo un tempo limitato da rispettare e dovevo, dunque, trovare una soluzione alla svelta se volevo sbrigare qualcosa di onorevole. All’improvviso, un lampo.
    «Lei ha detto “sovraccaricato”, giusto?» chiesi con un’espressione stupida di chi veniva in possesso di informazioni a lui non riservate.
    «Sì, perché?»
    Non risposi al maestro, il quale era stupito dalla mia reazione. Probabilmente lui aveva utilizzato il termine sovraccarico per descrivere meglio il contesto, ma a me fece venire, invece, in mente la tecnica d’elemento raiton di cui ero a conoscenza. Il sovraccarico permetteva non solo di potenziare la mia muscolatura grazia ad una continua stimolazione nervosa, ma, in più, mi permetteva di propagare la corrente elettrica su alcuni conduttori distribuendo il chakra in maniera lenta e continua. Qui dovevo fare, probabilmente, un’azione molto simile. Chiedi al maestro di prestarmi la sua spada e mi rimboccai le maniche. Piano, rilassai i muscoli del corpo e dopo caricai lentamente il chakra all’interno del legno: un impulso lento e continuo. Caricata l’arma rilasciai, senza alcuna sorta di impulso esplosivo, un vendente verso l’aria e notai che il colpo esplose quasi come avrei voluto. Dico quasi perché comunque l’arma andò a rovinarsi, anche se le bruciature erano molto meno marcate rispetto a prima. Se anche non avevo intuito alla perfezione qual era la dose giusta di energia da utilizzare, avevo comunque capito il meccanismo e questo dimezzava i tempi di cui avevo bisogno per l’apprendimento. Lasciai cadere il pezzo di legno scusandomi con il maestro – e promettendogli che avrei pulito io tutto. Corsi a prendere Zeus dal suo fodero. Scelsi di utilizzare Lei e non altre armi in legno per due ragioni: innanzitutto, volevo abituarmi fin da subito al peso e alle dimensioni della mia Katana; inoltre avrei evitato altri disastri come quelli avvenuti pochi secondi prima. Provai e riprovai il caricamento e l’esplosione più e più volte e quasi sempre fu un fallimento. Il maestro m’osservava, in silenzio, senza dire alcuna parola e senza permettersi di darmi suggerimenti: aveva probabilmente compreso dal mio sguardo che avevo preso la cosa sul personale e forse era meglio che me la sbrigassi io da solo. Quando finalmente ci riuscii, il maestro Iruka applause.
    «Bravo, Hanzo!», esultò battendo le mani. «Non sono passate neanche due ore e già sei arrivato a questo punto. Allora non sei proprio un piscia sotto come pensavo».
    Io, stanco e distrutto per lo sforzo, lo guardai torvo: «Non siamo ancora alle due ore. Si ricordi della promessa».
    «Allora rialzati che ti aspetta l’ultima fase. Adesso devi unire queste due fasi, quella del movimento e quella del controllo del chakra in un attacco lineare e senza sbavatura. Avrai solo una possibilità, visto che mancano scarsi due minuti. Ce la farai?»
    Ce la dovevo fare. Era una questione personale di grande importanza e non potevo permettere di farmi battere dal tempo.
    Il maestro si moltiplicò, utilizzando la classica Kage bushin no jutsu. Per questi casi, la tecnica superiore della moltiplicazione del corpo dava una mano incredibile all’apprendimento delle tecniche. La copia, in silenzio, si pose a due metri di distanza dalla mia persona. Estrasse la spada, mettendosi in posizione. Io feci lo stesso. Il maestro Iruka, l’originale, ci face da arbitro.
    Allo scoccare del via, sputai fuori tutta la tensione che i miei muscoli avevano accumulato. Rilassai i muscoli, abbassai di poco il baricentro e roteai la spada avvicinandomi pericolosamente al mio avversario. Arrivato a un metro di distanza, rotai con il palmo della mano sinistra l’elsa della Katana, che avevo impugnato nella destra, in senso orario; caricai il chakra, secondo gli insegnamenti appresi, illuminando la punta di Zeus e, nel momento in cui finsi il fendente, lasciai che quell’energia esplodesse a ridosso del mio avversario, accecandolo. Mi spostai subito verso la sinistra facendo forza sulla mia gamba d’appoggio, flessa, e caricai un secondo fendente, orizzontale, che colpì la copia da sinistra verso destra, colpendo il suo fianco. La copia si estinse in uno sbuffo di fumo.
    «Bene, maestro, adesso deve mantenere la promessa. Riapra il Dojo».

    Kumo-Ryū: Damashigiri - Stile della Nuvola: Taglio dell'Inganno
    GpuX
    Livello: C
    Tipo: Ninjutsu
    Tramite questa Tecnica il Ninja eseguirà un rapido taglio dal basso verso l'alto. La caratteristica di questo colpo risiede nel fatto che il Ninja immetterà il proprio Chakra all'interno della lama, facendole assumere un colorito dorato che all'ultimo momento, esploderà in un bagliore accecante conferendo al colpo una imprevedibilità inaspettata. L'avversario sarà infatti improvvisamente accecato, seppur per poco più di un istante, e non potrà vedere la lama dello Shinobi che cambierà repentinamente posizione, trasformandosi in un taglio orizzontale. Il colpo ha alte probabilità di successo nel caso in cui l'avversario decida di pararlo o di rimane entro la portata della lama. Infliggerà danni medi da taglio.
    Consumo: 4



    Chakra: 135-4=131
    Mentale: Gasato
    Fisico: Ferita media da impatto all'addome

    Equipaggiamento

    Katana impugnata (+0.5 motorio+forza)


    Edited by Zanna. - 21/12/2022, 16:46
     
    .
  3.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline


    Saga della ricerca di Hichemon



    Fuga dagli uomini in nero.



    La fuga di Hichemon riprendere gli eventi secondari narrati qui.

    Ryohei-Kawabata-padre-arrabbiato
    Ryohei, Hitoshi, Matsume, Haruki. Aveva utilizzato talmente di quei nomi negli ultimi mesi da far confusione. Tornare a sentire da una voce amica il suo vero nome – Hichemon – lo aveva scombussolato; quanto meno aveva finito di creare ancora più confusione in una testa ch’era diventata campo di battaglia. Aveva passato gli ultimi mesi da fuggitivo, reietto, accusato ingiustamente di crimini mai commessi. Aveva letto sul giornale che aveva tradito il Villaggio della Nuvola e che aveva rinnegato il Clan Kawabata; aveva ascoltato tra i vicoli della Repubblica ch’egli aveva deciso di abbandonare la famiglia per vendere informazioni a Villaggi rivali. Nulla di tutto questo era vero. S’era avvicinato al Torneo per informare Daisuke dei motivi per cui era fuggito, per aiutarlo a mettere al sicuro la Nuvola e il Ciliegio. Non gli fu possibile: gli Uomini in Nero l’avevano inseguito fin lì, spingendosi in terreno aperto, per braccarlo. Avrebbe potuto urlare al mondo la verità approfittando della presenza, a Kosugoku, delle Alte cariche militari dei Cinque grandi Villaggi? No, sarebbe stato tempo sprecato: gli inseguitori erano pesci piccoli. Una volta presi, anche se interrogati, poco avrebbero saputo dire dell’Organizzazione a capo dei loro ordini. Hichemon doveva scappare, aggrapparsi alla vita. Avvisare Daisuke dei pericoli imminenti la considerava già come una mezza vittoria.
    “Chissà com’è andato lo scontro di Hanzo”, si domandava. Hichemon non vedeva la famiglia da troppo tempo, ormai aveva smesso di segnarsi i giorni. Non aveva neanche più continuato a scrivere il Diario con tutte le informazioni che riusciva a scoprire giorno dopo giorno perché i momenti in cui poteva rilassarsi e riprendere fiato coincidevano quasi sempre con momenti in cui non gli era permesso accendere una candela e scrivere.
    Gli Uomini in Nero li aveva seminati già dopo una decina di chilometri dal confine. Addentrarsi nel Paese del Fulmine era stato un gioco da ragazzi. Di lì, conoscendo bene la geografia del territorio, prenderli in controtempo e ucciderli tra i solitari sentieri montanari era stato semplice come fregare un bambino. Non s’erano rivelati grandi segugi, loro.
    La prossima Tappa del suo viaggio sarebbe stata la cittadina di Raiden. Un uomo del Mercato Nero gli aveva dato una soffiata – dietro lauta compensa: lì avrebbe trovato un Fabbro, tale Kimino Komubata, che avrebbe potuto rispondere alle sue domande. Il Fabbro trattava con l’Organizzazione procurando loro armi e posti in cui rifugiarsi; in cambio, egli riceveva delle valide motivazioni per non spifferare i loro movimenti in giro.
    Cosa avrebbe dovuto fare una volta messe le mani su quell’uomo? Torturarlo ed estrargli le informazioni con la forza? Oppure avrebbe potuto contare sulla buona fede dell’uomo che, dietro la motivazione del Fare-la-cosa-giusta avrebbe potuto dire quello che sapeva?
    Hichemon aveva capito che le persone erano disperate. Tutte. Tutti gli Esseri Umani sono guidati dalla disperazione: il desiderio di essere amati, la bramosia, il bisogno di sentirti protetti, la paura di perdere qualcuno. E in nome di questa disperazione tutti erano disposti a fare tutto. Il Fabbro certamente non era da meno e lui sarebbe dovuto essere spietato.

