La Terra dei Demoni

V-VI°-VII° Evento del GDR di TAM

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    Un Nuovo Demone



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    Il cielo notturno era tinto di un'aura sinistra, mentre la Luna rossa, monito costante di quanto stava accadendo, scrutava la terra. La pioggia cadeva in un fluire incessante, scrosciando con un ritmo ossessivo che batteva sulle rovine di una città una volta fiorente.
    All'orizzonte, le sagome delle torri spezzate e degli edifici divelti si stagliavano contro il chiarore rosso sangue, una testimonianza mutevole della furia del Re dei Demoni che aveva lasciato dietro di sé solo desolazione e disperazione. All'esterno di un grande palazzo era continuata per giorni, senza tregua, una marcia di ombre che si dirigevano alla corte del loro unico e vero padrone, il Mouryou: dopo la disfatta dei Caduti della Luna nulla era più rimasto ad opporsi alla forza sua e dei suoi figli e, pian piano, altre pedine avevano raggiunto il padre e si erano unite ai pezzi della scacchiera; ogni figlio lui avesse mai generato, nei secoli, si stava risvegliando e presentando al suo cospetto per giurare eterna devozione. Ricordavano ancora tutti quale fosse il destino che spettava a chiunque avesse osato ostacolare, o anche solo contraddire, il Padre. Come indelebile prova di ciò, il sangue dei pochi, folli, che avevano avuto l'ardire di ribatterne la parola ora decorava i muri di quella fosca dimora.
    Lui però, dal canto suo, sembrava stizzito nel vedere il numero di "figli" che arrivavano, e ancora più stizzito delle loro misere capacità.
    "Io ho sprecato un pezzo della mia anima per voi..."
    Seduto su un trono di pietra grezza, il re dei Demoni stava studiando con rapidi sguardi disgustati una trentina di soggetti genuflessi e immobili davanti a lui.
    "Un po' di secoli senza di me e voi, inutile feccia, sperperate la forza vitale che vi è stata donata?"
    La sua voce risuonò come un tuono nella stanza spoglia, ma nessuno osò rispondere. In parte, in realtà, sapeva che era colpa sua: per evitare che i suoi figli più promettenti divenissero abbastanza forti da contrapporglisi, aveva provveduto nel tempo a sottoporli alle prove più dure e più crudeli. Il colpo di grazia, poi, era giunto con questi secoli di distanza in cui non avevano avuto possibilità di nutrirsi del suo potere.
    In un angolo della stanza, ammassati come si farebbe con il peggiore del bestiame, erano stati messi gli ultimi giunti al servizio del Re; uomini corrotti, mutati e orripilanti che avevano avuto la sfortuna di imbattersi in figli troppo deboli per risvegliarsi, ma non così tanto da non riuscire a contaminare altri esseri viventi. I primi che erano giunti sull'isola erano finiti direttamente nelle fauci del Mouryou, ma ben presto, sconsolato dalla realtà dei fatti, aveva accettato tra le sue fila anche quella carne da macello. In fondo, ogni combattente era una pedina utilizzabile nella sua nuova ascesa al potere.
    Ogni secondo passato ad osservarli faceva ribollire il potere che era in lui. Resto lì a macerare, fino a quando essere degno del nome di Figlio fece il suo ingresso nel salone.
    "Mio padrone, il dono che ti era stato promesso è finalmente arrivato."
    Kurayami si era inginocchiato e teneva la testa bassa. Il Mouryou nemmeno si degnò di rispondergli, poiché attendeva quel tempo da fin troppo tempo. Nei secoli in cui era stato assopito il mondo era cambiato. Quegli umani che si facevano chiamare Ninja erano potenti, molto più potenti di quanto non fossero stati ai suoi tempi quei pochi individui in grado di controllare il Chakra. Al contrario, il potere dei suoi figli era sbiadito, ed anche la sua stessa forza non era che il riflesso di ciò che era un tempo. Sospettava che fosse una sorta di bilanciamento delle energie, ma non ne aveva la certezza e poco gli importava, dato che, se tutto fosse andato secondo i suoi piani, ben presto sarebbe tornato agli antichi splendori e tutti avrebbero tremato sotto al suo dominio.
    Se in quei mesi aveva imparato qualcosa sul mondo di oggi lo doveva a quei rari Shinobi che, dopo essere stati sconfitti da qualche suo figlio o qualche posseduto, avevano avuto la forza di sopravvivere come prigionieri. Quelle persone erano in grado di manipolare il Chakra in un modo che mai aveva visto fare, nei secoli, dagli uomini, ma i loro cuori erano pur sempre mortali e così nelle segrete di quello che era stato il palazzo reale di Tsuki, aveva piegato le loro anime fino a farsi rivelare ogni più sordido segreto. A dirla tutta era stato Kurayami ad assurgere a quel ruolo; il Re non si sarebbe mai sporcato le mani a strappare informazioni da quei luridi insetti. Uno di loro, con la promessa di potersi unire a lui nell'immortalità delle sue fila, aveva promesso che gli avrebbe portato in dono la Kunoichi dal potere più incredibile che avesse mai visto. Da quando era tornato, il Mouryou non aveva avuto a che fare con molte Ninja femmina, ma da quel che diceva quell'uomo doveva essere un prodigio della natura e si era ripromesso di utilizzarla per generare un nuovo figlio. Uno che valesse la pena mandare in battaglia. Uno che facesse tremare gli eserciti degli umani difronte al nome del Re.
    "Shippai, dov'è il nostro ospite?"
    "Lo faccio entrare immediatamente, mio padrone!"
    Aveva raggiunto il laboratorio e il mostriciattolo gobbo e servile si era subito premurato di andare ad aprire una porta, facendo avanzare un uomo dal passo malfermo che portava a spalle una donna priva di sensi.
    "Oh possente Mouryou, mio signore. Come promesso, ti offro in sacrificio Sybil della Nebbia, una delle migliori Kunoichi di Kiri. Il mio amore. Il mio pegno per l'immortalità."
    "Bene, bene... Interessante!"
    Il Re poteva percepire la forza proveniente da quel corpo ora raccolto a terra, dato che l'uomo, nella fretta di prostrarsi a lui, l'aveva lasciato cadere. Senza curarsi delle parole dello Shinobi, gli poggiò una mano sul volto scostandolo di lato. Negli effetti lo costrinse ad un volo di parecchi metri, e si avvicinò a quella creatura dalla pelle diafana. Fece scorrere la mano sul viso dalle labbra carnose e poi giù lungo il corpo, i seni sodi e i fianchi larghi, ma ben definiti. L'energia che emanava da quelle membra era palpabile, e lui ne era certo: sarebbe stata il contenitore perfetto.
    "Shippai, il pugnale!"
    "Mio signore. ti scongiuro. Non farla soffrire. Io la..."
    L'uomo con il volto sfigurato dalle lacrime e sanguinante per il colpo appena subito era tornato strisciando da lui e, rimettendosi in piedi a fatica, aveva cominciato ad implorarlo con voce lamentosa. Il demone deforme era però arrivato dal suo padrone prima che l'altro potesse ultimare la sua supplica, ed il Re aveva afferrato il pugnale. Gli recise la gola con un colpo netto. Tutto quel ronzio gli dava fastidio; voleva concentrarsi sul rituale. L'uomo continuò a rantolare cadendo in ginocchio, il sangue che gli sprizzava dalla gola e sul volto la sempre più ferma consapevolezza di aver tradito i suoi amici, il suo amore, la sua vita, per nulla. Sarebbe morto come un cane, per mano di quel demone che non aveva mai avuto intenzione di donargli alcun potere, e lui era stato uno sciocco per averci anche solo sperato.
    Afferrò il volto dell'uomo con la mano sinistra e, sollevandolo da terra come se non avesse alcun peso, lo portò accanto alla donna, sbattendolo al suolo senza tanti convenevoli. L'energia necessaria sarebbe arrivata da lui; il resto erano solo contenitori, non importava in che stato si trovassero. Il rituale poteva avere inizio.
    Con l'eccitazione sul volto si tagliò il palmo della mano destra, con la quale andò a trapassare il petto dell'uomo, afferrandone saldamente il cuore per poi strapparlo violentemente dal torace, ponendo fine alla sua vita.
    Sybil riprese coscienza in quell'istante. I suoi occhi misero a fuoco la scena che aveva di fronte e per poco non fallì dal riconoscere il volto di Gurē, intriso del suo stesso sangue. Un mostro inumano, un demone dalle fatture grottesche, aveva il braccio piantato nel suo petto e da quello strappò via il suo cuore ancora pulsante. Ora, mentre si avvicinava a lei, comprendeva il terrore che doveva aver provato l'ex sottoposto. Comprendeva cosa lo aveva portato a tradire tutti loro; l'energia emanata da quell'abominio era percepibile senza bisogno di essere Ninja Sensoriali, il terrore che instillava nelle ossa era qualcosa che mai nella sua vita la donna avesse provato. Si vantava di essere la Kunoichi più coraggiosa di Kirigakure, ma il panico la pervase e cominciò a piangere, urlando in preda ad una crisi isterica. Sentiva che, se le fosse stato offerto, in quel momento anche lei avrebbe accettato di tradire ogni cosa che avesse mai amato nella vita.
    Purtroppo per la giovane donna, non c'erano offerte ad attenderla, ma solo sofferenza. Ora che aveva tutto l'occorrente, il Mouryou strinse il pugno come per spremere l'organo appena recuperato e far così riversare il suo sangue, misto a quello del primo Shinobi, nella bocca della donna. Pochi istanti di silenzio tombale e poi un nuovo urlo. Forte, sordo, disperato. Il corpo della malcapitata iniziò a contorcersi in preda agli spasmi e, solo allora, con un ultimo crudele gesto, il Re di tutti i demoni le trafisse il cuore dando davvero inizio al macabro rituale. L'energia cominciò a scorrere dal Mouryou al contenitore, un flusso potente, feroce, incontrollabile. Molto incontrollabile. Troppo incontrollabile. Il corpo di quella donna assorbiva l'energia del Mouryou sempre più in fretta, sempre più vorace e famelico, senza averne mai abbastanza. Dentro di sé il Re provò una sensazione che non provava dal giorno in cui lo avevano sigillato. Qualcuno l'avrebbe chiamata forse paura, ma lui negava l'esistenza di quella parola. Dissimulando la sottile vena di panico che gli si stava insinuando sotto la pelle, cosicché il figlio che lo assisteva non si accorgesse di nulla, tirò con forza il pugnale e finalmente riuscì a staccarsi da quella ventosa di energia. Fece qualche passo indietro, mentre tutto il sangue che era sgorgato dal corpo della donna durante il rituale si era riversato a terra a formare una pozza; pochi secondi in cui il corpo sembrava morto e pian piano il sangue riprese a muoversi, ma questa volta nel verso contrario, nel tentativo di tornare nel corpo. Un manto rosso avvolgeva la figura che pian piano si erse, prima sulle ginocchia, ed infine in piedi. Il contenitore era cresciuto arrivando anche a sormontare in altezza la figura del Mouryou e nessuno, neanche il Re, soprattutto il Re, poteva immaginarsi che il rituale avrebbe funzionato così bene. Nei secoli mai gli era capitato di vedere un cambiamento così drastico nei suoi figli; il potere che quel nuovo demone emanava era denso, palpabile, poteva quasi sentirlo pervadere l'aria circostante.
    Il sangue che lo ricopriva, intriso di un Chakra scuro e soverchiante, aveva creato attorno al vecchio corpo uno strato che il Re dei Demoni ricondusse subito al primo incontro con alcuni Shinobi.
    Il Mouryou non lo avrebbe mai detto ad alta voce, ma quel Figlio, e quel rituale, avevano avuto un esito inaspettato: se infatti era vero che già in passato, ogni qualvolta si era trovato a donare una parte del suo potere ai nuovi nati, si sentiva un po' meno forte di prima, mai gli era capitato di stancarsi fino a quel punto. Mai gli era successo che uno dei suoi Figli cercasse di sottrargli tutta quell'energia purissima. La sua mente era pervasa di domande e pensieri che cercavano di capire cosa fosse successo. In effetti lo aveva detto lui stesso, no? Nessuno in passato era in grado di manipolare il Chakra come facevano questi Shinobi. Che fosse proprio questa la spiegazione di quel potere tanto forte da potergli tenere testa? Ma non aveva tempo, ora, per perdersi in inutili ipotesi: il suo nuovo Figlio si era già alzato in piedi e aveva preso a scrutarlo come fa un cucciolo appena nato, con occhi colmi di un'ingenua curiosità.
    Il Figlio sapeva di appartenere al Re dei Demoni, poteva percepirne la stessa forza vitale che scorreva dentro di lui. Non ci pensò due volte prima di genuflettersi davanti al suo padrone.
    "Padre, sono qui per servirti come più ti compiace."
    La testa china, il braccio sinistro piegato al petto; non sapeva il perché di quel gesto, ma gli venne spontaneo come se i suoi muscoli ne avessero memoria.
    "Quali sono i tuoi ordini, mio Re?"
    Il Mouryou guardava quella scena abbagliato dalla potenza di quell'essere; il suo atteggiamento cambiò drasticamente. Possibile che lui, il Re di ogni Demone e Padre di una stirpe dalla forza ineguagliabile, avesse paura? In millenni di vita mai gli era capitato di sentirsi così al cospetto di qualcuno, ma in fondo quell'essere sembrava avergli appena giurato fedeltà e questo, nell'animo del Re, rappresentava una vittoria.
    "Sono grato di vedere finalmente un Figlio che valga il mio sudore... Ti aspettano grandi cose nella guerra che stiamo per intraprendere. Ora va' e riposati!"
    Osservò il mostro androgino, con il volto che ricordava in maniera impressionante quello del contenitore, sollevarsi in piedi e obbedire a quel comando, abbandonando il laboratorio.
    "Shippai, controlla cosa combina e fai entrare le guardie del laboratorio!"
    Il mostriciattolo annuì servilmente ed uscì di fretta. Subito dopo entrarono i due figli che fino a quel momento erano stati fuori dalla porta. Non ebbero nemmeno il tempo di chiedere di cosa avesse bisogno il loro Padre, che con un balzo egli fu su di loro, una mano per cranio, e senza pietà ne risucchiò tutta l'energia vitale con cui aveva dato loro origine.
    L'improvvisa ricarica gli diede un attimo di respiro. Non sarebbe certo bastata a compensare tutta l'energia rubata dal nuovo Figlio, ma quantomeno gli avrebbe permesso di tornare a respirare con naturalezza. Doveva sbrigarsi a mandarlo in battaglia, sbrigarsi a mandarlo lontano da lui, a impedire che si potesse accorgere di quanto i loro poteri fossero simili.
     