    Quella notte a Raiden, Hitoshi – aveva scelto questo nome! – aveva trovato ristoro in una locanda di terza mano. Dalla stanza affianco la sua, delle prostitute offrivano i loro servizi e lui poteva sentire letteralmente ogni respiro. Aveva avuto però il privilegio, a pochi Ryo, di farsi un bagno caldo e accendere un lanternino. Per la prima volta dopo non ricordava quanto tempo, poteva riprendere con la scrittura. Scrivere era l’unica via di fuga da una realtà che stava imparando ad odiare. Non era scrittura creativa, però la sua; non aveva tempo per liberare la fantasia e guadagnare slanci del genere. Doveva scrivere rapporti che in futuro avrebbe consegnato a chi di dovere: prove, informazioni, tutto quello che sarebbe stato utile per muovere i Villaggi contro l’Organizzazione che voleva e doveva distruggere. Se fosse rimasto al Villaggio, abbracciato dall’Amore della sua famiglia, nessuno gli avrebbe permesso di indagare. Tutti sarebbero stati travolti dagli eventi prima che lui avesse solo potuto convincere il Clan e gli alti membri del Villaggio a muovere anche solo un dito. Da fuggitivo, solo e abbandonato dal mondo, poteva strisciare tra la merda del mondo e scoprire la verità.
    Ma quella sera non aveva nulla da riportare. Erano settimane che – sia per mancanza di informazioni concrete, sia per mancanza di tempo e spazi, non aveva posato penna sul foglio. Questa volta il suo pensiero andò al figlio Hanzo, che aveva potuto vedere solo di sfuggito al torneo. Nonostante le cose per lui non stessero andando per il meglio, Hichemon era fiero del Figlio e del modo in cui stava reagendo alla vita. Non aveva smesso di tenerlo d’occhio (i suoi informatori erano ovunque). Decise di scrivere a lui, dunque, una lettera aperta dove avrebbe spiegato i motivi per cui aveva dovuto lasciare il Villaggio e le ragioni per cui nessuno sapeva di quel che stava succedendo. Un giorno, Hanzo e il resto del Clan avrebbero saputo tutto. Se fosse sopravvissuto.

    CITAZIONE
    Mio caro Hanzo, dolce figlio.


    Cominciava la lettera.


     
    .
  4.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline


    Saga della ricerca di Hichemon



    Pericolo per Hichemon. I dintorni di Iwa.



    Ryohei-Kawabata-padre-arrabbiato
    S’era macchiato di nuovo le mani di sangue. Un altro crimine. Un altro assassinio. Era il dodicesimo da quando aveva lasciato la Nuvola. Uccidere qualcuno, anche per incidente, stava pericolosamente diventando qualcosa di normale per lui. Il Fabbro non aveva parlato. La paura che aveva di loro era troppa; ma le sue informazioni erano troppo importanti per il bene della Nuvola. Hichemon ricordava ogni particolare di quella notte: il cacciavite conficcato nella gamba, il dente estratto con un pugnale, il bavaglio mentre gli strappava via un’unghia. Solo poche settimane prima si sarebbe tolto la vita al pensiero di fare una cosa del genere. Ma tra i disperati, lui era il peggiore: per difendere il figlio, la figlia, il Clan e il Villaggio egli era disposto a tutto. Anche a diventare ciò che aveva sempre disprezzato.

    Rimettersi in cammino per le Terre di Nessuno era stato una conseguenza del crimine commesso. Se fosse rimasto lì, qualcuno avrebbe potuto mettersi sulle sue tracce. Nei dintorni di Iwa, le identità sparivano: gli Esseri Umani diventavano tutti dei senza-volto, dimenticati dai Paesi e, forse, anche dagli dèi. Lì, nel giro di poco tempo, Hichemon aveva costruito una fitta rete di contatti tra vari uomini fidati – o meglio, uomini a cui aveva dato motivi per non tradirlo – e grazie al loro si sentiva quasi al sicuro. Nella sua ragnatela, egli era il tessitore e poteva vantare anche di qualche “amico”. Poteva chiamare così un uomo con cui aveva bevuto assieme perché aveva stipulato con lui un accordo?
    Varcato il Confine e ritrovatosi in quella landa dimenticata da Dio, Hichemon tirò un sospiro di sollievo. Gli puliva la coscienza il fatto che ogni azione, ogni passo, erano finalizzati alla protezione di ciò che amava. Gli dèi delle Nuvole l’avrebbero perdonato – o con questo pensiero amava cullarsi. Attraversando quel territorio ostile e completamente montuoso, venne assalito dallo sconforto: quella landa putrida e assolata riusciva a fargli rimpiangere il freddo delle vette di Kosugoku; aveva poi un’altra sensazione che si era sostituita alla tranquillità di quando aveva varcato il confine: l’ansia di essere seguito. C’era qualcuno che gli teneva passo, questo era certo. Hichemon aveva cercato di battere tutti i sentieri più frequentati, quelli che ancora sembravano presentare un minimo di civiltà: lì qualsiasi malvivente evitava di dar nell’occhio onde evitare tafferugli vari in cui persone esterne avrebbe potuto mettere il becco. Di solito, i manigoldi colpivano nel più classico dei modi: quando la preda era isolata, lontana dal mondo. E ci voleva un nulla per perdersi, tra quelle strade, e ritrovarsi in un vicolo cieco pronto ad essere sventrato per essere rapinato di quei quattro spicci che eri riuscito a guadagnare grazie a qualche lavoretto.
    E fu così che presero Hichemon. Aveva perso la strada, nessuno aveva saputo dargli indicazioni. Per uno shinobi come lui, abituato a percorsi difficoltosi, l’emozione del momento gli aveva giocato un sinistro tremendo permettendogli di perdere completamente la bussola e ritrovandosi in mezzo al nulla. La strada per Iwa era persa. Davanti a sé riusciva solo a vedere il nulla, nessun sentiero. Quando s’era perso? Per un attimo ipotizzò addirittura di trovarsi sotto l’influsso di un’illusione. Intanto, quella orribile sensazione di essere braccato da qualcuno non lo abbandonava. Anzi, diventava sempre più forte. L’Organizzazione aveva forse tenuto sotto controllo i confini? Era talmente forte, talmente ramificata nella povera terra della Roccia? La risposta era un secco sì.
    Dal terreno, davanti a Hichemon, e dietro di lui, apparvero decine uomini. Sembrava il più classico dei cliché di un romanzo da quattro ryo venduti nei mercatini dell’usato di Kumo: tutti incappucciati, vestiti di nero a coprire i propri volti. Sembravano anche avere tutti la stessa stazza e lo stesso portamento. Come ogni canovaccio del genere, il più impavido tra i nemici si fece avanti, gettando le fasce che gli coprivano il viso per terra e mostrando a Hichemon un volto rozzo, dai lineamenti appuntiti e dal ghigno malvagio.
    «La Testa vuol sapere cosa sai dell’Organizzazione»
    «Se ve lo dico mi lascerete andare?», rispose Hichemon sorridendo e sfilando la lama dal fodero. La domanda era retorica.
    «Sai bene che morirai qui»
    «E allora, amici miei, penso proprio che porterò all’inferno tutto quello che so. A voi che cambia?»
    Il malvivente scrollò le spalle, mai abbandonando quell’irritante ghigno dipinto sul volto. Gli altri, in silenzio, cominciarono a muoversi intorno, tutti in direzioni diverse, ma seguendo uno stesso ritmo. Dovevano essere addestrati, ed addestrati ad operare assieme. I loro movimenti non erano causati dall’istinto del momento, ma da un piano che già avevano in mente e che loro eseguivano con diligenza. Hichemon non sapeva nulla di loro. Neanche dell’Organizzazione sapeva molto, o quantomeno sapeva meno di quanto avrebbe voluto e meno ancora di quanto loro pensavano egli sapesse. S’erano mossi perché qualcosa aveva attirato la loro attenzione. Forse pensavano che Hichemon fosse entrato a conoscenza di qualcosa che non potevano rivelare ad anima viva? O forse anche solo aver messo il naso nei loro affari era per loro sentenza di morte?
    Hichemon avrebbe voluto indagare ancora, dare qualcosa di pratico con cui lavorare a Daisuke prima di perderci le penne. Non poteva certamente lasciarsi sopraffare da questi ignobili.
    “Ignobili”, si ritrovò a pensare Hichemon mentre agitava la Spada guardando in cagnesco i presenti, “che diritto ho io di definire loro ignobili? Siamo tutti dei disperati”.
    «Allora scelgo la morte», annunciò a voce alta Hichemon, mostrando i denti all’avversario.
    «Tanto per me fa lo stesso».

     
    .
  5.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline


    Saga della ricerca di Hichemon



    Aiuto.


    Ronin-1
    Il senza-nome. Era nato tra le gambe di donna stuprata dalla guerra; era cresciuto tra le ceneri di un Regno di cui ormai era bandito ricordare la grandezza. Gli unici amici che aveva avuto durante l’adolescenza erano morti o incastrati in traffici loschi da cui non riuscivano ad uscire. Lui era l’unico, tra loro, che potesse definirsi libero. Libero di andare in giro, tra le rovine dell’ex Paese, e donare la propria Spada a chi più gradiva. Spesso offriva le sue prestazioni su commissioni, altre volte aiutava per capriccio. Il senza-nome agiva secondo una morale tutta sua, con l’idea che un giorno quell’ammasso di Terra potesse ritornare ad avere una guida. In quel contesto aveva conosciuto Hichemon – che s’era presentato sotto il falso nome di Ryohei Murakami:
    «Perché vorresti che t’aiutassi a scovare il covo dell’Organizzazione?»
    Aveva sempre fatto sorridere il senza-nome che anche una delle organizzazioni più temute della malavita non avesse effettivamente un nome a cui aggrapparsi. Come lui. L’unica differenza ch’egli aveva ripudiato il suo vero nome per disgusto nei confronti di un padre ignoto.
    «Perché tu vuoi portare Iwa ad avere una guida e l’Organizzazione, probabilmente, è il tuo ostacolo più grande»
    «Ha senso, se la metti così». I due avevano sigillato un accordo brindando con un alcolico di bassa qualità. Nessuno dei due, in quel momento, aveva modo di fidarsi dell’altro. Ci vollero mesi prima che il Senza-nome potesse stargli accanto senza tenere sotto la manica del Kimono un pugnale pronto all’uso.
    Il senza-nome non conosceva bene l’obiettivo primario di Ryohei e, ad essere onesti, neanche gli interessava più di tanto. Erano solo due uomini legati da un’unica volontà: la distruzione di un nemico. Il resto era superfluo ai suoi occhi.
    Ma c’era qualcosa in quel Ryohei che lo affascinava. Quando Ryohei guardava ad Ovest, i suoi occhi sembravano cercare tra le nubi qualcosa di familiare. Era una sensazione ch’egli non aveva mai provato.
    «Hai scelto un nome da darti?» gli chiese una sera, quando i due avevano trovato rifugio tra le montagne nei pressi di Maguma. «Non posso chiamarti per sempre Senza-nome o “tizio con la spada»
    «Mh, non sono molte le persone che mi chiamano, quindi non ci ho pensato. Quand’ero piccolo mi chiamavano “capelli-lunghi”»
    «No, non credo che “capelli-lunghi” sia un buon inizio. Se devo fidarmi di te, devi darmi un nome a cui aggrapparmi».
    Il senza-nome lo guardò sgranando occhi e bocca, con un’aria di bimbo innocente. «Perché è così importante avere un nome?»
    «Ma dove vivi?», rispose Ryohei-Hichemon sorridendo e poggiandogli una pacca sulla spalla: «Senza un nome perdi la tua identità»
    «Vale lo stesso anche per chi ha dieci nomi come te?»
    «Io non dimentico chi sono e da dove vengo»
    «È per questo che guardi sempre verso Ovest?»
    «Andiamo, Senza-nome, fatti i cazzi tuoi ed alleniamoci con la Katana. Fai veramente schifo con quell’arma in mano»

    Ryohei era per lui la speranza di un mondo migliore: un modello di giustizia morale, isolato nelle desolate terre di Iwa dove il caos regnava sovrano. Se avessero voluto, i Cinque grandi Paesi avrebbero potuto riportare la pace e la tranquillità e un nuovo Villaggio sarebbe potuto nascere da quelle terre. E invece no. E invece tutto era lasciato al nulla e chi nasceva in quel territorio dimenticato dagli déi era destinato a diventare Feccia.
    Il senza-nome di morale non ne sapeva molto; però sentiva il bisogno di un cambiamento. Il desiderio che nessun bambino dovesse vergognarsi della sua nascita e che nessuno dovesse voler diventare forte solo per il semplice bisogno di sopravvivere.
    Ryohei era la speranza. E non poteva permettersi che morisse.

    Senza-nome aveva aspettato Ryohei al confine, pronto ad accoglierlo per raggiungere l’ex Capitale con lui. S’era reso presto conto che c’era qualcuno che gli stava alle costole, mischiato tra le carovane che – seppur meno che in passato – affollavano le vie principali. Aveva seguito il convoglio, nascosto anch’esso. Ryohei aveva virato strada bruscamente, come a perdersi tra la geografia del territorio. Non era da lui perdersi. Senza-nome e Ryohei avevano viaggiato per centinaia di chilometri assieme e quest’ultimo aveva sempre fatto da guida, anche se i luoghi erano sconosciuti anche a lui. Quando l’aveva raggiunto, l’aveva scoperto a terra, sanguinante, con la Katana in mano. Al suo fianco giacevano sei uomini, con le budella aperte al vento. I vermi avrebbero festeggiato quella notte.
    Ryohei mugugnava qualcosa tra la polvere del terreno e vomitava sangue. L’unico tra gli uomini che non aveva una maschera si divertiva a calpestare le braccia del povero Ryohei. In una diversa occasione, l’istinto di sopravvivenza di Senza-nome avrebbe preso il sopravvento e avrebbe fatto finta di nulla, abbandonando la scena del delitto. Ma questa volta non poteva far finta che nulla stesse accadendo. Urlando, si buttò tra gli uomini ancora in piedi sventrando i loro stomaci con l’arte della Spada che stava apprendendo proprio dall’amico. Ryohei, con le ultime forze, lo aveva visto colpire ferocemente l’ultimo nemico rimasto in piedi.

    Lo scoppiettare del braciere con la polvere era l’unico rumore che faceva eco nel silenzio della notte. Al lume della sorgente di calore, Hichemon-Ryohei vide l’amico medicargli la gamba offesa. Non riusciva a parlare. A spezzare il silenzio, fu Senza-Nome.
    «Chiamami Ryohei, d’ora in poi. Io prenderò il tuo nome. Tu, però, dovrai dirmi il tuo».


     
    .
  6.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline


    Saga della ricerca di Hichemon



    Il Consiglio dei Kawabata.



    Questo post riprende gli eventi secondari narrati qui.

    tumblr-nsoclmme-Dt1tq4h2io5-1280
    La figura magra di Kenjiro precedeva il Vecchio di qualche metro; tra un saltello e un altro, Kenjiro, dal viso scavato e il corpicino scheletrico, mostrava una vitalità mai vista prima. Erano anni da quando era stato bandito dal Clan e s’era ritirato nei sobborghi di Gosugoku, dove aveva cominciato a produrre particolari modellini d’armatura in pietra per il grande pubblico. Non aveva avuto mai successo, anche perché si diceva regalasse tre quarti dei suoi prodotti e l’altro quarto li vendesse a metà del valore di mercato. Quell’uomo era morto anni prima, durante lo scontro col fratello Daisuke, solo che ancora il Dio della morte s’era accorto dell’accaduto. L’aveva raccontato spesso durante il viaggio al fratello, pungolandolo e cercando di farlo sentire in colpa per le orrende ferite che aveva, scherzando sull’accaduto con un macabro sarcasmo che non avrebbe fatto sorridere nessuno. Ma lui rideva.
    Daisuke non l’aveva mai visto serio, neanche per un attimo, da quando l’aveva tirato fuori da quel putrido buco in cui viveva. Sembrava uscito passo, come se il cervello non connettesse. Se aveva deciso di radunare anche Kenjiro, però, era perché non aveva altra scelta; la sua convocazione avrebbe segnato anche per gli altri membri del Clan che si sarebbero ritrovati davanti ad eventi epocali. Trent’anni prima, il padre di Daisuke e Kenjiro, li aveva obbligati a sfidarsi alla morte per prendere le redini del Ciliegio. Daisuke aveva trionfato, anche se conservava ancora sul volto i segni della battaglia.
    Quando entrarono nell’ampia sala del Congresso, tutti i capo famiglia del Clan sedevano ai loro posti. Daisuke si sedette a capotavola, mentre suo fratello Kenjiro alla sua destra. Tutti i presenti buttarono lo sguardo sulla figura malaticcia del nuovo arrivato: la maggioranza tra i presenti non lo avevano mai visto, ma avevano solo sentito parlare del suo vissuto. Vederlo adesso lì, seduto al tavolo, con le ginocchia alla gola e le dita nel naso, non entusiasmò la folla. Tuttavia, la sua presenza voleva significare ch’era successo qualcosa di estremamente grave. Dopo un attimo di silenzio, Daisuke prese la parola, alzandosi dal tavolo:
    «Miei cari fratelli, bentrovati. Questo sarà un incontro breve e, per la prima volta nella mia presidenza, non ammetterò repliche. Voglio che sentiate le mie parole, ci riflettete e domani ognuno di voi mi darà il responso, in pubblico, così che tutti sappiano chi ha votato cosa. La maggioranza, come sempre, avrà l’ultima parola. So che molti di voi stanno pensando che è una sicurezza seguire i miei consigli, ma vi invito alla prudenza e al senso critico. Come ben sapete, l’uomo al mio fianco è mio fratello Kenjiro. Contro di lui ho dovuto lottare – secondo una barbara usanza del Clan che abbiamo eliminato dopo quella vicenda – e lui è andato in esilio. Ora è stato richiamato perché la nostra grande famiglia è in pericolo. Tutti voi siete a conoscenza della scomparsa del nostro Hichemon. Tutti voi avrete sicuramente letto qualcosa sui giornali ed altre voci in circolazioni riguardanti la sua scomparsa. Non posso dire molto perché non ne so nulla. So solo una cosa: è vivo ed è scappato per il nostro bene. Me lo ha detto lui. Che mi crediate o no, questa è la realtà dei fatti. Mi ha detto la verità? Io ci credo. È sempre stato leale nei nostri confronti e avrà sempre la mia fiducia. Adesso dobbiamo interrogarci sul da farsi. Il Clan è sott’occhio da qualcuno non meglio identificato. Certamente, tutti i Kawabata del continente dovranno essere informati di queste notizie. Anche la Nuvola, secondo Hichemon, è in pericolo. I motivi e in che modo, sono sconosciuti. Ovviamente, non posso tenere nascoste queste informazioni alle alte sfere di Kumo – le quali sono già state informate di tutto -, ma voglio capire se avete o meno intenzione di mettere tutte le nostre forze all’interno di questa faccenda. Hanzo, il figlio di Hichemon, vorrà sicuramente mettersi in prima linea e noi potremmo far veramente poco se il Raikage acconsentisse. Qui è in gioco il nostro futuro e la nostra forza. Offrite i vostri cuori!»