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    Attacco Al Potere


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    Il pallino arancione brillò nella notte scura, il lieve sfrigolio accompagnò il diventare brace di qualche millimetro di sigaretta e un paio di colpi di tosse accompagnarono l'uscita del fumo dai polmoni. Tremando leggermente per il freddo della notte rigida di Kirigakure, la mano che teneva la sigaretta la buttò per terra per poi aprire una porticina.
    "Mia moglie dice sempre che questa merda mi ucciderà prima o poi!"
    Rientrando nella guardiola Jubo si stravaccò sulla sua sedia. Sia lui che il suo collega non avevano la benché minima intenzione di uscire per un giro di ronda in più di quelli che erano stati loro ordinati. D'estate era tutto un altro discorso ovviamente, uscivano anche due o tre volte in più del necessario e l'arietta fresca era perfino piacevole, oltre ad aiutare a non addormentarsi. Con quelle temperature però non se ne parlava proprio, al termine di ogni ronda dovevano stare un quarto d'ora davanti alla stufa per rientrare in temperatura e arrivavano anche a limitare al minimo le pause sigaretta.
    "Hanno aperto un nuovo chiosco vicino alla porta est, fanno un tonkotsu ramen che è la fine del mondo. Almeno, così mi ha detto mio cognato!"
    Le notti di guardia sul muro di Kiri erano più o meno tutte uguali. Si facevano le ronde certo, ma la maggior parte del tempo si passava a parlare del più e del meno o a cercare modi per far passare il tempo. Alcuni colleghi si intrattenevano con il go, la dama o gli scacchi, ma quelle attività non facevano per lui. Sforzare troppo il cervello equivaleva a sforzare troppo il corpo e lui decisamente non era un fan di nessuna delle due cose. Aveva intrapreso la via del ninja pieno di sogni e speranze, come qualsiasi bambino a cui veniva mostrato di poter camminare sull'acqua e sparare palle di fuoco dalla bocca, ma la vita gli aveva insegnato in fretta che se da una parte lui non era certo speciale o prodigioso tra i suoi pari, dall'altra non tutti avevano la stoffa per diventare degli eroi e lui di certo ne era sprovvisto. La sua vita gli piaceva tutto sommato, aveva un lavoro monotono, ma onesto, per cui tutti lo apprezzavano fin più del dovuto e una famiglia che lo amava.
    "Che cazzo è stato?"
    Mentre l'uomo era intento a queste riflessioni, mezzo appisolato sulla sedia, il fragore di un'esplosione poco lontana lo fece quasi cadere per terra dallo spavento. Il volto preoccupato del collega gli confermò che non era stato un frutto della sua immaginazione, stava succedendo qualcosa.
    "Avverti i piani alti! Vado a controllare!"
    Non era certo un eroe, ma pur sempre uno shinobi e di certo sapeva fare il suo lavoro. D'altronde la procedura in quei casi era chiara, non avrebbe ingaggiato da solo eventuali intrusi, ma il suo compito era soltanto quello di individuarli e nel caso lanciare l'allarme. Se ci fosse stato un combattimento vi avrebbe partecipato assieme alle squadre di supporto, ma se fosse stato possibile avrebbe volentieri lasciato quella parte ai giovanotti entusiasti che ancora amavano menare le mani.
    L'aria pungente gli morse il viso e lui tirò la cerniera del cappotto in modo che fosse chiusa fino in cima, così che arrivasse a coprirlo fin quasi al naso.
    "Speriamo non sia successo niente!"
    Gli bastò addentrarsi per qualche decina di metri all'interno del villaggio per rendersi conto di quanto fosse vana la sua speranza. L'illuminazione del quartiere era saltata e un gran polverone si alzava dal luogo in cui apparentemente vi era stata un'esplosione. Estraendo dal giaccone una torcia, l'uomo cominciò a muoversi verso quello che a giudicare dalle grida della gente sembrava poter essere l'epicentro. Sbucato in una delle piazze principali del villaggio si trovò ad osservare in lontananza il palazzo del Kage e in un batter d'occhio la terra gli crollò sotto i piedi.
    Certo non letteralmente, ma quando vide l'enorme vetrata dell'ufficio del capo villaggio esplodere in una valanga di frammenti, il cuore gli arrivò in gola. Un enorme uragano d'acqua aveva sventrato il palazzo e spuntava ora dal centro dello stesso, come fosse lo sfiatatoio di una balena. Una furia Suiton cui mai nella vita gli era capitato di assistere, forse era stato il Kage stesso a farvi ricorso. L'idea lo fece rabbrividire, quale minaccia poteva aver costretto Watanabe-sama a distruggere il suo stesso palazzo e soprattutto come aveva fatto ad arrivare fino a lui.
    Tutte quelle domande non avrebbero mai avuto risposta perché proprio in quel momento, dal fumo che in origine era venuto ad investigare, scaturì una figura innaturale dai tratti demoniaci. Aveva sentito storie riguardo ai fatti di Hoshi, di demoni guerrieri, ma come tutti aveva circoscritto quelle dicerie a scuse fantasiose che cercavano di far circolare i cosiddetti "caduti della Luna". Un modo puerile per giustificare il proprio fallimento davanti ai villaggi. Più volte aveva riso di quelle voci, ma ora tutto ciò che stava nelle sue più tremende fantasie si stava rivelando realtà. Quello che aveva davanti non era umano e nemmeno si muoveva come un essere umano. Le mani dello shinobi si cinsero a formare i sigilli per ricorrere al razzo di segnalazione, ma con suo stupore si accorse che appena composto il primo sigillo, le sue dita erano state recise in maniera chirurgica. Un grido di dolore scaturì dalla sua bocca, mentre il sangue sprizzava dai moncherini e con terrore l'uomo si accorse che il mostro era ora alle sue spalle. Nemmeno il tempo di chiedersi come avesse fatto, che propaggini della creatura andarono a penetrare il suo corpo schiantandolo ed impalandolo contro un muro. Il volto a un centimetro dal suo si contorse in un sorriso, prima che l'ennesimo spuntone di carne lo perforasse sotto al mento per giungere fino al cervello.
    Jubo fu la sesta vittima di quella notte di follia a Kiri ed un altra dozzina tra ninja e civili persero la vita. Tre demoni avevano preso di mira il villaggio della Nebbia e il giorno successivo tra gli abitanti del villaggio nessuno capiva cosa fosse successo e perché. L'unica certezza era che il cadavere che avevano a disposizione, quello del misterioso nemico che aveva avuto l'ardire di infiltrarsi nel palazzo del Kage, non era di certo umano. Gli altri due attentatori erano spariti nella notte nello stesso modo in cui erano comparsi.
    Il Kage e i suoi consiglieri al contrario del popolino sapevano perfettamente cosa significava quell'attacco. Le squadre al confine ormai da settimane mandavano rapporti relativi a strani movimenti sulla costa sud del Paese dell'acqua, l'idea che i cultisti e il Moryou stessero per fare la propria mossa era nell'aria, ma mai il Watanabe si sarebbe aspettato un attacco nel cuore del villaggio. Quello che non avevano raccontato alla gente era il messaggio tracciato col sangue che il Kage aveva sorpreso il demone a scrivere.
    "Partiremo da Teichi e"
    Il messaggio era incompleto perché l'ingresso del Watanabe aveva dato inizio allo scontro.
    Dopo una notte a contare i danni, il Watanabe e la sua cerchia di fiducia erano riuniti in un ufficio del piano sotterraneo che non aveva subito danni dalla battaglia.
    Il fatto che avessero indicato il loro obiettivo era chiaramente una trappola, un invito a portare tutte le loro forze a sud. Non sapeva se fosse una dimostrazione di forza o un diversivo per colpire in realtà da un'altra parte, ma si aspettavano in realtà che Teichi potesse essere il bersaglio dell'esercito che si stava radunando, quindi avrebbero risposto con forza per mostrare che Kirigakure non si sottomette a nessuno. Tempi duri richiedono uomini duri e i loro avversari erano più simili a mostri che a esseri umani, quindi anche loro avrebbero scatenato i loro mostri. D'altronde se vuoi avvitare una vite non puoi usare un martello, ti serve un trapano. E loro avrebbero messo in campo il più grande trapano di tutta Kiri.
    "Chiamatemi Kisuke Momochi, Kirigakure entra in guerra!"
     
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    Il Mondo Prima

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    Merda... si può sapere che diavolo è questo schifo?
    Ammassati sul limitare della foresta di Teichi erano stanziati ormai un migliaio di ninja che ora, dopo il Viaggio dalla capitale erano ora raccolti attorno ad un gelido fuoco, stavano cercando di racimolare energie mettendo sotto i denti i cibi confezionati forniti all'interno delle loro razioni. Oltre al fuoco erano l'unica fonte di sostentamento che li avrebbe potuti aiutare a combattere il freddo dell'inverno che,seppur mitigato dalla presenza del mare, nelle ore notturne risultava ancora pungente e capace di far tremare molti dei presenti anche all'interno dell'abbraccio dei loro pesanti mantelli.
    Non era la prima volta che Kiri scendeva in guerra negli ultimi decenni ma questa volta nessuno poteva biasimare la scelta del Mizukage vista la provocazione di quelle creature ai danni del suo Villaggio. Osare attaccare direttamente il suo palazzo, simbolo di forza e rispetto per ogni generazione che si era susseguita come Capovillaggio, si era rivelata la mossa più pericolosa e al contempo scellerata facendo si che, il Watanabe, si fosse trovato costretto dalle circostanze a rispondere nel modo più duro possibile.
    Dopo la convocazione delle diverse squadre e l'incontro con i vertici alla guida dei vari squadroni che avrebbero dato vita a questa operazione, aveva dato l'ordine di far mettere in marcia il piccolo esercito alla volta dell'isola indicata come prossimo bersaglio nel messaggio lasciato dagli stessi assalitori. I vertici non sembrano avere dubbi sulle intenzioni del nemico... In molti avrebbero pensato ad una tattica per distrarre le forze dal reale obiettivo ma secondo loro invece si tratta solo di una provocazione per creare panico tra le nostre fila... Sen era un Chuunin, ormai neanche ricordava più l'anno in cui era stato promosso, e durante la marcia era rimasto quasi sempre in silenzio cercando di ascoltare le voci che circolavano tra i suoi commilitoni su quanto accaduto nei giorni prima al VIllaggio e riorganizzare così i suoi pensieri. In molti raccontavano dettagli a lui sconosciuti riguardanti l'attacco al villaggio e, tra le altre, anche della fine del povero Jubo. Alcuni, sussurrando come se dovessero stare attenti a non farsi sentire, raccontavano di come il demone avesse martoriato il corpo del povero shinobi posto a guardia delle porte del villaggio mentre, altri ancora, forse per darsi speranza, si concentravano sui racconti riguardanti l'eroico e coraggioso combattimento che aveva coinvolto il nostro Capovillaggio: sembrava infatti che da solo fosse riuscito non solo a tener testa a più nemici, ma anche, in pochi istanti, a sconfiggere una di quelle immonde creature. Non mi convince questa storia... mi sa che stiamo per fare tutti una bruttissima fine. Il potere dei kage è ben altra cosa rispetto a quello radunato qui...
    Sen non si lamentava del cibo, in fondo era sempre meglio che rimanere a stomaco vuoto. Aveva provato quella sensazione durante l'ultima guerra, dopo l'assalto alle Forze di Suna era finito a vagare per giorni nel deserto senza cibo né acqua; non aveva intenzione di ripetere l'esperienza. Trangugiò avido tutto il contenuto della sua razione e poi raggiunse il gruppo a cui era stato assegnato.
    Le voci allora erano vere... sembra davvero che i piani alti sapessero cosa stava accadendo... ma allora perchè tenerlo segreto per tutto questo tempo?
    In effetti Sen se lo era chiesto spesso in quelle ore. Tutte la storie su Tsuki e sulla sua tragica fine, del coinvolgimento di quel gruppo noto ora come i ''Caduti della Luna'' e di quanto accaduto anni prima nella Terra dei Demoni, lui le aveva sempre archiviate come storie dello stesso valore dei pettegolezzi che sentiva fare alle vecchie quando rincasava o alle leggende che circolavano tra gli anziani shinobi; masi si sarebbe immaginati una cosa del genere che, ora, stava assumendo una tragica e realistica concretezza.
    Uno dei presenti lanciò un ciocco di legno che fece traballare la scoraggiata fiamma del focolare e poi si cimentò in un discorso che forse aveva l'intento di rassicurare se stesso e gli altri.
    Sicuramente qualcosa di vero c'è ma ho sentito che già diverse di queste creature sono state sconfitte durante alcune missioni... quindi non vedo problemi per domani, siamo centinaia e nessuno oserà opporsi alla forza di Kiri...
    Ancora una volta il chuunin rimase zitto. Poteva chiaramente vedere gli sguardi dei presenti: molti sorridevano si, ma i loro occhi, quelli indicavano la verità. Avevano paura. Tutti quanti.
    Ma in fondo le storie erano solamente nient’altro che quello: storie. L'unica realtà l'avrebbero scoperta sulla loro pelle soltanto la giornata seguente. Se in tutto ciò c’era qualcosa che lo rincuorava era il fatto che tra di loro non riconoscesse nessuno dei ninja più forti e famosi del Villaggio. In qualche modo gli dava l'impressione che la minaccia non fosse grande quanto se la stava immaginando dentro la sua testa. In fondo se la faccenda fosse davvero così seria non avrebbero mandato proprio noi no? Se ne starebbero occupando le squadre speciali... Sen si lasciò cadere all'indietro uscendo per un attimo dalla conversazione e stendendosi sull'erba morbida e umida. Se hanno mandato dei Chuunin a combattere in prima linea forse sanno anche loro che questa rappresaglia non richiederà davvero l'intervento dei pezzi grossi...
    Fu su quel pensiero che, però, i suoi occhi scorsero tra gli alberi un profilo distinto e concentrato. Lo shinobi impallidì. Ma... ma... ma quella...?!È la Tagliateste, una delle Sette? Se è vero ciò che penso, quello non può che essere il leggendario Sennin di Kiri... All'improvviso sentì il sangue gelarsi nelle vene. Allora noi perché siamo qui...? Ogni pensiero, ogni fragile certezza costruita con fatica in quei pochi minuti si sciolse come neve al sole vedendo che uno dei più grandi ninja della storia del Villaggio della Nebbia era lì, a pochi passi da loro. Non disse niente e rimase silenziosamente ad osservare quella figura così distinta e opprimente. Avrebbe voluto alzarsi per tornare ad unirsi ai suoi compagni, vivere quelle poche ore di quiete nel modo più spensierato possibile ma ormai ogni singolo pensiero era rivolto al momento che avrebbe fatto seguito a quella serata: non gli rimaneva che attendere il minuto del soldato.