     
    .
  7.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline


    La ricerca di Tetsuo Nara



    Il Villaggio della Foglia.



    Questo post riprende gli eventi del torneo.

    jpg
    Un lettore attento non ha bisogno che riassuma gli eventi che sconvolgevano, in quei mesi, la mia vita. Ho già riportato all’interno della mia biografia i passaggi essenziali che vanno dalla sparizione di mio padre alle manovre del clan Kawabata per far luce sulla storia dietro quelle particolari vicende. Io ero tenuto allo scuro delle indagini, ma mi era chiaro in mente che qualcosa agisse nell’ombra. Il maestro Daisuke era un uomo tanto accorto da non farmi accorgere di nulla, ma c’erano numerosi membri del clan che non avevano la stessa qualità e spesso s’erano ritrovati a dire qualche parola di troppo facendomi intuire che la macchina del clan fosse in azione. Alcune voci mi riportarono anche il ritorno di Kenjiro Kawabata, anziano pretendente al titolo di capo-clan ch’era stato mandato in esilio dopo una dura sconfitta contro il mio maestro. Il suo ritorno nel Villaggio della Nuvola non poteva essere per un ritrovato amore familiare.
    Sapevo che dovevo agire, ma ero anche consapevole del fatto che potevo ben poco. Ricavare qualche parola dagli alti funzionari del clan era impossibile e rivolgermi al Villaggio era fuori questione: avrei solo complicato ancora di più le cose. Certamente avrei potuto aspettare che un pesce piccolo si fosse lasciato scappare qualcosa di concreto, ma era un’idea che si basava completamente sul caso; non potevo permettermi ciò.
    Era ovvio che dovessi trovare qualcuno con cui agire e quel qualcuno non doveva trovarsi all’interno del Villaggio: doveva essere un uomo estraneo al clan ch’era probabilmente esperto nel ricezione di informazioni. Ovviamente metterlo in questa storia e supplicarlo di reperire informazioni di un clan così importante all’interno del Paese del Fulmine lo avrebbe portato nei guai, ma la mia protezione avrebbe potuto mettere una pezza a colori al guaio. Ma a chi chiedere?
    Ero quasi tentato a chiedere a Takeshi del Paese delle Risaie, ma quell’ubriacone non era abbastanza affidabile per un’operazione così delicata; il secondo nome sul taccuino per l’Ameki che avevo incontrato nel Torneo nella Repubblica dei Samurai, ma nulla nelle sue abilità mi suggerivano potesse essermi d’aiuto. Ero lì che mi grattavo dal nervoso in cerca di una risposta quando le mie mani si poggiarono sul collo. Il collo. Portavo ancora i segni della ferita quasi mortale che m’aveva procurato Tetsuo Nara durante lo scontro finale del torneo. Quel nanetto malefico, con quegli occhi di ghiaccio, era stato rapido e senza alcuna pietà nel terminare l’incontro con quei suoi cani da strapazzo. All’improvviso l’illuminazione: lui era l’uomo giusto al caso mio. Egli non solo aveva la freddezza necessaria per un compito del genere, ma quei maledetti cani che utilizzava come armi avrebbero potuto essere in qualche modo d’aiuto per lo scopo che m’ero preposto. Rimaneva il dubbio sulla sua disponibilità, ma a questo avrei pensato dopo.
    In effetti, da quel momento lo shinobi della Foglia non s’era fatto più vedere. Il maestro Daisuke m’aveva confidato che neanche durante la premiazione era presente. Io ero sotto le cure dei ninja medici, quindi non avevo avuto modo di fermarlo. Quello strano ragazzino era sparito così come s’era presentato. Dovevo trovarlo.

    Una settimana più tardi. Villaggio della Foglia.

    Possedevo di quel ragazzo solo qualche informazione anagrafica: il suo Villaggio di provenienza - quello della Foglia - e il suo clan d’appartenenza. Tetsuo apparteneva al famigerato clan Nara, uno dei più nobili e importanti di tutto il Paese del Fuoco; quel clan era tanto rinomato da aver spesso ospitato delegazioni del clan Kawabata in visita alla Foglia. Mio padre mi raccontava molto che loro fossero degli esperti nella creazione di alcuni medicinali e che, oltre a questo, erano dei combattenti formidabili. Su quest’ultimo punto, non potevo che essere d’accordo e la mia sconfitta ne era la testimonianza più evidente.
    «Tatsuo, dici?»
    «Sì, Tetsuo Nara. Non conosco altre informazioni su di lui. Ha partecipato al Torneo dei Cinque Paesi giusto qualche mese fa. Forse quest’informazione potrebbe aiutarla».
    La ragazza dietro la scrivania sfogliava nervosamente un grande libro anagrafico. In mezzo a tutte quelle scartoffie, la sua figura esile sembrava affogare nella burocrazia della Foglia. M’ero recato agli uffici principali del Villaggio dopo aver setacciato, in lungo e in largo, il quartiere dei Nara. Nessuno riusciva a darmi informazioni su quel ragazzo. Avevo pensato che lui abitasse lontano dal suo clan o che condividesse con loro solo il cognome, ma neanche quella ragazza riusciva ad aiutarmi.
    «Che cosa strana,» osservai con una punta di nervosismo. Com’era possibile che un ragazzo che fino a pochi mesi prima aveva partecipato ad un torneo ufficiale delle Cinque grandi nazioni come rappresentante del proprio Villaggio, adesso fosse scomparso dagli schedari? Sembrava come se tutti, all’interno del Villaggio, avessero volontariamente cancellato il suo ricordo.
    «Non c’è altro ch’io possa fare per trovarlo? È davvero importante».
    «Sono spiacente, - la ragazza si sistemò i grandi occhiali sul naso - ma sembra che questo Tetsuo Nara non esista. Sicuramente c’è stato un errore di comprensione sul nome. Esiste però un Tatsuo Nara schedato ed ha più o meno l’età che lei mi ha indicato. Le scrivo l’indirizzo?»



     
    .
  8.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Wake up.

    Group
    GDR Staffer
    Posts
    22,897

    Status
    Anonymous


    lpmXoeC

    I



    RNen0bd
    «D’accordo, proviamo a ripercorrere quello che sappiamo ancora una volta».
    Intorno al tavolo la stanchezza ed il malumore erano palpabili. Accanto a lui, Goro si lasciò cadere contro lo schienale della sedia reclinabile, esalando un lungo sospiro mentre incrociava le mani dietro alla nuca. Chidori cambiò posizione con malcelato nervosismo, acciambellando una gamba sotto al sedere; appoggiò un gomito al bracciolo e serrò una mano a pugno, sollevandola all’altezza dello zigomo per sorreggere la testa ciondolante, i lunghissimi capelli che scivolavano a coprirle la spalla. Dalla parte opposta del tavolo di pietra levigata, ad una prima occhiata Mana restò impassibile, ma Yusuke notò dei piccoli spasmi muscolari intorno alla bocca, segno che la ragazza stava cercando di trattenere uno sbadiglio. Quel giorno non indossava la sua armatura di pezzi spaiati, ma un corto kimono color pistacchio sorretto da una fascia di stoffa nera, ed un paio di lunghi pantaloni dello stesso colore. Osservarla in abiti civili gli faceva uno strano effetto, forse perché era abituato a vederla come un soldato coperto di placche metalliche, o forse perché la stoffa sottile di quegli indumenti ne metteva in risalto le forme generose, e ciò lo metteva in un qualche modo a disagio senza che riuscisse a spiegarsene del tutto il perché.
    Dal canto suo, l’Uchiha se ne stava con entrambi i gomiti appoggiati al tavolo e la fronte abbandonata contro le mani giunte. Aveva le maniche della camicia arrotolate a metà avambraccio e si era tolto la giacca, buttandola alla bell’e meglio sullo schienale della sedia. La cravatta aveva cominciato a fargli caldo mezz’ora prima, e ne aveva allentato il nodo senza badare a troppe cerimonie. Sembravano passate ore da quando avevano cominciato a fare il punto di ciò che era avvenuto durante il Torneo. E puntualmente giungevano ad un punto morto, che li riportava a quello di partenza in un lungo, inutile circolo deduttivo.
    «Kagachi, questa volta comincia tu», ordinò Tora, alla sua sinistra.
    "Grandioso", borbottò lui in silenzio, raddrizzando la schiena.
    Prima di cominciare a parlare, lanciò a Tora un’occhiata in tralice. Era raro che si mostrasse senza i suoi occhialetti scuri addosso, ed ancora di più lo era vederlo accusare segni di cedimento mentre era in servizio. Cioè sempre. Non credeva di aver mai visto quell’uomo riposarsi, o pensare a qualcosa che non fosse legato alla Radice.
    «Allora», cominciò, incrociando le braccia al petto. «Al Torneo si presenta un giovane membro del Clan Nara, tale Tetsuo. Le sue prestazioni attirano la nostra attenzione e, dopo un controllo superficiale, ci accorgiamo che qualcosa non torna, perché nei nostri archivi non risulta alcuna traccia della sua esistenza. Il che appare strano, vista la precisione con cui di solito raccogliamo informazioni di questo tipo». Cercò l’approvazione di Tora con lo sguardo, anche se sul quel punto c’erano già passati almeno due volte, e l’altro annuì. «Decidiamo allora di controllarlo più da vicino. Sono testimone di un incontro sospetto con un Ninja della Nebbia, che gli consegna un rotolo di pergamena prima di un incontro. Io e Mana proviamo a seguire la guardia ma, quando la raggiungiamo, è già morta».
    «A quel punto frugo nella mente del cadavere», intervenne Mana, scostandosi una ciocca di capelli castani dietro l’orecchio, «e scopro che è stato pagato da Tetsuo per rubare quel rotolo dagli archivi del suo Villaggio. Non ha idea di che cosa abbia trafugato».
    «Ma adesso sappiamo che il presunto Nara sta davvero architettando qualcosa di losco», le fece eco Yusuke, riprendendo le redini del discorso. «Perciò gli tendiamo un agguato nel suo spogliatoio. Quando riesco a controllarlo con lo Sharingan, scopro ch—»
    «Scusatemi un momento. Aspettate», li interruppe Tora, sollevando una mano.
    Inclinò la testa di lato, come se stesse ascoltando qualcosa proveniente da molto lontano e faticasse ad udirla bene, e portò l’altra mano alla tempia. Gli altri intorno al tavolo tacquero, scambiandosi occhiate eloquenti. Tutti sapevano che Tora non serrava mai il suo occhio interiore e lasciava aperto il canale di comunicazione telepatica, con cui restava in contatto con le innumerevoli spie al suo servizio, anche quando si trovava all’interno del Villaggio stesso. Che si fosse preso la briga di interrompere la riunione per dedicare la sua piena attenzione a chiunque ci fosse dall’altra parte, non era un bel segnale.
    «Che mi venga un colpo».
    Chidori si agitò sulla sedia. «Che succede?»
    «…Pare che ci sia qualcuno, qui nel Villaggio, che sta andando in giro a fare domande sul nostro amico Tetsuo Nara. Proprio ora, mentre parliamo».
    «Come lo sappiamo…?»
    Prima di rispondere, Tora la squadrò per un momento. Come se stesse soppesando quanto rivelare. «Ho messo qualcuno a tenere d’occhio il quartiere dei Nara, in caso decidessero di… farsi giustizia da soli. Non erano molto contenti che qualcuno abbia impersonato uno dei loro, per di più qualcuno a conoscenza delle loro Tecniche segrete. E ora si presenta un giovane a ficcare il naso proprio sull’uscio di casa loro».
    Yusuke si lasciò sfuggire un basso fischio. Quando i Clan cominciavano ad operare per conto proprio, infischiandosene della catena di comando del Villaggio, non finiva mai per il verso giusto. Gli Uchiha questo lo sapevano bene. E se i Nara erano davvero così nervosi, forse era il caso che loro della Radice si muovessero a scoprire tutti i retroscena di quella faccenda, prima che gli animi si scaldassero ulteriormente.
    «Oh beh, questa storia non fa che migliorare», bofonchiò Goro, tastandosi le tasche alla ricerca di qualcosa.
    Ne estrasse un pacchetto di sigarette e se ne accese una, nonostante si trovassero al chiuso. Mana gli lanciò un’occhiataccia, ma non disse nulla.
    «Meglio intercettare questo sgradito ospite prima che lo faccia qualcun altro, allora», sentenziò Tora, facendo correre lo sguardo su tutti loro alla ricerca di un volontario.
    «Vado io», si fece avanti Yusuke, alzandosi in piedi.
    Era l’occasione perfetta per prendere un po’ d’aria e saltare a piè pari ciò che restava di quell’interminabile riunione. Forse anche per scoprire qualcosa di più sul defunto Satoru e sull’organizzazione di cui faceva parte. Era difficile chiedere di meglio, per un uomo d’azione come lui.
    «Se necessario, posso provare a soggiogarlo per interrogarlo a fondo».
    Tora annuì. «Sentiamo prima cos’ha da dire il ragazzo. Resta in contatto radio».
    Sorridendo, Yusuke afferrò la giacca dalla sedia e la indossò con un unico movimento fluido. Tutto ad un tratto si sentiva di nuovo pieno di energie.
    «Dove lo trovo, questo ficcanaso?»


     
    .
  9.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline


    La ricerca di Tetsuo Nara



    Il Villaggio della Foglia, capitolo secondo.



    Quartiere dei Nara, sezione 4.

    jpg
    Qualcosa era cambiato all’interno della zona residenziale del Clan Nara. Quando vi ero giunto la prima volta, interrogando qui e lì le persone che incontravo circa la conoscenza di Tetsuo Nara, non avevo incontrato alcun tipo di problema; chiunque avevo avuto il piacere di interrogare s’era sempre dimostrato cordiale e disponibile al dialogo. Chiunque. Erano passate all’incirca quattro ore da quel primo incontro e la situazione sembrava essersi rovesciata: sentivo la spiacevole sensazione di essere tenuto sott'occhio da qualcuno. Agli angoli delle vie, diversi uomini fingevano altro e mi tenevano sott'occhio: essermene accorto subito voleva significare ch’essi non facevano neanche troppa attenzione a non farsi scoprire. Non capivo. Andare agli uffici anagrafici del Villaggio era stata una sorta di offesa nei loro confronti? O a quelle persone dava fastidio io stessi cercando qualcuno di loro. Se uno degli interessati si fosse fatto avanti, avrei spiegato volentieri che le mie attenzioni verso Tetsuo erano legate ad un semplice incontro con un vecchio rivale.
    Arrivato alla destinazione segnatami dalla ragazza agli uffici, mi fermai. Bussai forte all’indirizzo, attirando l’attenzione dei vicini. Chiunque degli uomini che mi avevano spiato nell’arco di cento metri, indirizzò il proprio sguardo verso la mia direzione. L’unica mia speranza, per farmi uscire da quella situazione evitando spiacevoli scontri, era che mi aprisse quel glaciale ometto dai capelli biondo paglia. Rimasi deluso. Ad aprire la porta, a mezzo raggio, fu un uomo dalla carnagione pallida, emaciato; dal modo in cui si poggiava al pomello della porta, intuivo che quell’uomo avesse una grave difficoltà a tenersi in piedi. Mi rivolse uno sguardo interrogativo, ma non disse nulla.
    «Chiedo scusa se la disturbo - esordii io, alzando la voce in modo che chiunque potesse sentirmi. - Starei cercando un mio amico, Tetsuo o Tatsuo Nara. L’ho incontrato qualche tempo fa alla Repubblica dei Samurai, ma non l’ho più incontrato. Al Villaggio mi hanno detto di poterlo incontrare qui».
    Alzare la voce per spiegare la situazione all’uomo sull’uscio era il modo migliore per spiegare agli interessati che venivo in piace e non volevo ficcare il naso nei loro affari. Anche io provenivo da un Clan rinomato che faceva della riservatezza il suo scudo, ma a nessuno sarebbe venuto in mente di inseguire un ragazzo per domande del genere. C’era qualcosa che mi sfuggiva sulla figura di Tetsuo?
    «Sono io Tatsuo Nara», disse l’uomo aprendo la porta. Lo scheletro ricurvo su se stesso che mi si presentava di fronte non era certo il giovane che m’aveva affrontate fino a qualche tempo fa. Lo squadrai per un po’ nel tentativo di cogliere nei suoi lineamenti qualche somiglianza con il Tetsuo che avevo incontrato al Torneo, magari scoprendone qualche parentela, ma nulla. Sbuffai rassegnato, conscio che avevo fatto un buco nell’acqua, ma l’uomo ci tenne a dire la sua: «e comunque, non sono mai uscito dal Villaggio». E mi chiuse la porta in faccia. Qualcuno tra i passanti rise, mentre altri continuarono a fissarmi torvi. Io feci spallucce, girandomi verso gli spettatori di questo teatrino. Non avevo da fare altro che arrendermi a fare marcia indietro, prima di attirare ancora di più le antipatie dei Nara. Camminai a capo basso, evitando sguardi. Dopo questa delusione, l’unica cosa che potevo fare era mangiarmi le mani per il tempo perso. Cercare un uomo all’interno di un grande Villaggio come quello della Foglia era complicato ed io non avevo tutto il tempo del mondo a disposizione. Se avessi avuto più tempo, e avessi la copertura legale del Villaggio, avrei cercato di scovare il mio obiettivo attraverso l’ausilio delle arti magiche, ma in quel contesto avrei solo rischiato di causare danni e incidenti diplomatici. Già avrei dovuto dar conto, probabilmente, ai membri del mio clan della mia sparizione degli ultimi giorni.
    Arrivai ad una prateria più a nord, ad una decina di minuti a piedi dal quartiere residenziale dei Nara. Mi ci trovai lì per caso, preso com’ero a fuggire da quegli occhi giudiziosi, ma mi ci ero fermato ben volentieri visto l’amore che provavo per il verde di Konoha. Al Villaggio della Nuvola erano rari quegli spazi così pieni di colore, dove i bambini possono tranquillamente giocare al sole e i giovani come me possono stare tranquilli all’ombra di un albero. Era la prima volta dall’inizio del viaggio in cui mi fermavo a guardare il cielo, così limpido e sgombro da nuvoloni. La temperatura sarebbe stata l’ideale per una sorta di pic-nic. Se avessi avuto la compagnia adatta, avrei preso un telo e mi ci sarei sdraiato sopra. Da solo, mi accontentavo di dare pace ai miei pensieri per più di cinque minuti e riposare sotto un albero. Tetsuo poteva aspettare.


     
    .
  10.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar

    Wake up.