    Era da poco sorto il sole, quando il ninja dai capelli corvini si svegliò dalle poche ore di sonno che si era concesso. Attorno a lui, se si escludevano gli shinobi di guardia, erano ancora tutti immersi nel consolante abbraccio dei sogni e, per il momento, non sarebbe stato certo lui a svegliarli: gli faceva comodo che dormissero. Con l'occhio sinistro passò in rassegna gli uomini che gli erano stati affidati, per poi fare un gesto secco con la mano. Così, davanti a lui apparvero in men che non si dica tre uomini coperti in volto da maschere bianche che lasciavano trasparire solo il taglio degli occhi. La maschera era una formalità, perché lui sapeva bene l’identità dei tre dal momento che li aveva scelti personalmente.
    Rapporto! Voglio tutti i dettagli della situazione! In particolare i numeri del nemico e, cosa più importante, la sua distanza dall'obiettivo.
    Sembrava una domanda sciocca, dal momento che quei demoni si erano dimostrati capaci di oltrepassare le difese di Kiri ed attaccare il cuore del Villaggio: nessuno sano di mente si sarebbe messo sulle loro tracce eppure, a quelle parole, nessuno dei presenti trasalì.
    Abbiamo individuato un contingente misto che si avvicina a Teichi... si muovono in modo disorganizzato eppure secondo tutti i rapporti sembra che a dispetto del ruolo che ricoprano, ogni singolo demone, corrotto o cultista che sia, risponda ad un solo individuo...Qualcuno di cui non conoscevamo l'esistenza e che negli ultimi anni non aveva mai giocato nessun ruolo in questa storia...
    Nella mente del Momochi si generò una sincera curiosità: chi mai poteva avere così tanto potere da controllare un'armata di quel calibro?
    Chi è?
    Ci furono pochi attimi di silenzio durante i quali tutti e tre i membri delle forze speciali mantennero la posizione.
    Allora!? tuonò il Sennin, ormai spazientito dalla mancanza di rapide risposte.
    Proprio quando una delle tre figure mascherate sembrò sul punto di parlare, fu lo stesso Kisuke a zittirla sollevando una mano. Kisuke si voltò, come ad intercettare un flebile rumore per poterlo sentire meglio: il suo sguardo era rivolto in direzione del Villaggio che dovevano proteggere.
    Troppo tardi, dannazione! Saranno qui prima di quanto pensiamo, sapere chi è ora non cambierà nulla... mormorò infine Kisuke.
    Strinse i pugni fin quasi a far sbiancare le nocche, adirato con se stesso per non aver potuto cambiare il corso degli eventi che il suo occhio sinistro credeva di aver già visto avverarsi.
    Che siano tutti ai loro posti prima di subito. Io mi allontano... disse ai tre mascherati, tentando di nascondere in ogni modo la vergogna nelle note della sua voce. Per il suo istinto, avrebbe voluto impugnare la sua Tagliateste ed avanzare al comando diretto di tutti i ninja lì presenti, ma le Alte Sfere del Villaggio avevano in mente un'altra strategia ed in quell'immaginario il suo ruolo era solo quello di guidare le truppe e supervisionare la battaglia per raccogliere il maggior numero di informazioni cruciali. Non volevano che combattesse, perché in quella specifica circostanza non era cruciale vincere la battaglia ma portarsi avanti per vincere la guerra.
    Dèi della Nebbia! Dannazione! Perché nessuno capisce quando è il momento in cui bisogna dare tutto? si chiese con rabbia, ma Kisuke era un soldato dalla testa ai piedi e, salvo per poche ragioni al mondo, gli ordini erano ordini. Così il suo indice destro corse quasi incontrollato a ferirsi sui rasoi per poi con un solo segno cremisi richiamare il più poderoso dei suoi volatili. Il Signore dei Volatili apparve presentato da una nuvola di fumo talmente grossa tanto quanto densa, dispersa poi al primo dispiegamento delle maestose ali.
    Portami in cielo, Garuda! Avrò bisogno anche dei tuoi occhi e della tua esperienza. Dobbiamo capire come si muove il nemico e soprattutto che cosa ha in mente!
     
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    L'Essenza Del Potere

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    Il campo di battaglia era disseminato di cadaveri. Non ricordavo di aver visto qualcosa di simile neppure nella caduta di Suna. Kirigakure era scesa in campo contro i mukenin dell'Eclissi e gli adoratori del culto demoniaco. L'adunata nemica comprendeva fanatici, disperati e posseduti oltre a veri e propri demoni. Avevano raccolto positivamente la partecipazione di tutti quei disperati ed i folli che seguivano il desiderio di potere promesso dalla fazione avversaria. Per quanto le storie provenienti da Tsuki paressero vaneggiamenti di shinobi incapaci che cercavano una scusa per giustificare il proprio fallimento, non avevano potuto ignorare i rapporti dei "caduti della luna" e quindi avevano passato mesi a stanare i criminali che fondavano sette in ogni dove dalle terre dei Demoni all'ultimo dei Paesi Minori. Come un oscuro presagio, l'idea che dietro quei gruppi ci fosse qualcosa di più grosso e pericoloso cresceva missione dopo missione. Finché si trattava di piccoli gruppi isolati, la cosa era gestibile da ninja in incognito, ma adesso la situazione era decisamente sfuggita di mano. Già da un po' si parlava di un gruppo nelle terre a Sud di Teichi, ma si credeva che fosse roba di poco conto, magari qualche organizzazione satellite che gestiva i commerci interni del ciarpame che veniva spacciato come reliquie demoniache. Nessuno degli ANBU che si era occupato delle ricognizioni si sarebbe mai immaginato che si occupassero di radunare un vero e proprio esercito. Una Guerra silenziosa era alle porte e nessuno nel Paese dell'Acqua se ne era accorto fino al momento del boato sordo che aveva squassato la notte di Kiri. Ormai dal tempo delle vicende legate all'Impero del Fuoco, la parola 'guerra' era diventata un tabù nel Villaggio della Nebbia. Kirigakure doveva ancora fare a pieno i conti con il passato e si trovava nella condizione di dover ancora in qualche modo espiare le brutture scaturite dall'alleanza con Konoha. Se a livello internazionale Watanabe era stato bravo a vendersi come la rottura con il passato, un leader carismatico che si era opposto duramente al regime di Terumi Sajun, a livello interno troppi ninja ancora in servizio avevano partecipato a quegli scempi e il modo miglior per mettersi a posto con la propria coscienza era chiudere un occhio e far finta che non fosse mai successo. Da un giorno all'altro tutti i Kiriani erano diventati rivoluzionari al servizio di Watanabe, anche quelli che fino al giorno prima avevano ben goduto dei vantaggi legati alla vicinanza alla ex Mizukage.
    Tutto questo aveva reso le parole del Kage ancora più impattanti sulla popolazione del Paese dell'Acqua, l'ingresso in guerra di Kiri era un atto politico prima ancora che militare.
    Dopotutto non era uno stato che muoveva guerra contro un altro, ma erano gruppi terroristici intenzionati a distruggere e conquistare qualsiasi cosa, elemento che faceva sì che il tutto risultasse decisamente più appetibile all'opinione pubblica e forse avrebbe anche potuto rappresentare un'arma da utilizzare a livello internazionale: Kirigakure si occupa da sola dello spauracchio che sembra voler minacciare il mondo, gli altri Paesi ne avrebbero dovuto tenere conto.
    Questa era la teoria, poi c'era la pratica e la pratica della guerra era una cosa sporca, puzzolente e dolorosa, che gli uomini al potere. Quelli che prendevano le grosse decisioni e muovevano migliaia di loro simili come se fossero pedine per i loro interessi, difficilmente si trovavano a vivere.
    Dunque eccomi lì, a capo di una guarnigione di soldati, in un bagno di sangue di nemici e amici a combattere contro quei folli criminali. Le forze alleate erano state decimate, tra le file del mio plotone avevo contato fin troppe morti e la mia capacità di comando ne stava risentendo. Stringevo la Samehada tra le mani e riprendevo fiato con le ginocchia immerse in fango e sangue quando delle lingue di fuoco mi passarono sulla testa in direzione dell'esercito avversario, esplodendo ad una dozzina di metri più avanti in un mare di fiamme. La retroguardia stava creando azioni di tamponamento per permettere ai ninja medici di recuperare i feriti, cercare di salvarli e trasportarli nelle retrovie, mentre chi era ancora in grado di combattere lo faceva strenuamente. Mi concessi quei pochi istanti, dopo aver abbattuto l'ennesimo posseduto, per osservarmi attorno e fare il punto della situazione. Eravamo messi male, davvero male. Non avevo mai subito così tante perdite dei miei sottoposi e allontanavo dalla mia testa anche la minima idea che fossero state le mie decisioni a farli morire. Ora dovevo pensare al fatto che, sebbene ci fossero così tanti cadaveri del paese dell'Acqua, stavamo vincendo! Quelle vite spezzate avevano un senso, erano servite a qualcosa: spazzare via quell'esercito demoniaco, la cosa più importante fatta fin ora dall'esercito di Kiri. Mi rialzai di scatto per evitare un mukenin della Sabbia che, mezzo ustionato dalle fiamme lanciate poco prima, correva gridando e sciabolando la sua katana in lungo e in largo. Risposi ad uno dei fendenti con la Samehada strappandogli l’arma dalle mani e atterrandolo con un calcio allo stomaco. L'uomo cadde a terra arrendendosi. Era riverso pancia all'aria, ansimante per l'urto e le numerose ferite riportate. Appoggiai la spada leggendaria sul suo petto senza infierire ulteriormente. L’appetito dell'arma leggendaria fu sufficiente a prosciugare le sue energie fino a fargli perdere i sensi.
    "Tenete duro! Continuate a respingerli!"
    Mi sentivo obbligato a spronare i miei uomini e tenere alto il morale, ora che il traguardo era così vicino. La Samehada aveva concluso il suo pasto, le sue squame vibravano di eccitazione e condivideva con me parte del suo bottino. Era il momento di riunirsi e dare il colpo di grazia all'esercito nemico il cui morale doveva essere in procinto di cedere. Tra le loro fila vi erano già alcuni disertori che rinnegando il nome del Moryou fuggivano a gambe levate.
    "Squadra Yoru con me!"
    In pochi istanti un manipolo di uomini fu alle mie spalle, pronta a seguirmi nell'offensiva finale. Al grido di battaglia partii seguito dai miei uomini, ma dopo neppure un paio di metri un urlo spaventoso e disumano riecheggiò per il campo di battaglia. A seguire ci furono delle scosse di terremoto così forti da farci perdere l'equilibrio. Il terreno si spaccò e dalle fratture ne venne fuori un specie di denso fumo nero che ristagnò sul terreno fino alle ginocchia dei ninja presenti.
    "Cosa cazzo è quella cosa?"
    In un punto imprecisato tra il fumo delle fiamme e la polvere delle macerie, qualcosa spuntò direttamente dall'ombra sul terreno stagliandosi verso l'alto. Due figure avevano fatto il loro ingresso sul campo di battaglia portando sullo stesso un innaturale silenzio. La prima delle due aveva un aspetto quasi indecifrabile, l'intero corpo sembrava come composto di ombre e non sarebbe stato possibile definirne i tratti somatici. Un essere che in una situazione normale avrebbe probabilmente attirato l'attenzione di tutti i presenti, ma che in quel momento quasi spariva al cospetto del compagno cui non sapevo avesse appena dato una sorta di magico passaggio.
    Un gigante? Un mukenin del clan Akimichi? No, la figura era longilinea e la forma del suo corpo non era perfettamente riconducibile né a un uomo, né a una donna. Era un essere sovrumano che sfidava ogni definizione di genere. Un demone androgino, alto tre metri, con una silhouette sinistra e avvolta in un manto di sangue che sembrava danzare sul suo corpo come in un'oscura sinfonia. Era a tratti indefinibile, un fluire tra elementi somatici perfettamente riconoscibili e strane sfumature prodotte dal suo sangue. La sua pelle era traslucida, come se fosse composta da una sostanza eterea, attraverso la quale si intravedeva una corrente incessante di sangue nero che pompava nelle sue vene. Occhi rossi e penetranti, privi di pupille, risplendevano con una luce malevola, proiettando un senso di antica e profonda malvagità. Le sue membra, lunghe e snodabili, si muovevano con una fluidità innaturale. Emanava un'aura di terrore e potere, mentre la sua voce, un sussurro freddo e stridente sembrava provenire da un'altra dimensione. Ciò che ogni singolo soldato di Kirigakure non poté però evitare di notare fu l'immensa somiglianza che i tratti del suo viso avevano, quando non erano distorti dal snague, con quelli di Sybil, l'ANBU famosa in tutte le terre ninja e ora dispersa in azione con tutta la sua squadra.
    La sua presenza era come un presagio di morte, una paura ancestrale che si insinuava nelle menti dei presenti e che risvegliava i più profondi timori dell'anima portando con sé un senso di desolazione e disperazione. Tutti sul campo di battaglia si fermarono. Nemici e alleati esitarono nel vedere l'orrenda creatura.
    "Avanti, mostra a questi insetti la forza di nostro Padre! Rendi onore al nostro Padrone, rendi onore al Padrone del mondo!"
    L'essere fatto di ombre gridò quelle parole a squarciagola, poi così come era venuto tornò ad essere inghiottito dalla terra, lasciando il campo libero all'orribile creatura che aveva portato sul campo di battaglia. Lui stesso provava terrore a stargli accanto, ma supponeva che il motivo per cui il Moryou non aveva dato un nome a quel suo ultimo figlio fosse legato in qualche modo al fatto che ancora non si fosse legittimato ai suoi occhi com tale. Nemmeno per un momento gli era passato per la mente che la reale ragione fosse la paura che il Padre provava lui stesso nei suoi confronti, nemmeno per un momento gli era passato per la mente che il Padre potesse anche solo concepire il concetto di Paura.
    L'enorme figura fece un passo in avanti e alzò le braccia al cielo, un ginepraio di centinaia di artigli affilati, simili a lance oscure, dipartì dalle stesse schizzando in ogni dove, pronti a sprofondare nella carne delle sue vittime. Una di quelle lance mi passò rasente. Fu così veloce che se avesse puntato al cuore, non l'avrei potuto evitare. Vidi quella sostanza da vicino, era qualcosa di vivo, pulsava. Sembrava sangue, ma era nero come la notte. Temevo che la vittima dell'attacco fosse uno dei miei uomini e voltai immediatamente lo sguardo per verificarne le condizioni. Con grande sorpresa, scoprimmo che la vittima dell'attacco era il mukenin della sabbia privo di sensi. Osservando il campo di battaglia, scoprii con orrore che quello non fu né un errore, né una punizione per un soldato sconfitto. Obiettivo del demone erano tutti i caduti sul campo di battaglia. Le lance si staccarono e vennero assorbite dai corpi a terra rivelandosi composte di nero sangue. Per un attimo il silenzio, interrotto solo dal lamento del vento tra le armature abbandonate, regnò sul campo di battaglia. La tensione era palpabile. Improvvisamente, i corpi intorno a noi cominciano a muoversi. Prima fu solo un sussurro tra i cadaveri, un leggero fruscio, ma poi divenne chiaro: i morti si stavano rialzando. Gli alleati e i nemici, apparentemente privi di vita solo pochi istanti prima, si sollevavano lentamente dal suolo. Gli occhi ora brillavano di una luce innaturale e i corpi ripresero vita. Le armature rigide scricchiolavano e le membra tornarono ad animarsi con una fermezza spettrale. Nel cuore del caos, la resurrezione dei caduti creò un'atmosfera surreale. Ero sconvolto, incapace di comprendere il miracolo oscuro o la maledizione che stava riportando in vita commilitoni e nemici. Alla paura si affiancò un senso d'incredulità, mentre mi resi conto che la battaglia invece di avvicinarsi alla fine aveva preso una svolta ancora più sinistra. Mentre i morti si ergevano e riprendevano le armi, la speranza di una vittoria vicina si scontrò con il terrore nel cuore dei sopravvissuti. La battaglia era lontana dall'essere conclusa e l'orrore della guerra stava acquisendo una dimensione soprannaturale.
    "Keici dietro di te!"
    Il cadavere di un Kiriano lo prese alle spalle e lo azzannò come un animale lacerandogli la carotide. Lo tirò a sé ancor prima che potesse reagire. Ordinai agli uomini di serrare i ranghi e affrontare chiunque fosse in quelle condizioni, che si trattasse di un alleato o di un avversario. Fui io il primo ad affrontare il redivivo della sabbia, che stando in mezzo a noi risultava il principale pericolo al momento. Le espressioni dei superstiti oscillavano tra la rabbia, il terrore e l'incredulità mentre osservavano i corpi morti animarsi e rispondere al richiamo della battaglia. La confusione era palpabile, ma l'istinto di sopravvivenza prevalse.
    Frutto soprattutto della rabbia accumulata, sfruttai il potere di ogni singola cellula del corpo negli attacchi. Con uno scatto rapidissimo mi avvicinai a lui sciabolando la famelica Samehada all'altezza dello stomaco lanciandolo fuori dal gruppo. Brandelli di carne e vestiti vennero strappati dal malcapitato che come una palla colpita da una mazza veniva sparato via. Purtroppo però ne eravamo praticamente circondati. Tutti strinsero saldamente le armi tra le mani pronti a respingere l'orda. Gli uomini si battevano con coraggio. Alcuni puntavano a fermare i redivivi con jutsu Doton, mentre altri sfruttavano il Katon per ridurli in cenere, ma erano così tanti e noi così stremati che presto avrebbero prevalso. Uno dopo l'altro gli attacchi si fecero più insistenti finché non avemmo a che fare con un vero e proprio esercito di non-morti. Eravamo circondati, affrontare solo i morti non era la soluzione.
    "E' Lui, è chiaramente lui che li comanda. Dobbiamo fermarlo se vogliamo fermare i suoi burattini!"
    Gyuuki aveva centrato il punto. Bisognava fermare il demone e l'unico con sufficienti energie per contrastarlo ero io. Nel frattempo quella figura demoniaca non restò certo ferma. Avanzava tra i soldati e ad ogni passo il sangue intorno a lei sembrava danzare e contorcersi, creando illusioni spettrali che terrorizzavano chiunque fosse abbastanza sfortunato da incrociare il suo cammino. I suoi occhi scrutavano il campo di battaglia in cerca di vittime. Brandiva le sue membra come artigli affilati, fendendo l'aria con una velocità sovrannaturale. Ogni movimento era una coreografia mortale, un mix di artigli e sangue nero che sembravano danzare al ritmo della morte stessa. Le sue vittime cadevano sotto i suoi attacchi, avvolti dal suo stesso sangue e stritolati dalla presa spettrale delle sue mani. Il sangue versato si fondeva con il suo, creando un'atmosfera ancor più tetra mentre continuava la sua avanzata implacabile. Lamenti e urla di terrore seguivano il passaggio del demone, un'eco funesto del suo dominio sul campo di battaglia. Persino i ninja più coraggiosi che tentavano di resistere, si ritrovavano impotenti di fronte alla sua potenza soprannaturale. Sembrava nutrirsi dell'orrore e del caos che seminava. Mentre avanzava la sua presenza gettava un velo di terrore sulla terra, rendendo ogni passo una maledizione per coloro che cercavano di opporglisi. Ordinai ai miei uomini di aprirmi un varco e due di loro composero i sigilli per poi battere i palmi a terra. Il terreno davanti a me si crepò a metà e uno strato di una ventina di centimetri di spessore si aprì a ventaglio sbaragliando chiunque ci fosse sul cammino, creando così un lungo corridoio di roccia tra me e il demone. Mi ci fiondai a tutta velocità sfruttando ogni singola cellula muscolare del mio corpo, mentre il chakra dell'otto code iniziava a circondare il mio corpo. Puntai alla gamba sinistra del demone, con l'intento di falciarla per intero grazie alla temibile “Pelle di squalo”. La strategia si rivelò efficace, la strada venne sgomberata e non dovetti preoccuparmi di nessun altro se non del mostro di tre metri. In pochi istanti ero sotto i suoi piedi ed eseguii il fendente prima che se ne potesse accorgere. Ero fiducioso di riuscire ad atterrarlo in un colpo solo, ma qualcosa andò storto: la Samehada, fedele compagna e famelica assassina, che non si era mai tirata indietro davanti a nessuno, questa volta si rifiutò di colpire il corpo del demone curvandosi verso il basso e ancorandosi al terreno. Fu tutto troppo veloce, Non riuscii nemmeno a realizzare lo scherzetto dello spadone che le premure del mostro furono tutte per me. In un attimo, mi trafisse con una di quelle lance nere e pulsanti. Limitai il danno spostandomi all'ultimo, trasformando un colpo mortale al cuore in uno gravissimo alla spalla sinistra. La sua forza dirompente mi scaraventò indietro di una mezza dozzina di metri, impalandomi a suolo. Dalla ferita sgorgava copioso il mio sangue, che veniva risucchiato dal tentacolo nero. Immediatamente provai a tranciarlo con la Samehada, ma anche questa volta vibrò non appena l'avvicinai al corpo del demone e si rifiutò di entrarci in contatto. Sentivo un bruciore lancinante attorno alla ferita che si espandeva e non ci pensai due volte: generai un rasengan nella mano sinistra e colpii il tentacolo recidendolo di netto. Il costrutto tornò liquido, abbattendosi a terra in uno scrosciare di sangue nero e liberandomi dalla morsa. La Samehada a quel punto mi concesse il suo potere per curare la ferita. Un po' per premura, un po' per farsi perdonare, lo spadone rimarginò con il suo potere la voragine sulla spalla. Non capivo cosa potesse terrorizzarla in quel modo, ma era evidente che non mi sarebbe stata d'aiuto. La sigillai nel braccio e mi preparai al secondo round. Quel demone faceva davvero paura e dovevo tirare fuori l'artiglieria pesante.
    "ALLONTANATEVI TUTTI!"
    Dopo aver gridato ai miei compagni con tutta l'aria che avevo nei polmoni, liberai il potere del demone che portavo dentro e improvvisamente un colosso dalle fattezze di un ushi-oni apparve sul campo di battaglia, la maggior parte dei presenti aveva sentito parlare dei Bijuu soltanto nelle storie legate ai tornei annuali in cui ero solito sfoderare la potenza dell'otto code per impressionare avversari e spettatori. Gyuuki, euforico all'idea di poter prendere parte allo scontro, levò un potente ruggito al cielo attirando le attenzioni di tutti i posseduti nelle vicinanze, che iniziarono ad attaccarlo. Ignorò semplicemente quei moscerini e colpì il demone in piena faccia con uno dei suoi pugni micidiali. Il nemico, molto più piccolo, non poté opporsi e venne spinto all'indietro rotolando numerose volte e sbattendo di qua e di là sul terreno accidentato. Con un balzo Gyuuki gli fu nuovamente addosso e fece piovere una marea di pugni dal cielo sul povero demone. Non vi era partita. Il potere dell'otto code era notevolmente superiore e mancava poco alla sconfitta di quella macchia d'ombra. Gyuuki continuava a colpire senza sosta speranzoso che il demone ci crepasse, ma in poco tempo il bijuu iniziò a cedere alla stanchezza. La serie di pugni si affievolì fino a fermarsi a causa del fiatone. Fu allora che la creatura fatta di ombre e sangue iniziò a diramare centinaia di fibre simili alle lance di poco prima, che strisciando sul terreno andarono a cercare e infilzare i risorti sul campo di battaglia. Lento e inesorabile cominciò a succhiarne il sangue e le energie moltiplicando velocemente le proprie dimensioni, fino a pareggiare quelle dell'otto code. Gyuuki cercò di recuperare tornando a colpire, ma l'ombra diabolica fermò il pugno con una semplicità disarmante e non solo dato che tirò a sé il suo braccio, mentre indirizzava con l'altra mano un pugno in piena faccia del Gyuuki. Un singolo colpo che il demone codato incassò malamente. La testa della creatura rimbombò come un enorme campana. La forza del demone di sangue era cresciuta all'inverosimile e ora era lui a dirigere il combattimento. Gyuuki si sforzava nel tentativo di parare i colpi e incassare al meglio, ma la forza e la velocità del suo avversario ora gli erano superiori. Nonostante gli sforzi profusi, la situazione era completamente ribaltata. Il suo nemico, pur avendo subito numerosi colpi, sembrava non averne risentito minimamente, a differenza di lui, che accusava ogni singolo attacco. Ben presto, il demone androgino prevalse sull'otto code mettendo a segno il suo colpo di grazia: Una miriade di lance nere partirono dal petto della creatura ed andarono ad infilzare simultaneamente il Bijuu, che non poté far altro che ritirarsi. Il suo corpo evaporò come neve al sole, lasciando al suolo un inerme Jinchuuriki alla mercè del suo avversario. Il gigante avanzò minaccioso, con la mano artigliata pronta a scendere come la scure di un boia su di me. Ero privo di energie. Dovevo fare qualcosa per difendermi, ma il corpo non rispondeva. Chiusi gli occhi pronto ad affrontare il mio destino, ma una folata di vento ed uno strattone improvviso anticiparono gli artigli che affondarono nel terreno. Riaprii gli occhi scoprendo che ero stato soccorso al volo da un'enorme aquila dalle dimensioni gigantesche che mi aveva afferrato tra i suoi artigli e portato via, mentre un inferno di fiamme proveniente dall'alto aveva invaso il campo di battaglia respingendo momentaneamente l'enorme creatura demoniaca, costretta a indietreggiare dalla potenza di quella tecnica, il sangue che a contatto con le fiamme andava a coagularsi. Gli artigli del volatile erano così affilati da mordermi la carne pur non essendo particolarmente stretti, voltai lo sguardo verso l'alto intravedendo il cavaliere. L'occhio bendato, gli orecchini di pergamena e i tatuaggi sulla nuca non lasciavano dubbi.
    "Kisuke?? Mpf.. E io che credevo di starti sulle palle..."
    Sorrisi pensando che a salvarmi era stato, tra tutti gli shinobi della Nebbia, proprio quello che mai mi sarei aspettato.
    «Fosse per me, ti avrei già fatto assassinare da tempo. Altro che salvarti adesso» sputò Kisuke, la lingua ricoperta di vetriolo. Ne avrebbe sacrificate altre mille di fecce come Kyoshiro per scongiurare una battaglia disastrosa come quella. Tuttavia, le Alte Sfere della Nebbia non erano della stessa opinione e Kyoshiro rimaneva ora come ora una risorsa militare non indifferente, per cui aveva ordini precisi di parargli il culo. Subito dopo il Sennin fischiò un acuto segnale che riecheggiò nel campo di battaglia. Tutti gli shinobi in combattimento sapevano cosa significasse: la ritirata era stata ordinata.
    Io mi lasciai andare alla stanchezza e alle ferite perdendo conoscenza mentre la vista annebbiata si allontanava dal campo di battaglia, che si era trasformato in un cimitero a cielo aperto.