    Group
    GDR Staffer
    Posts
    22,897

    Status
    Anonymous


    lpmXoeC

    II



    RNen0bd
    Raggiunse l’agente di Tora al limitare del quartiere residenziale del Clan Nara, sopra al tetto di un edificio che fungeva da magazzino per un’azienda del luogo, specializzata nel produrre cibi in scatola e razioni da viaggio per gli Shinobi. Appoggiato sul retro dell’insegna metallica che raffigurava il logo della compagnia – l’immagine stilizzata di una polpetta di riso trafitta da un kunai – Yusuke si stupì di trovare un viso conosciuto, per così dire. Quando l’altro lo vide Dislocarsi al centro del tetto, si scostò dalla targa metallica e gli venne incontro, spostandosi alla luce del sole. Gli bastò un’occhiata per riconoscere la zazzera di capelli scuri e spettinati, la figura magra e allungata e la maschera dai tratti felini, con due lunghi denti a sciabola che si protendevano dalla linea della bocca intagliata sul legno. Sulla spalla lasciata scoperta dalla divisa campeggiava il tatuaggio a spirale da ANBU della Foglia, che tutti loro ricevevano all’ingresso nelle Squadre Speciali. Si scambiarono una stretta, afferrandosi vicendevolmente l’avambraccio proteso.
    «Minoru», lo salutò l’Uchiha, sorridendo. «Chi hai fatto incazzare questa volta, per finire a fare il galoppino di Tora?»
    «Ehi, non è colpa mia se nella vostra squadra ci sono solo palloni gonfiati. A quanto pare vi serve qualcuno da fuori, se volete un lavoro fatto bene».
    Ridacchiando, i due si strinsero in un abbraccio cameratesco. C’era stato un tempo in cui lui e Minoru avevano lavorato insieme nelle squadre speciali, in quel periodo di tempo in cui Yusuke aveva dovuto “prepararsi” all’ingresso nella Radice. Nei mesi successivi alla morte di Nobuo era costantemente arrabbiato, con sé stesso tanto quanto con il mondo intero, e perciò immaginava di non essere stato tra le compagnie migliori con cui passare il proprio tempo. Ciò nonostante, Minoru si era rivelato una persona molto paziente, rispettosa dei suoi silenzi, mai fuori luogo quando contava davvero. E con un’attitudine a sfidare l’autorità che mal si sposava con la carriera militare, eppure era un Ninja così competente che riusciva sempre a passarla liscia, in un modo o nell’altro. Forse, se fossero rimasti insieme più a lungo, sarebbero anche potuti diventare amici. Il pensiero delle diverse pieghe che avrebbe potuto prendere la sua vita lo rattristò, ma fu soltanto per un momento; lasciò che quell’ombra scivolasse via dal suo viso, così com’era arrivata, in un soffio di vento.
    Minoru lo squadrò dall’alto in basso, con una luce divertita negli occhi.
    «Per la Volontà del Fuoco, ma che ti sei messo addosso?»
    Raddrizzando la schiena, Yusuke si sistemò il nodo della cravatta con le mani inguantate di nero. «È un abito, Minoru. Per mia fortuna, a differenza tua non sono obbligato a passare tutte le mie giornate con indosso quella puzzolente divisa da ANBU».
    «Quasi quasi ti preferivo quando te ne andavi in giro conciato come un faro da segnalazione, tutto vestito di rosso».
    «Senti, perché non mi mostri quello per cui sono venuto?» lo imbeccò Yusuke, spazientito.
    «D’accordo, d’accordo», fece l’altro, sghignazzando. «Seguimi».
    Lo condusse all’ombra dell’insegna di metallo e si inginocchiò accanto ad un rotolo di pergamena vuoto che aveva disteso a terra. Compose un singolo Sigillo ad una mano e rimase in attesa, lo sguardo rivolto verso il foglio di carta. L’Uchiha incrociò le braccia al petto e volse invece l’attenzione altrove, alla ricerca di qualcosa sul tetto intorno a loro. Aveva già assistito, in passato, all’utilizzo di quella Tecnica. Restò a squadrare l’orizzonte per un paio di minuti, un pensiero fastidioso che continuava a ronzargli per la testa. Non era da Tora servirsi di qualcuno esterno alla Radice per questioni importanti, se proprio non ne era costretto. Avrebbe potuto mandare uno qualunque di loro a sorvegliare i Nara, se proprio temeva un’interferenza come quella che si era verificata, invece di affidarsi a Minoru. Che fosse il suo modo per testare l’affidabilità di un potenziale nuovo membro della Radice…?
    Si riscosse d’un colpo, quando dal cornicione dell’edificio vide spuntare una piccola figura solitaria: un topolino fatto d’inchiostro, dotato di vita propria, che zampettava sul cemento guizzando qua e là proprio come se fosse un animale vero. Nel giro di pochi secondi ne spuntò un altro, e poi un altro ancora, finché il tetto non fu invaso da un’orda di topi neri e silenziosi, che oscurarono il cemento del piatto terrazzo. Tutte le creature corsero loro incontro, come per travolgerle nella loro folle corsa, ma si riversarono invece all’interno della pergamena, trasformandosi in disegni ordinatamente posti l’uno accanto all’altro sulla carta che li aveva accolti. Minori chiuse gli occhi. Quando li riaprì, puntò un dito in direzione di una macchia erbosa all’orizzonte, oltre i tetti.
    «Il Ninja che cerchi è ancora laggiù. Sta… riposando sotto un albero, pare».
    Yusuke lanciò una lunga occhiata nella direzione indicata dal compagno.
    «Strano. Non è esattamente quello che mi aspettavo. Che tipo è? L’hai visto?»
    «È vestito come un Samurai. Credo venga dalla Repubblica, o dal Paese del Fulmine», rispose Minoru, richiudendo la pergamena con un laccio di corda blu.
    Si rialzò in piedi e sollevò una mano sopra gli occhi a mo’ di visiera, per ripararsi dal sole impietoso di quel mattino.
    «Non ti chiederò perché quel ragazzo è così importante».
    «Bene», ribatté Yusuke, avvicinandosi al cornicione del tetto. «Perché in quel caso dovrei mentirti. Anche se non credo noteresti la differenza: non li fanno più molto intelligenti, gli ANBU di questo Villaggio».
    Minoru sollevò una mano in un gesto osceno. «Spero che quel tipo ti infili la spada su per il culo, Kagachi. La tua».
    L’Uchiha piegò le labbra in un sorriso ed impostò una mano nel Sigillo della Tigre. Un soffio di vento gli fece frusciare gli orecchini di carta ai lobi delle orecchie, portando con sé una manciata di foglie che gli rotearono intorno.
    «Un’ultima cosa. Se per caso un giorno o l’altro dovessero chiederti di unirti alla Radice… rifiuta. Stanne alla larga più che puoi».
    Shunshin no Jutsu - Tecnica del Movimento Fulmineo
    ulWKl4c
    Villaggio: Tutti
    Livello: D
    Tipo: Ninjutsu
    Questo Jutsu è un movimento ad altissima velocità, che consente all'utilizzatore di muoversi a brevi e lunghe distanze, per un massimo di cento metri. Per un osservatore sembrerà che l'utilizzatore si sia teletrasportato ma in realtà non è così. Una caratteristica visiva dell'utilizzo di questo Jutsu è uno sbuffo di fumo, o una copertura di un altro elemento, che apparirà attorno all'utilizzatore mascherandolo al contempo. Infatti, i vari Villaggi Ninja e i loro shinobi posseggono diverse varianti della Shunshin no Jutsu, che sfruttano uno o più elementi a parte il movimento stesso per distrarre l'avversario, come ad esempio foglie, sabbia, terriccio o acqua.
    Non utilizzabile per azioni offensive/difensive/evasive. Utilizzabile solo a livello narrativo.
    Consumo: N/A

    * * *


    Il peso familiare del fodero contro il corpo gli dava sicurezza, anche ora che aveva preso a portarlo dietro alla schiena invece che al fianco, come aveva fatto per tanti anni. Diede una stretta alla corda rossa che portava a tracolla, stringendo il nodo perché il fodero restasse più aderente al corpo e non ballasse avanti e indietro ad ogni passo, e si avvicinò allo Shinobi assopito all’ombra di uno degli alberi che spuntavano in mezzo alla radura. Yusuke inclinò la testa di lato, lanciandogli una lunga occhiata indagatoria. Portava con sé una spada di ottima fattura, di quello poteva accorgersene con un solo sguardo; non era la prima volta che incontrava Shinobi provenienti dal nord con un’affinità al combattimento con la lama, e anche quel viso per qualche motivo non gli era del tutto estraneo, anche se non riusciva a ricordarsi cosa lo rendesse in un certo qual modo familiare. Se lo avesse già visto, o se era tutto frutto della sua immaginazione.
    «Oi», lo apostrofò, dandogli dei calcetti con la punta del sandalo. «Dico a te, Shinobi. Sveglia».



     
    .
  11.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline

    La ricerca di Tetsuo Nara



    Il Villaggio della Foglia, capitolo terzo.



    jpg
    Quand’ero uno shinobi alle prime armi, ogni momento libero era dedicato all’ozio. Dormivo, anche molto. Dopo la mia prima uccisione, smisi di dormire. Quella pratica che m’era così amica, era diventata una condanna perché nel momento in cui chiudevo gli occhi, mi venivano a trovare le vittime della mia spada. I miei sogni seguivano un canovaccio che si ripeteva uguale senza alcun cambio di battuta: io, intento a scalare una montagna, ero tirato per i piedi da chiunque avessi ucciso; in basso, sul fondo, con ampio gesto delle mani era pronto ad accogliermi la mia prima vittima, un bambino di dieci anni. Da qualche mese quella figura era sostituita dal volto di mio padre, il quale mi invitava a lasciarmi andare, a rinunciare a quella vita di violenza. Anche tutta questa storia dello spiare i miei stessi familiari, in quel sogno, mi sembrava una pazzia totale. Quel Tetsuo Nara era stato un ramo a cui volevo aggrapparmi per disperazione, quasi a non voler ammettere che quella era la mia ennesima trama che costruivo ai danni degli altri. Quel Tetsuo, quel ragazzo da quello sguardo così tagliente, meritava sul serio di farsi carico dei miei fantasmi? A quale titolo io avrei mai potuto avvicinarmi a lui e chiedergli un favore del genere? Ringrazia i numi per averlo fatto fuggire dalle mie crudeli grinfie. Era una guerra, quella, che avrei dovuto combattere da solo.