    Un ringraziamento a john900 per il contributo.


    Edited by Werner von Wallenrod - 14/3/2024, 16:35
     
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    La Disperazione Dei Grandi

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    Il ritmico rumore di una goccia che cadeva nel lavandino accompagnava il silenzioso lavoro della cucina, buia e umida non si confaceva certo alla magnificenza dell'evento che presto si sarebbe tenuto in quel luogo. D'altronde quella struttura cadeva a pezzi, era utilizzata da tempi immemori per ospitare i summit dei Kage, ma fortunatamente era una fattispecie che si verificava ben di rado e in tutto il resto del tempo nessuno era particolarmente interessato a mantenerla in buono stato. Certo in vista dei summit un centinaio di persone venivano mobilitate per far sì che le sale che sarebbero state utilizzate fossero linde e splendenti, ma il resto dell'edificio veniva abbandonato a sé stesso. I kage dovevano vedere solo quello che loro volevano far loro vedere.
    Con quei pensieri per la testa, Jinobu passò un dito su un tagliere constatando che era piuttosto sporco e diresse una nutrita sequela di parolacce al responsabile.
    "Sono troppo vecchio per questo lavoro!"
    Aveva servito fedelmente la Repubblica dei Samurai per tutta la vita, da giovane aveva provato la via della spada, ma si era presto accorto di quanto fosse più abile con il coltello che con la spada. Si era fatto strada a fatica e adesso alla soglia dei settant'anni poteva dire di averne viste di tutti i colori dentro a quelle mura. Erano quasi cinquant'anni che organizzava quei summit e insieme alla sua brigata era uno dei pochi uomini a malapena in grado di vedersela con un ladro domestico a conoscere i segreti del mondo.
    La lingua passò sulle labbra e pensò al nero sigillo che vi era impresso. Poter fare quel lavoro richiedeva immensi sacrifici, ma rappresentava anche il più grande onore che la sua professione potesse concedere.
    "L'ingresso dei Kage è previsto tra cinque minuti. Tutti ai vostri posti, gli errori non sono ammessi oggi! Operatori di sala, con me!"
    Un forte "Hai!" si sollevò all'unisono dall'intera brigata e l'uomo partì verso la porta con alle spalle le uniche altre cinque persone autorizzate ad entrare e uscire dalla cucina durante l' incontro. I summit sono una questione politica e come tutte le questioni politiche, per quanto urgenti, dovevano rispettare un certo galateo.
    "Ci siamo, ai vostri posti!"
    I tre uomini e le due donne alle sue dipendenze si dispersero ai margini della sala, accanto alle colonne erano quasi invisibili.
    'Dovete essere dei fantasmi' ripeteva sempre lui, il successo del loro lavoro era dato dal fatto che gli ospiti non avessero modo di accorgersi della loro presenza. I bicchieri andavano riempiti quando l'ospite era distratto e non stava parlando, così da non rischiare di interrompere i discorsi e via dicendo.
    I grandi battenti di legno si aprirono e lui si erse ancora più dritto, lo sguardo vigile a controllare ancora una volta che tutto sul tavolo a ferro di cavallo fosse perfetto, anche se razionalmente ormai sarebbe stato troppo tardi per correggere alcunché. Come in una sfilata le varie delegazioni si fecero avanti, precedute ovviamente dal padrone di casa e dai due samurai che lo accompagnavano. Il leader della Repubblica dei Samurai raggiunse il proprio scranno separato dal tavolo e venne accolto da un lieve inchino di Jinobu. L'attenzione dell'uomo era però rivolta agli altri, in particolare agli sconosciuti. Quali erano i loro gusti? Come si sarebbero dovuti comportare per soddisfarli al meglio?
    Osservò il Kazekage varcare per primo la soglia, il volto sicuro di sé aveva la classica arroganza del più giovane del gruppo e viste le circostanze con cui aveva ottenuto la carica non c'era sa stupirsi che tendesse a ergersi al di sopra degli altri. Dopotutto ai suoi occhi Kokage e Raikage non erano altro che avanzi di un vecchio mondo che non era stato in grado di impedire l'ultima guerra, mentre Mizukage e Hokage due pedine atte a espiare le colpe dei rispettivi paesi. Per quanto lo riguardava probabilmente la voce di Sunagakure era l'unica ad aver motivo di essere ascoltata lì in mezzo.
    Le due guardie del corpo che si sedettero alle spalle del Kazekage non erano volti nuovi dato che entrambi erano già stati esibiti durante l'ultimo summit. Non poteva che trattarsi di una vera e propria esibizione dato che la presenza del figlio dell'ultimo Tsuchikage aveva un valore politico già di per sé e non poteva essere un caso che anche il gorilla biondo si trovasse lì dato che tutti sapevano, da quando aveva vinto il torneo delle cinque nazioni, che l'uomo era in grado di utilizzare l'armatura raiton e di certo la sua presenza non poteva che essere una stoccata nei confronti del Raikage. Ovviamente il Midori non era stato certo l'unico a sfruttare giochetti psicologici di quel tipo, dato che il Mizukage aveva portato con sé il portatore dell'otto code e quella leggenda vivente di Kisuke Momochi in persona. Non c'era da stupirsi che Konoha non si fosse portata appresso nomoni, l'inuzuka sapeva bene di non potersi permettere giochi di forza dato che le cicatrici dell'impero del fuoco erano ancora fresche nella memoria di tutti. L'anonimo ANBU dai capelli bianchi e l'altro tizio con la barbetta e i profondi occhi verdi gli erano infatti sconosciuti.
    Non dovette fare nemmeno un cenno del capo, che già i suoi ragazzi si erano mossi per riempire i vari bicchieri con un prelibato sake dal grado alcolico particolarmente leggero. Non era il caso di far ubriacare i capi del mondo mentre decidevano il futuro della storia.
    Il Kokage e il Raikage furono gli ultimi a sedersi, il primo assieme alla sua guardia del corpo fuori di testa aveva portato il possessore del cinque code, mentre il secondo al solito era accompagnato da due membri della truppa Kinkaku. In fondo Ryuu il Drago era lui stesso tutta la deterrenza militare di cui Kumo aveva bisogno.
    Sorrise mentalmente al pensare che nessuno a parte lui sapeva tutto quello che era successo in quelle stanze. Neanche molti dei presenti avevano idea di cose successe decenni prima, ma lui era già lì e contrariamente ai sottoposti la cui memoria veniva accuratamente cancellata dopo i summit, lui che era l'uomo di fiducia della repubblica conservava tutti i propri ricordi in modo da poter essere il più efficiente possibile.
    Mentre il suo occhio vigile gestiva tutta la sala e con impercettibili segnali dava ordini, il suo signore diede inizio al summit e dopo le formalità di rito lasciò che il Mizukage potesse esporre il motivo per cui si trovavano riuniti.
    "Il momento che temevamo è arrivato. L'esercito dei demoni sta marciando sul paese dell'Acqua e presto Kirigakure stessa si troverà a dover combattere per la propria sopravvivenza!"
    Jinobu era contrariato, il Watanabe solitamente gli dava grandi soddisfazioni, ma quel giorno non aveva toccato il sakè, né degnato di uno sguardo gli stuzzichini che gli erano stati portati. L'agitazione e la fretta dell'uomo erano evidenti, ma un tale segno di sdegno lo trovava personalmente irrispettoso. Certo il suo paese era sull'orlo del tracollo, ma c'era gente che aveva lavorato ininterrottamente per giorni per garantire la qualità dell'accoglienza e sarebbe stato carino da parte sua almeno fingere di apprezzarla.
    Incurante e probabilmente inconsapevole del fastidio che stava arrecando, il Mizukage continuò nella sua accorata arringa. Raccontò ai colleghi della battaglia di Teichi di cui Kisuke e Kyoshiro erano gli ancora feriti testimoni e si sforzò di dar loro l'idea di quanto fosse soverchiante il potere di quell'armata e in particolare di quel demone apparentemente imbattibile, che nemmeno il potere dell'Ottocode era riuscito ad arginare.
    "Per quanto mi costi ammetterlo, la situazione è disperata. Kirigakure sta preparando le proprie difese e in questo momento tutti i civili del villaggio si stanno imbarcando verso Tsubaki."
    "Ma questo vuol dire..."
    La tensione era palpabile nell'aria e le parole dell'Hokage espressero quello che stavano pensando tutti quanti.
    "Vuol dire che ci aspettiamo una sconfitta. A tal proposito uno dei motivi per cui ho richiesto questo summit è proprio per fare una richiesta ufficiale di asilo a Konoha. Per tutti i profughi dell'Acqua che si troveranno a dover lasciare le proprie case."
    Il volto dell'Hokage si allargò in sincero stupore, non si sarebbe mai aspettato di sentire arrivare tali parole da parte del Watanabe e quasi balbettò nel dargli una risposta.
    "C-credo che Konoha non sia abbastanza grande per accogliere un simile numero di persone, ma parlerò con il Daimyo del Fuoco e sono certo che con il supporto di Hinamoto, Tanzaku e le altre grandi città riusciremo a portare avanti un progetto di accoglienza, però ci vorrà del tempo"
    Violando qualsiasi regola di galateo il Kazekage sbatté la mano destra sul tavolo e si alzò in piedi. Il volto era una maschera di disapprovazione e non era difficile per i presenti immaginare quali sarebbero state le sue parole.
    "Pensate veramente che ce ne staremo qui a berci queste fandonie? Sunagakure non ha dimenticato quello che i vostri villaggi hanno fatto e anche se in questi anni abbiamo mantenuto la pace, non siamo vostri alleati e di certo non siamo i vostri cagnolini, pronti a ad eseguire ogni ordine senza fiatare!"
    Jinobu trasalì, in tutta la sua carriera non gli era mai capitato di assistere ad una scena simile, il fuoco negli occhi del Kazekage era quello di un incendio pronto a divampare e quando l'occhio libero di Kisuke Momochi si socchiuse in risposta a quella scenata, temette che potesse succedere il peggio. Il raikage che fino a quel momento non aveva staccato gli occhi dal Sennin decise di prendere parola. Jinobu ricordava bene il giorno in cui in quella stessa sala i leader di Nuvola e Nebbia si erano scornati per una qualche diatriba relativa a un jutsu che proprio lui aveva imparato quando non avrebbe dovuto.
    "Voi due ragazzini volete forse prenderci in giro? Non abbiamo registrato alcun movimento da parte di Tsuki ormai da anni e anche gli sporadici avvistamenti di artefatti riconducibili al Moryou si sono fatti sempre più rari."
    Da quando i migliori sensoriali dei cinque villaggi avevano finito di analizzare i resti del Moryou, diversi incidenti e casi di quella che appariva come una possessione erano stati ricondotti a quello stesso tipo di particolarissimo chakra. Come aveva detto il Raikage però ormai i casi si erano fatti così rari da non essere nemmeno più tenuti in considerazione. Quelle parole fecero perdere definitivamente le staffe allo Tsuuya che non riuscì più a stare zitto.
    "Abbiamo combattuto personalmente contro quei mostri e voi venite a dirci che non esistono? Dobbiamo farvi la lista dei compagni che abbiamo perso?"
    L'ira a quel punto avvampò anche sul volto del Raikage, tanto da portare anche lui ad alzarsi dal proprio scranno.
    "Tu, non osare aprire quella boccaccia coccola mukenin! Dovremmo credere che dopo tutto questo tempo il Moryou abbia deciso di prendere di mira proprio Kirigakure? E questi sarebbero i vostri testimoni?"
    L'indice dell'uomo si era mosso minaccioso verso Kyoshiro, Ryuu non aveva certo dimenticato come l'attuale Jinchuuriki di Kirigakure avesse un tempo tradito il villaggio, per poi entrare nelle file dell'Impero del Fuoco e sfruttare l'instabilità politica e le amnistie seguite all'insediamento di Watanabe per ritornare con la coda tra le gambe al villaggio. Probabilmente fosse stato un ninja qualunque la sua testa sarebbe finita su di una picca, ma grazie al Gyuki che dimorava dentro di lui era tenuto da conto come una delle pedine più importanti del villaggio. L'attenzione del Drago si rivolse quindi con disprezzo al Sennin.
    "Anche Kumo non dimentica e la tua sola presenza qui, Kisuke Momochi, è un oltraggio nei nostri confronti! Dovremmo fidarci di un ladro e di un traditore! Sì dico a te Jinchuuriki, c'è un qualcuno tra chi ti ha ospitato che non hai tradito? Certo non mi stupisce la volontà di darvi una mano da parte di Konoha, d'altronde siete le facce di una stessa medaglia o sbaglio? D'altra parte non mi stupirebbe nemmeno se Kirigakure fosse stata allestita in maniera tale da eliminare i nostri migliori guerrieri una volta arrivati in città. La vostra storia parla chiaro riguardo a quanto possiate essere subdoli!"
    Ora la situazione era decisamente al limite del controllo e Jinobu si trovò a chiedersi cosa sarebbe successo alle splendide portate che aveva organizzato se lì dentro fosse scoppiata una battaglia.
    "Vediamo di darci tutti una calmata, per favore sedetevi!"
    Moryou Kaguya era il più anziano dei Kage e sicuramente quello che nel corso della sua vita aveva visto più battaglie, sia sul campo che in politica. Con entrambe le mani alzate invitò gli altri quattro a distendere gli animi. L'aplomb del Kokage riuscì a interrompere l'escalation e lui si trovò a sospirare rumorosamente prima di fare un cenno col capo al jinchuuriki del cinque code alle sue spalle. Kougami sembrava tutt'altro che a suo agio nell'alzarsi in piedi.
    "Hem, ecco. Io ho combattuto contro il Moryou e posso garantirvi che la sua minaccia è reale. Il suo potere è paragonabile a quello di un Bijuu se non addirittura superiore, se c'è il rischio che torni a minacciare il mondo ninja non possiamo stare con le mani in mano."
    Il Kokage assentì alle parole del ragazzo che tornò seduto, per un attimo lasciò che le sue parole potessero essere assimilate dai presenti.
    "Non pensiate che io sia uno sciocco o che mi fidi ciecamente dei paesi che già una volta hanno provato a portare la guerra nel mondo! Ma avete sentito le parole di Kougami, di lui mi fido e poi c'è Momochi. Lui di certo ha fatto grandi cose, terribili forse, ma grandi! Per portarlo a parlare in quel modo la minaccia che ha dovuto affrontare dev'essere qualcosa di mai vista prima."
    Nuovamente vi fu una pausa che nessuno si sentì in diritto di riempire. Jinobu sentiva il battito del cuore accelerare per la tensione, solo il Kokage poteva ancora salvare la situazione e permettergli di portare in tavola le prelibatezze preparate per l'occasione.
    "Vi scongiuro, questa non è solo la nostra guerra, l'armata dei demoni è intenzionata a distruggere il mondo e non si fermerà con la distruzione di Kiri... So che vi chiedo molto, ma dobbiamo unire le forze e bloccare la sua avanzata ad ogni costo!"
    Akira Watanabe era in ginocchio, la testa china e le braccia tese. Un simile atto di sottomissione non si era mai vista e riuscì a scuotere perfino l'animo del Kazekage.
    "Credo che non sia il caso di arrivare a infangare il proprio orgoglio in questa maniera. Temo che abbiate ragione, se Kiri cade quest' armata non si fermerà. È per questo che devo pensare alla protezione di Otogakure, non posso sguarnire il villaggio nell'eventualità che la minaccia possa raggiungerlo. Ciò nonostante Kougami si è già reso disponibile a guidare un contingente di volontari, gli affiderò due membri del quintetto e darò ordine di iniziare immediatamente il reclutamento!"
    Il Kokage era perentorio e anche i membri più giovani dovettero riconoscere l'autorità delle sue parole. Nessuno sembrava più intenzionato a mettere in dubbio la veridicità della minaccia, ma allo stesso tempo avevano tutti delle riserve sulla strategia da attuare. La linea tracciata da Oto diede un appiglio a Kazekage e Raikage che non dovettero far altro che emularlo, mentre l'Hokage rimase silenzioso. Sembrava quasi che stesse tenendo una discussione interna a sé stesso e quando alla fine decise di prendere parola nessuno si accorse del sorrisetto che si dipinse sul viso dell'uomo alla sua sinistra.
    "Konohagakure assicurerà tutto l'aiuto bellico possibile. Non possiamo permettere che uno dei Cinque venga spazzato via, sarebbe un danno per tutti e darebbe un assist ai restaurazionisti di Iwa oltre che agli unionisti dei Paesi Minori, non possiamo permettere che la nostra egemonia venga messa in discussione!"
    La verità era più probabilmente che dal punto di vista geografico Konoha sarebbe verosimilmente stata la vittima successiva a Kiri e l'Inuzuka preferiva combattere nel Paese dell'Acqua che portarsi la guerra sotto casa.
    La discussione sembrava giunta al termine, il Mizukage aveva ottenuto più di quanto si sarebbe aspettato quella mattina al suo risveglio e Jinobu fece cenno ai ragazzi di iniziare a servire, dopo le chiacchiere era finalmente giunto il suo momento.
    Purtroppo per lui c'era qualcuno che non era d'accordo, qualcuno il cui nome era stato tirato in ballo più volte, ma che da buon soldato non aveva aperto bocca fino a quel momento.
    "So che alcuni di voi non gradiscono la mia presenza, ma secondo me stiamo sbagliando strategia."
    La sentenza di Kisuke Momochi cadde come un fulmine a ciel sereno e tutti nella stanza si fecero muti, nessuno di loro aveva l'ardire di contraddire il Sennin nel merito di un piano di battaglia.
    "Sicuramente la difesa di Kiri è prioritaria, ma sarà tutto inutile se non mandiamo il Moryou a guardare le margherite crescere dalla radice. Se tagliamo la testa al serpente l'intero corpo morirà, ma non è vero il contrario. Se ci limitiamo a sconfiggere questo esercito tra qualche anno ci troveremo punto e a capo. L'unico problema... È capire come farlo."
    Jinobu lanciò mentalmente all'uomo tutte le imprecazioni di cui era capace, tutto si sarebbe freddato, le consistenze si sarebbero alterate. Kisuke Momochi stava rovinando il suo lavoro, tutti i suoi sottoposti erano in preda al panico e non sapevano che fare.
    Come prevedibile la conversazione si mosse a supposizioni, nessuno conosceva la reale potenza del demone e potevano muoversi solo seguendo la teoria. Sembrava che la situazione avesse raggiunto un punto morto e tolta l'idea di un manipolo di Jounin che lo affrontasse direttamente a Tsuki, non c'era molto sul tavolo. Fu a quel punto, quando sembrava che non ci fosse più molto da dire, che l'uomo dagli occhi verdi alla destra dell'Hokage si fece timidamente avanti.
    "Perdonate se mi intrometto, ma in previsione di questa situazione ho fatto un po' di ricerche. Ci sono quattro demoni ribelli che si sono uniti ai nostri shinobi durante l'incidente di Tsuki, mi sono permesso di riunirli, sono certo che potranno aiutarci se mi accordate di farli entrare."
    Un mormorio diffuso riempì la sala, nessuno di loro conosceva l'uomo della foglia e questo era forse uno dei più grandi vanti di Saburo. Aspettò con calma che gli altri si confrontassero e non appena ebbe il consenso di tutti si espresse in un ampio sorriso.
    "Vieni avanti, Yusuke!"
     