    * * *
    Avevo fatto di nuovo quel sogno. Ero tentato di ritornare a dormire nella speranza che il verde del Villaggio della Foglia m’avrebbe offerto un po’ di pace, ma non ci riuscii. Tenni gli occhi chiuso, rilassai i muscoli e mi feci viziare dal vento. Solo la fastidiosa voce di un uomo riuscì a rovinare quella quiete; dico “voce fastidiosa” non perché essa risultasse gracchiante o acuta, ma perché in essa c’era uno sforzo di voler addolcire il tono della propria domanda. Inoltre, i calcetti che continuava a darmi all’altezza dell’anca, dimostravano ch’io non stessi inventando nulla.
    «Oi», continuava a dire mentre mi colpiva, «Dico a te, Shinobi. Sveglia».
    Appoggiai una mano sul volto, per contenere il nervosismo. Lo guardai tra una fessura della mia mano, con una certa irritazione. Una figura alta e slanciata si parava dinanzi a me; i suoi vestiti erano molto eleganti e di alta fattura. I colori facevano pena, il che mi indirizzava all’idea ch’egli non facesse lo stilista per lavoro. Il volto aveva in sé una certa eleganza, in netto contrasto con la criniera che gli cadeva dietro le spalle. Una lunga spada legato alla schiena mi suggeriva, invece, ch’egli fosse uno shinobi come me.
    Col fodero di Zeus, colpì il terreno vicino ai suoi sandali. Non volevo colpirlo né fargli del male, solo fermarlo. Ci misi un po’ a cercare di capire cosa fare. La prima idea che mi balenò per la testa era ch’egli fosse uno di quel gruppetto dei Nara che m’era stato per un po’ alle calcagna. Ma perché avvicinarmisi ora, lontano dai compagni? Scartai questa ipotesi. Una seconda era legato alla sua spada. Che fosse uno di quei fanatici che hanno comprato una spada e quindi vanno a sfidare qualunque altro spadaccino per dimostrare il proprio valore? No. Il suo sguardo mi suggeriva ch’egli fosse qualcosa di più.
    Mi alzai, arrivandogli a naso. Non volevo provocarlo, ma non potevo rimanere a terra a farmi pestare da uno screanzato del genere.
    «E tu che cosa vorresti?».
    Quegli occhi mi irritavano. Anche quel suo viso, così puro, mi istigava a colpirlo. Strinsi a me il fodero della spada. I miei muscoli, d’istinto, si contrassero in uno spasmo. Non mi sentivo a mio agio di fianco quell’essere.
    «Mi hai disturbato mentre riposavo. Potresti lasciarmi in pace? Non cerco rogne».

     
    .
  12.     +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline


    Saga della ricerca di Hichemon



    La risata di Kenjiro.



    jpg
    La ricerca di Tetsuo era stata un buco nell’acqua. Nessuna traccia della sua esistenza, come se la sua vita fosse stata frutto dell’immaginazione di Hanzo. Quell’uomo dagli occhi rossi aveva annientato ogni speranza riposta nell’animo dello spadaccino di Kumo. La missione con Takeshi Yamashita gli aveva reso chiaro che anche negli shinobi più capaci era difficile trovare un uomo a cui affidarsi. Il peso della scomparsa del padre, dunque, doveva ricadere tutta su Hanzo. Ma era così difficile, per un ragazzino, farsi carico delle sofferenze del genitore; e la cosa era tanto più difficile se tutti, all’interno del clan, sembrassero volergli nascondere qualcosa. Cercare aiuto esterno era stata la cosa più naturale da fare, ma s’era ritrovato con un pugno di mosche in mano.
    L’unica cosa che gli rimaneva era una bottiglia di sakè, ricordo dell’ultima missione fuori dai confini del Paese. A far omaggio al Samurai di quel dono era stato Takeshi - quello stesso Takeshi inaffidabile di cui si è parlato -, il quale aveva pensato bene di far omaggio ad Hanzo di quella bottiglia di alcool con la scusa che il Samurai gli sembrava troppo rigiro: «magari così ti sciogli un poco», aveva detto salutandolo. Hanzo aveva notato che quel ragazzo aveva qualcosa che non andasse e che si rifugiasse nell'alcol non solo per il piacere di bere, ma anche per quella sensazione di annebbiamento che lo sconnetteva dal mondo reale. Proprio quello di cui aveva bisogno lui.
    «Magari così mi sciolgo un poco», pronunciò Hanzo, stappando la bottiglia. Chiuse gli occhi e portò la bottiglia alle labbra, ingurgitando in un sol sorso una grande quantità di alcool. Sputò parte dell'alcolico sul manto erboso su cui era accasciato: egli non sapeva che il sakè non si beveva in quel modo. Hanzo trovò però quel sapore abbastanza confortante e il bruciore che gli causava allo stomaco lo teneva al caldo.
    Il vento primaverile conservava ancora il freddo dell’inverno. D’altronde, il Paese del Fulmine non era conosciuto per il clima temperato ed erano rari i momenti dell’anno in cui si poteva affermare che ci fosse l’estate. Nel giro di quindici minuti, finì la bottiglia e Hanzo venne colto da un grande dolore di stomaco. Purtroppo l’idea di scolarsi una bottiglia intera non aveva creato alcun annebbiamento dei suoi sensi, ma aveva solo portato a dei dolori allucinanti.
    «Mi sembra che quel saké non sia di buona qualità, zehahaha»
    Hanzo era talmente impegnato a crogiolarsi nel dolore che non s’era accorto del nuovo avvinato. Si girò di soprassalto, mettendosi in piedi e barcollando fino ad inciampare e cadere di culo. Si accorse in quel momento che l’alcool aveva avuto l’effetto desiderato: la testa cominciò a girargli e per fermarla gli venne naturale tenerla stretta tra le mani. Solo dopo qualche secondo si accorse che quella particolare risata non s’era fermata. Alzò lo sguardo e notò il torso nudo di un uomo dalla pelle bruciata; era talmente magro, l’uomo, da rendere visibile per bene tutta le costole, nonostante questo un po’ di grasso gli si accumulava attorno alla vita. Hanzo alzò ancora di più lo sguardo e notò il volto rinsecchito di Kenjiro Kawabata. Di quell’uomo non sapeva nulla, se non qualche pettegolezzo di quartiere: chi lo aveva conosciuto davvero, ai tempi in cui lui e il fratello Daisuke erano giovani, restava in silenzio e preferivano non parlare. Hanzo aveva pensavo che quel silenzio corrispondesse al senso di colpa che gli anziani nutrivano per un passato in cui il clan agiva in maniera violenta, con leggi interne assurde e fuori dal tempo.
    «Signor Kenjiro, mi perdono»
    «ZEHAHAHAHA», rispose ridendo l’uomo dallo sguardo guercio. Con un rapido movimenti di mani mi sfilò la bottiglia sotto il mio naso e bevve le ultime gocce rimaste. Dopo aver fatto i gargarismi con quella bevanda, si lasciò andare ad un sonoro rutto. «Potevi scegliere dell’alcool migliore se vuoi ubriacarti. Di questo sì che devi scusarti».
    Hanzo non trovò neanche la forza di rispondere, affondando la propria testa tra le gamba. Kenjiro si sedette affianco a lui.
    «Pensi che l’alcool risolva qualche problema?»
    «No, volevo solo qualcosa di forte»
    «Capisco. Allora motivo in più per comprare qualcosa di decente»
    «Era un regalo di un… conoscente. Un mio collega»
    Qualche secondo di silenzio, poi Kenjiro sollevò il capo del giovane uomo per guardarlo negli occhi.
    «Ho saputo dei tuoi movimenti nelle ultime settimane. Ed anche quello stronzo di Daisuke ne è a conoscenza. Non mi meraviglierei se fosse accampato dietro un albero pronto a sgridarti»
    Hanzo strinse i pugno sul pantalone e pianse, lentamente, singhiozzando. «Anche lei è qui per farlo, no?»
    «ZEHAHAHAHA, ovviamente no. Sono felice che questo sia il compito di quel culo rotto»
    Era la prima volta che Hanzo sentiva qualcuno mancare di rispetto al maestro Daisuke. E questi avrebbe potuto pensare che quelle parole fossero frutto di qualche rancore che Kenjiro provasse nei confronti del fratello, eppure sembrava addirittura che ci fosse affetto nelle sue parole.
    «Però, se posso dirti, dovresti fidarti di mio fratello. Non cercare alleati all’esterno quando c’è una famiglia che ti ama qui». Poi si fermò, alzando tutto d’un tratto e saltellando «però, che frase ad effetto. Sarei stato un vero capo clan, non è vero DAISUKE?»
     