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    L'Orgoglio Ferito della Roccia

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    Il maniero, che una volta doveva essere stato di una qualche nobile casata, ormai cadeva a pezzi. Strati di muffa adornavano gli angoli e le pareti di buona parte delle stanze e parecchie tegole mancanti facevano sì che ai piani superiori, ogni volta che pioveva, ci fosse uno stillicidio di gocce che andavano a deturpare ancora di più i già malridotti tatami.
    L'ombra dalle fattezze umanoidi fuoriuscì dal terreno e andò ad assumere una forma tangibile, per poi avvicinarsi a passo lento all'unica scrivania e all'ometto intento a scrivere alla luce di una torcia.
    "Spero che tu abbia fatto il tuo lavoro, umano!"
    Quell' essere gli metteva i brividi. Non era ancora ben certo di cosa fosse ma, quando si era presentato a lui la prima volta, lo aveva salvato dal baratro in cui era ormai sprofondato e gli aveva gettato un'ancora di salvezza in cui mai avrebbe potuto sperare.
    "Non è stato semplice. Le Associazioni non vedono di buon occhio una contrapposizione diretta ai grandi maiali..."
    Matsuda aveva un certo timore nel rivolgersi a quell'essere. Certo, i leader delle associazioni con cui aveva dovuto interagire negli ultimi mesi facevano una paura tremenda, ma nulla di paragonabile a quell'entità sovrumana.
    Per un attimo tornò con la mente al giorno in cui si erano incontrati per la prima volta; per poco non se l'era fatta nei pantaloni vedendo quell'ombra spuntare dal muro. Aveva corso e gridato, ma alla fine Kurayama era riuscito a spiegargli chi fosse e quali fossero i suoi scopi. Gli aveva portato una quantità di Oro e Ryo che non aveva visto in tutta la sua vita, e dire che, se anche ora poteva apparire come un povero disgraziato, il volto rugoso a ricordare la faccia di un bulldog e i baffi ingialliti dall'eccesso di fumo, in gioventù l'uomo era stato potente. Era quasi stato potente, in realtà. Suo padre era il Daimyo del Paese della Terra, quando ancora il Paese della Terra viveva il suo splendore, prima che i cinque maiali lo radessero al suolo.
    Aveva vent'anni quando il mondo aveva cominciato a sgretolarsi ai suoi piedi, e suo padre aveva concesso pieni poteri allo Tsuchikage per difendere il Paese dalle mire espansionistiche degli altri villaggi. Marou Kaguya aveva cospirato con i Kage per uccidere il Raikage e così Otogakure aveva potuto sorgere, mentre Iwa e Kumo cadevano nell'oblio.
    Aveva visto morire suo padre tra le sue braccia. Era solo grazie alla rete di fedelissimi che ancora gli prestavano sostegno che era riuscito a sopravvivere alla guerra.
    In qualità di erede del Daimyo i restaurazionisti di Iwa lo vedevano come il naturale collante per la loro nazione caduta in rovina e per anni gli avevano garantito una vita dignitosa e sicura. Poi però le cose erano cambiate, il numero dei suoi fedeli era calato e, con l'avvento di Associazioni sempre più importanti nelle Terre di Nessuno, molti avevano trovato occasioni per facili guadagni che rendevano l'assenza di un governo strutturato piuttosto vantaggiosa.
    Ricordava la rabbia che lo aveva fatto avvampare quando aveva letto di Ryu il Drago e di come il lurido assassino fosse stato infine eletto Raikage, il Paese del Fulmine era stato restaurato e quello schifoso traditore della propria patria aveva ottenuto tutti gli onori.
    Matsuda aveva dovuto lavorare nell'ombra, trovando rifugio dai pochi lealisti ancora in circolazione, e negli ultimi anni era riuscito a crearsi una rete di conoscenze che si poggiava su tutta Iwa. L'idea che il Paese dovesse tornare alla sua grandezza aveva ispirato sempre più persone e, per quanto le Associazioni fossero in origine piuttosto contrarie, era riuscito a stringere legami anche con molte di loro. L'assenza di un governo poteva essere una buona soluzione per gli affari, ma un governo connivente in grado di garantire protezione politica di certo sarebbe stato ancora meglio.
    "Ricordami quando ti ho lasciato intendere di poter sprecare il mio tempo!"
    L'intensità dell'ombra umanoide si era fatta ancora più oscura. Era difficile per un occhio umano riuscire a definire con precisione quello che stava guardando: Kurayama si muoveva con le fattezze di un uomo, ma al tempo stesso la sua stessa essenza sembrava surreale e composta di ombre. I vestiti eleganti che lo coprivano concorrevano in larga parte alla sua definizione.
    "Oh no, lungi da me volervi fare infuriare o perdere tempo."
    "Abbiamo il nostro esercito?"
    "Sì, ce lo abbiamo!"
    "Molto bene, il Padre sarà soddisfatto. Tieni, queste casse contengono abbastanza tesori da rendere fede alle promesse che hai fatto."
    Da un'ombra sul pavimento comparvero quattro casse che l'uomo immaginò colme di oggetti preziosi. In quello i demoni erano sempre stati affidabili, fin da quel primo giorno in cui lo avevano coperto di ricchezze in cambio della sua collaborazione, ma a lui tutto quello non importava. Certo non lo rifiutava e, dopo una vita passata in fuga, l'idea di potersi finalmente godere i lussi che gli spettavano di nascita lo intrigava, ma quello che voleva veramente era vedere bruciare i Cinque Grandi. Kurayama gli aveva promesso una dimostrazione di forza e quello che il suo esercito da solo era riuscito a fare a Teichi lo era stato di sicuro. Il leggendario Kisuke Momochi era stato costretto alla fuga e, a quanto pareva, perfino un Bijuu era stato schiacciato come se fosse un moscerino. L'esercito dei demoni aveva razziato l'intera isola ed ora lui era lì a gongolare con i loro tesori.
    "Dì agli uomini di muoversi, dovranno radunarsi a Teichi. Lì ci riorganizzeremo e daremo inizio all'attacco decisivo per radere al suolo Kirigakure!"
    "Sarà fatto! Del Paese dell'Acqua non resteranno che un cumulo di macerie... Poi toccherà agli altri! Ricordati quello che mi hai promesso..."
    "Marou Kaguya e Ryuu il Drago non vedranno l'anno nuovo. Il Padre è d'accordo con l'eliminazione preventiva di tutti i leader delle fazioni avversarie... Fa' il tuo lavoro, umano. Non mi deludere!"
    Con quelle parole l'ombra tornò a fondersi con il muro e sparì.
    Matsuda deglutì rumorosamente e tirò un sospiro di sollievo. Gli costava sempre un sacco di energia avere a che fare con lui. Il terrore muoveva ogni sua mossa, ma sembrava che anche quella volta fosse andata bene. Certo era stato un po'ottimista nelle sue risposte, approssimativo per meglio dire. La paura di una ritorsione da parte dei Grandi Villaggi rendeva piuttosto scettiche la maggior parte delle Associazioni dall'imbarcarsi in una guerra diretta del genere, di certo però la debacle di Teichi aveva dato un bello scossone. Le notizie si erano sparse a macchia d'olio per quanto Kirigakure cercasse di tenere i fatti segreti e lui confidava di ottenere ancora più uomini nei giorni a venire.
    Di per sé però non poteva certo lamentarsi; fino a quel momento aveva ottenuto il supporto di una buona fetta delle associazioni più importanti. Con Makui aveva concordato la partecipazione di Hashi all'operazione: i suoi Mukenin si sarebbero mossi da indipendenti così da non poter essere ricondotti all'Associazione, ma avrebbero dato fondo a tutte le risorse di quello che una volta era il Covo e di tutte le altre singole Associazioni che erano poi confluite nel Ponte.
    "Padre, presto avremo la nostra vendetta!"
    Era riuscito con difficoltà ad ottenere udienza con Momoka e lei aveva riportato la sua proposta alla Voce di Azai. A quanto pareva il Sindacato avrebbe mosso i suoi uomini a supporto della sua causa, anche se il prezzo sarebbe stato fin troppo alto. Dato che a pagare erano i demoni e visto il premio in ballo non si era però certo fatto problemi.
    Gli Scacchi si erano mostrati più ostici del previsto da convincere ed era riuscito a strappare loro soltanto la promessa di mandare pedoni, torri e qualche alfiere, ma era pur sempre meglio di niente.
    Il supporto delle organizzazioni maggiori gli aveva consentito di fare leva su tutte le realtà più piccole, che in proporzione avrebbero potuto beneficiare di ricompense importanti pur avendo le spalle coperte dalla loro presenza. Era così che aveva ingaggiato gli uomini di Maguma, i Kuroi Hai, quel che restava della Tela e numerose altre organizzazioni i cui nomi non valevano neanche la pena essere ricordati. Pochi giorni prima era riuscito a mettersi in contatto con Sasuke Nabare, un vecchio trafficone che adesso bazzicava con una piccola Associazione che navigava nei guai, schiacciata tra il Covo e le Associazioni di Maguma. Quando aveva incontrato la leader delle Yukitora pensava che avrebbe potuto presentarsi facendo lo splendido e il magnanimo, elargendo doni e pretendendo così la completa assoggettazione da parte di un gruppo che altrimenti avrebbe presto potuto vedere la propria fine. La donna, al contrario, gli aveva fatto gelare il sangue nelle vene. I suoi occhi eterocromi lo avevano passato da parte a parte ed era stata praticamente lei a condurre la trattativa. In proporzione era stata l'affiliazione più cara, considerando che non aveva nemmeno ottenuto il numero di uomini su cui avrebbe potuto fare affidamento.
    In quel marasma di mercenari, molti avevano però rifiutato la sua proposta per paura di attaccare Kiri o nella speranza che le altre Associazioni si indebolissero durante la guerra, lasciando loro modo di accaparrarsi parte della loro influenza.
    "Poche settimane e di Kirigakure non resterà che un lontano ricordo!"
    Matsuda si era però fatto i suoi calcoli ed era certo che gli uomini che era stato in grado di reclutare fossero sufficienti per dare il dovuto supporto all'esercito dei demoni. I Cinque Grandi Maiali, come li chiamava lui, avevano lasciato per anni che tutta la feccia si radunasse nelle Terre di Nessuno, che l'ordine abbandonasse quelle contrade e la devastazione la facesse da padrona, dittatori spietati che volevano imporre la sottomissione con il terrore. Le Terre di Nessuno però si erano leccate le ferite, nuovi nuclei abitati avevano preso vita e si erano organizzati. Nuovi centri di potere si erano formati e molti di questi giravano attorno alle organizzazioni Mukenin, che si erano sempre più ampliate e rafforzate. Presto, come una marea di odio i Cinque avrebbero avuto indietro quello che si meritavano, e sarebbero stati proprio i frutti di ciò che loro stessi avevano prodotto a portare loro la giustizia che meritavano.

    Edited by Burbear - 28/3/2024, 23:33
     
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    Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale

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    Gli uomini della coalizione dei grandi villaggi si muovevano a passo lento nelle ormai desolate terre del sud. La foresta che li proteggeva dalla vista degli avversari non rappresentava un grosso ostacolo per loro vista la presenza delle guide native di quelle zone.
    Erano ormai ore che stavano appostati in silenzio in attesa del passaggio dell'esercito avversario. Sapevano che numerosi mukenin si erano uniti alle fila dei Demoni ed una colonna di uomini sarebbe presto passata da quel valico montano per raggiungere lo schieramento principale del Moryou. Al freddo e con le articolazioni intirizzite dal freddo gli uomini si scambiavano occhiate fugaci, la strategia di guerriglia portata avanti nelle ultime settimane per frenare l'inesorabile avanzata delle forze nemiche stava dando i suoi frutti, ma a che prezzo? Ogni giorno arrivavano rapporti relativi a nuove guarnigioni mandate in rotta dal nemico. Fin dal momento della notizia della disfatta dell'esercito di Kirigakure guidato da Kisuke Momochi, il morale degli uomini della Nebbia era crollato a terra. Come se non bastasse notizie certe da Kirigakure avevano riferito che Kyoshiro Tsuuya lottava in quel momento tra la vita e la morte. Il chakra maledetto di quel demone enorme che aveva sconfitto il Gyuki sembrava averlo orrendamente contaminato, rendendogli impossibile fare ricorso alla bestia codata.
    Se perfino un mostro come lui aveva fatto quella fine come speravano loro di potersela cavare meglio?
    Sen si stava letteralmente cagando addosso, le provviste erano scarse e si erano ridotti a mangiare di tutto, purché potesse dare loro nutrimento. Era sopravvissuto non sapeva neanche lui come alla battaglia di Teichi e sperava che l'orrore fosse finito, ma non era così. Il suo gruppo era stato dislocato sulla linea del fronte e la loro missione era fin troppo importante per essere affidata ad uno come lui. Ovviamente nessuno si aspettava che lui potesse essere l'ago della bilancia, ma il suo ruolo era più che altro legato alla logistica. Lui e quelli del suo livello erano lì per assicurarsi che i pezzi da novanta dovessero preoccuparsi solamente di uccidere più avversari possibili. La squadra medica era qualche kilometro più a nord, pronta ad accogliere il loro ritorno dopo il raid.
    Arrivano, state pronti!
    L'enorme Ninja di kumo accanto a lui aveva sussurrato la frase stringendo con forza la spada già sguainata cui erano collegate delle catene cremisi.
    A valle un gruppo di nemici stava sfilando ignaro di quello che da lì a poco sarebbe successo. La tensione era palpabile nell'aria e quando il fischio di un merlo rimbalzò nella vallata.
    "Per Kiri!"
    Sen sì lanciò in avanti, tutto attorno a lui gli altri fecero lo stesso gridando il nome del proprio villaggio.
    Il ninja di Kumo esplose in una tempesta di chakra Raiton che lo avvolse trasformandolo in una sorta di lampadina gigante, poi sparì letteralmente dalla vista per poi ricomparire in mezzo allo schieramento nemico creando sconquasso a suon di calci e pugni.
    "Avanti Svarog. Allievi della scuola Kyoya rendetemi fiero! Armeria di Babilonia!"
    Un automa era partito in volo scagliandosi sulle fila nemiche, mentre l'uomo di Oto che aveva urlato quella frase andò a richiamare a sé una peculiare armatura, una sorta di mankini dorato comparve a coprirgli le grazie, mentre un mantello viola leopardato gli cadeva dalle spalle. Sfoderando due propulsori a livello delle gambe partì in volo con una risata sguaiata.
    Tra le fila avversarie Ishui Baitei non poté non notare l'enorme eleganza del portatore del Gobi e sbattendo una mano per terra fece fuoriuscire un pilastro di roccia che andò a colpirlo in pieno rispedendolo da dove era venuto.
    "Siamo circondati!
    Arima era andato nel panico, gli anni passati sul monte Myoboku lo avevano reso certamente più pusillanime e meno adatto a quegli scontri aperti. Urlando si riparò dietro alle spalle di Kaede facendogli segno di proteggerlo. Un nugolo di Shinobi si lanciò contro il portatore del rinnegan, che sollevò entrambe le mani rilasciando due scsriche gravitazionali opposte che fecero piazza pulita attorno a lui, sia di avversari che di alleati lasciandolo da solo al centro di uno spiazzo solitario.
    Kougami si scagliò contro quella figura solitaria che sembrava essere uno dei pezzi grossi dell'esercito avversario. Kaede sollevò la mano destra rilasciando il potere del suo Banshou Tenin e bloccando l'avversario a mezz'aria. Le sue mani si cinsero poi a comporre una serie di sigilli che lo portarono a sputare dalla bocca una lama d'acqua che tranciò di netto il corpo del Kyoya ad altezza del busto. Una gran quantità di grida si sollevarono nell'aria da parte dei discepoli della scuola Kyoya nel vedere il proprio maestro abbattuto in quel modo. Lo diceva sempre d'altronde che la fine dei Taiuser sarebbe presto arrivata a causa dei ninjutsu sbroccati.
    Kaede dal canto suo stava per tirare un sospiro di sollievo, quando la lampadina gigante di kumo, che aveva appena finito di tirare calci elettrici a un cultista , gli si avventò addosso caricandolo di peso e sbattendolo poi a terra di testa.
    Un ghigno si dipinse sul volto dello Yotsuki nel vedere lo sharingan nell'orbita sinistra. L'uomo non era mai stato troppo furbo, ma nei suoi numerosi scontri era stato in grado di creare l'associazione mentale "sharingan = Genjutsu brutti" e così andò a sollevare la mano destra le cui prime due dita erano circondate di chakra raiton.
    "Questo me lo prendo io!"
    Con un unico movimento affondò le dita nell'orbita sinistra per poi strappare via l'occhio e farlo esplodere strizzandolo nella mano.
    Kaede esplose a gridare dal dolore contorcendosi a terra, mentre Okami chiudeva il medio lasciando che il solo indice rimanesse intriso di raiton. Un omone bruno gli mostrava il culo e il medio gridando qualcosa riguardo al fatto che il raiton faccia cagare. Okami sorrise e sollevò l'indice fissando quel nuovo bersaglio incastonato tra due glutei, per poi partire nuovamente alla carica.
    La battaglia continuò per diverse ore e quando finalmente venne suonata la ritirata i regolari se la diedero a gambe tornando verso la squadra medica, entrambi gli schieramenti avevano subito duri danni e gravi perdite, ma nonostante le tragedie personali, quella per i rapporti ufficiali non sarebbe stata che un'altra normale giornata di guerriglia in cui non era successo niente di nuovo sul fronte occidentale.

    Buon Pesce d'Aprile dallo Staff del GdR!