    .
  13.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline


    Saga della ricerca di Hichemon



    Una parola amica.



    jpg
    Il Vecchio era apparso come per magia alle spalle dei due dialoganti. L'abilità d'inseguitore del maestro Daisuke era incredibile, nonostante il passare del tempo. Hanzo non s'era accorto del suo arrivo; solo Kenjiro aveva percepito i suoi passi. La vergogna per le parole pronunciare e per le azioni compiute riempì Hanzo di sconforto: si coprì gli occhi con le mani e pianse a lungo, con il complice silenzio dei presenti. Anche Kenjiro sembrò diventare serio, per un momento; Daisuke, invece, restava fermo immobile, poggiato sul suo bastone, a pochi passi dall'allievo: non disse nulla né mutò espressione del volto. Per un attimo sembrò allungare la mano come per accarezzare il corpo del ragazzo, ma poi si fermò. Anche il grande corpo di Daisuke venne scosso da un tremito, segno che le emozioni non avevano abbandonato il politico accorto e spietato ch'era diventato. Davanti a lui aveva il fallimento delle sue azioni: il benessere del clan era sempre stata l'unica ragione che lo aveva spinto a tutto, anche a sfidare il suo stesso fratello. E adesso? Adesso che tutto sembrava scivolare tra le mani, quali scuse avrebbe accampato d'ora in avanti?
    Scelse alfine di sedersi alla sinistra dell'allievo, il quale si frapponeva fra lui e il fratello. Kenjiro offrì l'alcool al fratello, strizzandogli l'occhio, ma questi lo fulminò con lo sguardo; dopodiché Daisuke pose la sua grande mano su quelle di Hanzo.
    «Non c'è nulla di vergognarsi nel mostrare le lacrime», disse alfine forzando il giovane Samurai a guardarlo. Gli occhi lucidi di Hanzo videro per la prima volta il maestro come invecchiato: i suoi lineamenti nulla mostravano i segni del guerriero duro che ogni giorno si faceva strada tra i banchi di potere di Kumo; Hanzo aveva davanti un povero vecchio dal volto sfigurato che, con gli occhi pieno di lacrime, chiedeva perdono. Anche Kenjiro sembrò scosso alla visto di quelle lacrime, ma si fermò dal dire qualcosa: abbassò il capo e cominciò a pensare.
    «Chiedo scusa, maestro», fu l'unica cosa che seppe dire. Dalla sua, Hanzo stava sfogando tanta rabbia repressa ch'era culminata in ricerche impossibili e piani strampalati a cui, in cuor suo, non sapeva neanche in cosa si sarebbero potuti concretizzare se realizzati; Daisuke invece sapeva che l'aveva trattato da bambino, estraniandolo dai fatti del clan perché lo considerava ancora debole emotivamente e certamente non pronto per la vita politica della città. Per la politica, ovviamente aveva da aspettare (e Hanzo neanche aveva mai mostrato interesse in materia), ma allo stesso tempo il giovane Samurai aveva dimostrato di meritare la sua fiducia: nascondergli qualcosa sarebbe stato uguale a tradirlo.
    «Ci stiamo muovendo», sussurrò Daisuke. «Ci stiamo preparando a qualsiasi evenienza. Ho incontrato tuo padre Hichemon, al torneo, e ci ha parlato di nemici. Tanti nemici. Così tanto che è dovuto fuggire per evitare che il clan venisse travolto da loro. Non conosco altro, non avemmo tempo. Anche il consiglio dei Kawabata sa solo questo. In queste notti sono arrivati segnali di adesione a qualsiasi ordine darò. Io non so ancora come agire: da una parte il Villaggio ci tiene sott'occhio e non ho capito se le alte cariche del Paese vorranno attuare qualche azione nei nostri confronti: in tal caso dovremmo essere pronti a difenderci, foss'anche con l'uso della Spada; dall'altra parte, abbiamo da indagare e da difenderci da aiuti esterni: tuo padre ci ha segnato la strada! Il tempo stringe e non abbiamo misure. Di tuo padre non abbiamo notizie e fidarci è già un tradimento nei confronti del Villaggio. Capisci adesso perché abbiamo dovuto tenerti all'oscuro del Consiglio? Anche mio fratello Kenjiro è d'accordo. Ma d'ora in avanti si procede come un sol uomo. Spie sono già in azione, ma attendo risposte. Per il momento, dobbiamo fare buon viso a cattivo gioco e dimostrare al Villaggio e al Paese che non siamo una minaccia come temono; dall'altra parte, dobbiamo avere coscienza che non possiamo pensare che il Raikage ci darà il via libera per le nostri azioni militari. Ma noi abbiamo il dovere di passare all'azione. Io lavorerò nell'ombra e vi terrò aggiornato. Kenjiro ti starà affianco e ti addestrerà, assieme agli altri ragazzi della tua squadra. Adesso combatti, Hanzo figlio di Hichemon, figlio del clan Kawabata, fiore di Ciliegio. Combatti!»

     
    .
  14.     +1   +1   -1
     
    .
    Avatar


    Group
    Fan
    Posts
    391

    Status
    Offline

    Saga della ricerca di Hichemon



    Notizie dal fronte.



    jpg
    Cupe erano le notizie che giungevano da ovest; ma di egual tinta le voci che circolavano in casa: i Signori del Paese avevano stretto i controlli sul clan Kawabata, proibendo di andare fuori dal Villaggio della Nuvola. Delle volte l'ordine di confino era velato dietro compiti da svolgere all'interno delle mura cittadine, altre volte le scuse erano addirittura assenti. I vecchi si chiudevano a sé e affilavano le lame, i giovani scalpitavano. Mastro Daisuke e altri pochi rappresentanti del Consiglio lavoravano giorno e notte per sbloccare la situazione. Intanto i giorni passavano e coloro che s'erano recati fuori dal Villaggio per cercar notizie (missione imposta settimane prima della stretta istituzionale) tornavano con scarse notizie, e le poche erano dolorose: un uomo aveva usurpato il trono dei Sasagawa, lontani parenti dei Kawabata, e aveva cominciato a tessere una rete d'alleanze con i ronin più spregevoli all'interno e fuori dal territorio del Paese del Fulmine. I Sasagawa, negli anni, avevano ottenuto un piccolo feudo a nord del Paese e vivevano in totale libertà, prestando servizio al Daymio come guardie del corpo e solo in caso di stretta necessità. Era chiara la loro influenza politica, e la loro forza. Queste notizie sprofondarono Hanzo e gli altri membri del clan nello sconforto più totale. Nessuno bevve vino e nessuno cantò, in quei giorni, sotto l'albero del Ciliegio. Soprattutto, non quando uno dei Samurai di ritorno in missione, e spinto in confino all'interno del quartiere del clan, riportò le conclusioni della missione: «ci sono ancora molti uomini fidati all'interno del clan Sasagawa, e molti di loro fanno filtrare notizie. Non so per quanto tempo avremo questi canali perché i nuovi ordini sono di epurare le vecchie file di fedeli del Veglio. Per il momento, ci sono ancora uomini di fiducia».
    «E cosa dicono?», chiedevano i più. In molti s'erano riuniti nella casa di Hanzo: molti amici d'infanzia del giovane Samurai, ma anche molti familiari che avevano da pochi giorni ricominciato a filare la spada; anche Daisuke era presente, sulla poltrona d'onore, ma restava in silenzio con le mani tese sulle ginocchia.
    «Dicono che i nuovi Signori del feudo Sasagawa abbandonano i vecchi legami d'amicizia con i nobili clan della Spada. Hanno quasi del tutto tagliato i fili che li collegavano alla Repubblica e lo farebbero volentieri anche con il Paese del Fulmine, se non fosse che devono pur sempre conservare una facciata di legalità agli occhi della politica nazionale. Ufficialmente, il Vecchio è andato in pensione ritirandosi a est, ai confini del Paese, con pochi suoi fedeli: la realtà è che fuggito con chi si è sottratto alla lama dei traditori!»
    A queste ultime parole, il soggiorno si riempì di un vociare confuso di persone. Ognuno aveva legittimamente domande da porre ed era curioso di capirne di più. Cosa c'entravano i Sasagawa con i problemi dei Kawabata?
    «In teoria niente, ma tra le tante informazioni di cui sono entrato in possesso, ce n'era una che aveva da subito attirato la mia attenzione: tra i nuovi legami del Signore dei Sasagawa, si parlava di un gruppo di Uomini-senza-padrone delle Terre di Nessuno. Mercenari di prim'ordine, dicevano, e cercano il "tesoro del Ciliegio". A sentire queste parole, chiesto che cosa intendesse per "tesoro", ma lui non seppe rispondermi. L'unico collegamento logico possibile era Hachimon e la storia da lui celata».
    La casa si riempì di altre domande, ma le voci si spensero quando Daisuke si alzò e guardò grave il messo. «Hai fatto un ottimo lavoro, Hàma», disse. «E ancor di più ti ringrazio per non aver trascurato alcuna notizia nel resoconto ufficiale dato al Villaggio. In questo momento, l'unico modo per dimostrare le nostre buone intenzioni ai vertici di Kumo è essere trasparenti. Io mi occuperò di tenere queste notizie all'interno delle nostre mura. Non credo sia saggio, adesso, informare il Daymo delle nostre notizie. Notizie, tra l'altro, ancora da verificare
    «Ma una cosa, amici miei, possiamo farla: plachiamo la nostra ira nei confronti del Villaggio. Ricordiamoci che il Ciliegio si nutre anche del suo amore per la Nuvola; e comprendiamo le azioni del Raikage e dei suoi uomini. Alla luce di questo rapporto, però, possiamo lavorare al fianco le istituzioni affinché ci permettano di indagare. Proporrò Hàma come caposquadra, e di seguito mio fratello Kenjiro, il maestro di Spada Iruka figlio di Sasuke. Credo il Raikage vorrà aggiungere un suo uomo di fiducia e non mi opporrò. A lavoro»
     
    .
13 replies since 2/12/2019, 14:11   1006 views
  Share  
.
Top