    Edited by Supaku - 4/4/2024, 19:04
     
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    L'Ombra di un Generale




    Inspirò, sentiva la gola raschiargli ed il sangue scivolargli giù nello stomaco. Il sapore del ferro fu la seconda cosa che sentì. Percepiva. Poteva di nuovo sentire. Gorgogliò in quella che a malapena sembrava una risata. Non era più abituato, la prigione di oscurità e lamenti in cui era stato confinato era l'unica cosa che aveva conosciuto per millenni. Ora, finalmente, qualcosa era cambiato. Aveva avvertito uno strattone alla base della nuca, poi era stato sollevato verso l'alto ed un secondo dopo...Aveva respirato.
    Sputò di nuovo, sangue, sangue dappertutto. Era davvero così terribile, esser rinati? Musashi cercò di capire dove fosse, di orientarsi. Ogni cosa era così incredibile, così...nuova eppure vecchia. Ricordarsi come funzionavano i sensi fu la cosa più difficile. Un secondo dopo un urlo echeggiò alla sua sinistra, tornò a sentire. Urlò a sua volta. Sentì la pressione dell'aria e del suono contro le corde vocali. Sollevò qualcosa, un arto, cosa era? Un braccio, sì, un braccio. Lo sollevò verso il viso e cercò di toccarsi. Era...era vivo. Perché non vedeva allora? No ecco, ecco perché. Si strofinò via il denso strato di sangue e grasso che gli bloccava gli occhi e tornò ad aprirli. Occhi castani iniettati di sangue. Sbattè le palpebre, una volta, due volte. Si trovava in una grande...grotta? sala? No, come si chiamava...Salone! Esatto. Doveva essere stata una sala da ballo, poteva vederne gli architravi, le vetrate ma ormai ogni cosa era tinta di un rosso scuro ed incrostato. Il cielo dalle finestre era nero e grigio, nuvole rosse si addensavano nell'aria.
    Tossì, gorgogliò. Ancora non riusciava a parlare. Provò a sollevarsi ma le gambe non gli ressero. Cadde a terra sentendo il dolore dell'impatto con il pavimento di marmo duro e freddo. Ah, il dolore! Unica macchina motrice di tutti gli uomini. Quello lo ricordava bene.
    "Riesci...riesci a sentirmi..."
    Un mezzo urlo sguaiato gli uscì dalle labbra. Aprì e chiuse la mascella. I denti bianchi ed affilati brillarono in mezzo al sangue.
    "Usadfh...iiiiii..." Musashi riuscì finalmente a trovare la vocale. Aveva voglia di ridere, era rinato, finalmente ma non riusciva a controllare il suo corpo. Che vergogna per uno come lui. Una vergogna inaccettabile.
    Appoggiò entrambe la mani sul marmo freddo e si tirò su. Con un urlo disperato si sollevò e tornò a sedere. Poi scosse la testa e finalmente le parole gli uscirono. Piano piano, stava riacquisendo il controllo. Lui del resto era stato un genio, un luminare della tattica da guerra, reimparare a caminare e parlare era un gioco da ragazzi.
    "Sì....sì...tii seuntooo" Scosse la testa, aprì e chiuse la bocca. Ce la stava facendo. Si guardò intorno. Alla sua destra e sinistra c'erano altre...figure umane ricoperte di sangue che si contorcevano nel terreno. Coperti come lui. Ancora stavano urlando. Figure incappucciate di nero stavano pungolandole con ferri e bastoni. Cercando di rimetterle in piedi. Lui, invece, era il primo ad essersi messo seduto. Sentì il petto gonfiarsi e la sua mente subito analizzò la sensazione, il ricordo di ciò che era quel sentimento: orgoglio. Sì, lui era stato un genio, un luminare. Si sarebbe alzato di lì a poco e...E cosa?
    Le memorie cominciarono ad affiorargli nella testa come aghi affilati ed un altro urlo gli uscì dalle labbra.
    "Ricordi???" La voce sembrava provenire da dentro di lui, nel suo petto, nella sua testa.
    "RICORDI???" La voce si fece più grossa, più potente e lui urlò di nuovo, finendo di nuovo disteso a terra. Sputò sangue poi riuscì ad articolare parole.
    "Sì! SI! RRicoddo! Mio sinore...mio signore...perrdonami! SSono qui solo per servvirti!"
    L'uomo incappucciato al suo fianco si tirò subito in piedi. "Che cazzo...questo...questo è...incredibile!"
    Musashi si tirò in piedi, le gambe che tremavano, il sangue che colava da ogni parte ma a lui non importava. Il fisico gracile tradiva una forza ad una tempra morale che era inumana. Del resto era un Demone.
    "Ricordo il mio posto, mio signore!"
    "Bene! Allora è tempo che tu ti muova con il mio esercito, richiamarti è stato difficile ma ho bisogno del tuo acume...della tua arguzia...del tuo potere...Vi ho richiamati tutti, mezzi figli, tutti, perché il tempo della guerra è giunto..."
    Muashi annuì nervosamente, sfregandosi le mani le une nelle altre. "Sì, mio signore, sì...farò quello che dev..." la sua mano corse al fianco e lo trovò spoglio. "Dove...dove è la mia spada, mio signore?"
    Il silenzio rimase a rispondergli.
    Si girò di scatto, dal punto in cui era nato poteva vedere frammenti di ossa e carne. Si gettò sul terreno e rovistò tra quelli che erano i resti di un altro corpo umano, il corpo da cui era stato fatto rinascere. Doveva esserci, doveva per forza. Sennò come era potuto rinascere? Come...
    "È inutile che cerchi, non c'è...La tua rinascita, così come molte di altri miei figli...è solo temporanea...La guerra chiede molti sacrifici e il tuo sarà uno di questi..."
    "Cos...ma mio signore!" si girò in ginocchio, giungendo le mani in preghiera verso il cielo rannuvolato color del sangue. "Mio signore, non posso usare il mio potere senza di lei...sono come uccello senz'ali!"
    "Dovrai ricercarla da solo, tu come molti altri siete rinati così. Alcuni dei miei figli più forti sono prigionieri io ho bisogno di voi e voi di me...Queste..."
    L'uomo incappucciato si avvicinò a lui per porgergli delle vesti ed un rotolo. "Sono le informazioni che ho sulle tue vestigia...È tempo che reclami il tuo vero potere e torni a servirmi...questo rituale non durerà molto...Tu ed i tuoi fratelli avete poco tempo...andate e servitemi..."
    Musashi afferrò le vesti e le indossò, abiti sudici e sporchi di sangue ma non importava. Se le parole del padrone erano vere non c'era tempo da perdere. Erano in guerra e tempi di guerra richiedevano sacrifici disperati. Ora lui doveva servirlo ed uccidere l'ingrato bastardo che osava brandire la sua lama. "Mio signore, ti ringrazio, non potevi che darmi dono più grande che strappare dal petto il cuore pulsante dell'umano che ha osato brandire la mia vera anima per tutto questo tempo! Sia lode a te, oh Mouryou!"
    Il rombo nella sua testa sparì e con esso ogni sensazione. Era di nuovo solo.
    Si finì di vestire ed afferrò il rotolo dell'uomo con decisione. "Ho bisogno di un'arma, dov'è l'armeria...ed un cavallo, veloce, non c'è tempo da perdere..." L'uomo indicò dove poteva trovare le armi ma non il cavallo. Come era possibile che in questa terra non ci fossero cavalli? Incredibile.
    Poi, non appena uscì dal tempio capì il perché: erano in mezzo al mare. Su un'isola. "Cazzo!" Beh, non c'erano inconvenienti che non fosse in grado di risolvere, non c'era niente che non fosse in grado di sconfiggere. Afferrò una katana dall'armeria e, per buona misura anche una wakizashi, cinque dosi di veleno dal colorito ammiccante ed una bandoliera di kunai e dei meccanismi strani che però, ad un occhio esperto come il suo e geniale altrettanto, gli rivelarono subito il loro funzionamento. Srotolò la pergamena e osservò il volto dell'uomo a cui avrebbe dovuto dare la caccia.
    "Pallido, con capelli rossi e magrolino...una facile preda..." Si legò la katana alla vita e riarrotolò la pergamena per infilarla nella tasca del kimono. Non aveva bisogno di sapere la direzione "lei" lo stava chiamando. Sentì le labbra sottili allargarglisi sul volto, rivelando i denti appuntiti. Il sangue residuo della sua nascita evaporò dalla sua pelle mentre il Kimono, prima nero, cambiava colore per adeguarsi alla sua volontà, divenendo di un marrone scuro, rossastro e lasciando intravedere sulla schiena una mezza luna di un blu profondo.
    Sarebbe andato da lei e l'avrebbe strappata dalle mani di quell'insetto. Poi l'avrebbe usata per cavargli il cuore dal petto, oh sì...l'ultima cosa che quel "Raimu" avrebbe visto sarebbe stata la sua stessa spada conficcarglisi nelle orbite oculari una dopo l'altra. La bava gli colò lungo il mento. Era da millenni che non mangiava più umani, chissà se avevano ancora lo stesso sapore.
    "Signore..." Un'ombra si era avvicinata a lui e Musashi li guardò dall'alto in basso, solo ora realizzava una cosa che avrebbe dovuto essere scontata: ogni generale ha bisogno del proprio esercito. "Solo trenta uomini...basteranno."
    "Seguitemi....andiamo ad Ovest!" Gli uomini urlarono alle sue spalle e sollevarono uno stendardo rosso. Musashi sollevò la mano destra e scintille azzurrine uscirono dalle sue dita, andando a creare sul campo rosso una mezzaluna blu.
    Era tempo che l'Aotsuki tornasse sul campo di battaglia.
     
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    Piove sempre sul bagnato

    piovebagnato



    Il cielo era nuvoloso quel giorno. Le nubi erano tinte di un grigio topo ma molte avevano cominciato a lasciare il color carbone di poche ore prima. Aveva appena finito di piovere e l'aria era carica di umidità. L'uomo camminava per le strade dissestate di Chikyu con un mantello scuro a coprirgli le spalle ed il cappuccio sollevato sui capelli mori. Era irritato, come sempre del resto. Osservò nervosamente il cielo sopra di lui e guardò di nuovo in basso sul foglio di carta aperto nella mano. Muoversi in quella città era un vero e proprio incubo. Già gli mancavano la foresta verde brillante, le cascate ed il gracidare che contornava il rumore affettuoso di casa sua. Quella terra sporca, fangosa e puzzolente di urina e sudore era una cosa che non gli era di certo mancata negli ultimi anni.
    Saltò una pozza fangosa cercando di tenere fermo il biglietto tra le dita. "Che nome del cazzo han scelto per quella locanda... Siamo nel cuore di Iwa e uno... Merda!" Si era distratto quel poco che bastava per centrare con il piede destro una pozza dal colore denso e marroncino. La faccia gli si smorfiò e per poco non ebbe un conato di vomito. Scrollò il piede con il sandalo mentre sentiva il liquido colargli tra le dita dei piedi. "Quella è... Coghh" Dovette appoggiare una mano al muro sbeccato e privo di intonaco trattenendo il rigurgito e portandosi la mano alla bocca. La ritrasse subito, accorgendosi che tra le dita teneva ancora il foglietto.
    "Ricomponiti, cazzo... Sei stato un Ninja che avrebbe fatto tremare il deretano di molti Regolari... Non puoi fare questa figuraccia... Non qui..." Si tirò in piedi di nuovo, cercando di tenere a bada lo stomaco in subbuglio. Che si fosse rammollito in questi ultimi anni? No, non era possibile. Non lui, non dopo tutta la fatica che aveva fatto. "Quale fatica? Se hai passato gli ultimi due anni a mangiare molluschi sotto l'ombra delle palme..." Si guardò intorno, chi aveva parlato? Ultimamente sembrava quasi sentire nella sua testa una voce che cercava di smentirlo, più di frequente di quanto amasse ammettere. Forse era la sua coscienza o forse semplicemente stava cominciando ad impazzire, era una probabilità.
    Riprese a camminare, schiena dritta, testa sollevata e petto in fuori, come se quel momento imbarazzante non fosse mai successo. Un passante cambiò lato del marciapiede mentre un carretto trainato da due asinelli passava al fianco e gli schizzava la tunica rossa macchiandola di fango. Imprecò sottovoce.
    "Cazzo, no! Ma che... Ma perché capitano tutte a me??" Pensò mentre si chinava per osservare il lembo della tunica e si guardava intorno disperato in cerca di una fontana. La vide e corse subito al bordo, cercò di arrampicarsi su di essa mentre con la gamba stesa, cercava di passare il lembo sull'acqua. "Dannazione... Dannazione... Non va via! Ahhhhhhh!" Urlò sollevando il pugno verso il cielo. "Perché?? Perché a meeee???" Alcuni passanti si allontanarono rapidamente dalla fontana guardandolo strano, mentre lui sfregava freneticamente con le mani sul lembo della tunica macchiato di fango. Dopo qualche minuto riuscì a ripulire la tunica alla buona. Nella foga di pulirla subito aveva perso di vista il criminale che aveva osato schizzargliela e ora non riusciva più a ritrovarlo. Oh, se avesse avuto il tempo per mettergli le mani intorno al collo... Avrebbe fatto giustizia per quell'offesa.
    Abbassò il piede e tornò a camminare verso la sua direzione. Ora sembrava essersi un po' calmato. Passò la successiva mezz'ora a girare tra i vicoli fino a quando non riuscì a trovare quello che stava cercando.
    Era una vecchia locanda, l'insegna era caduta, probabilmente di recente. I vetri che davano sulla strada erano mancanti, così come l'intelaiatura di legno delle finestre. No, non mancanti, erano proprio state divelte. Varcò la soglia sentendo il vetro scricchiolare sotto i suoi sandali. I tavoli erano spezzati, le sedie rovesciate, il vetro era da tutte le parti e c'erano anche macchie annerite sul legno delle pareti, causate probabilmente dall'uso di esplosivi o da delle fiamme. Si guardò intorno e per un attimo non sembrò esserci nessuno. Si chiese se aveva sbagliato. Tornò verso l'esterno e guardò sulla porta dell'ingresso, no era il nome giusto: "La Rossa Signora Fortuna".
    Abbassò lo sguardo verso la propria tasca e un movimento repentino nella stoffa gli confermò che era davvero lì che doveva trovarsi. Inspirò e riprese a camminare nel salone di ingresso. Il silenzio regnava sovrano, poi venne interrotto da un rumore ritmico. Qualcuno stava spazzando. Si avvicinò nella penombra a malapena illuminata da delle lampade a olio.
    Una figura era china in avanti, impugnava una scopa nella destra e una cassetta nella sinistra. Era leggermente ricurvo, aveva folti capelli grigi ed un paio di altrettanto folti baffi della stessa colorazione. Sembrava un uomo sulla settantina, pelle grinzosa e cadente, occhi così pieni di rughe da essere quasi chiusi.
    "Siamo chiusi... Apertura da definire..." disse l'uomo senza neanche sollevare la testa verso il nuovo venuto.
    "Sono in cerca di un amico..." disse il Ninja abbassando l'orlo del cappuccio e rivelando una faccia dai capelli corvini, due occhi bicromatici e dei segni sulle guance, inconfondibili per chi sapeva di cosa si trattasse.
    "Le mie fonti mi dicono che è qui... Si chiama Kaede Nakayama... Lo conosci?"
    Il vecchio scosse la testa, continuando a spazzare.
    "Come ti ho detto, siamo chiusi..."
    "Sai è strano..." disse il Ninja sollevando una sedia e salendovici sopra prima di sedersi su un tavolo e osservare il vecchio mentre infilava una mano nelle pieghe del mantello. "Kaede non è mai stato bravo a nascondersi... Però ultimamente ha fatto dei progressi incredibili... È un Ninja sai... Amava andare in giro con il cazzo fuori dal kimono a far vedere a tutti quanto lo aveva grosso... Però... Qualcosa deve essergli successo se ha deciso di mascherare il proprio Chakra, la voce e l'aspetto... disse l'uomo mentre estraeva dalla tasca quello che sembrava un piccolo oggetto.
    "Sembra un Ninja che sa il fatto suo... Non lo farei incazzare fossi in te..." Rispose il vecchio continuando a spazzare imperterrito, la testa china.
    Il Ninja annuì, rispondendo con un "Uhm Uhmm..." Appoggiò quello che teneva tra le mani sul tavolo. Altri non era che un piccolo rospo dal dorso rosso e mattone, con lunghe strisce verdi e nere sulla schiena. L'animale gracidò con decisione prima di ruotare sulla superficie di legno e puntare con il muso proprio verso il vecchio. Un altro gracidio deciso.
    "Purtroppo però non hai ancora imparato a mascherare il tuo odore... Kaede... Bei baffi a proposito."
    L'anziano baffuto sollevò la testa per fissare il rospo per qualche secondo. La scopa in mano, la bocca tesa in una linea sottile, gli occhi socchiusi che si aprivano leggermente, rivelando il barlume di una sclera violetta ed un'iride rossa.
    "Ho provato con le buone... Arima..." La voce era improvvisamente cambiata, non più fragile ed esile, ma decisa e piena. Nell'aria sembrò esserci quasi un movimento leggero, un cambio di pressione. "Non farmelo dire con le cattive..."
    L'altro ridacchiò, imperturbato, mentre quello raddrizzava la schiena e si strappava dal viso la pelle grinzosa rivelando il volto liscio di un ventenne.
    "E io ti ho detto che sono venuto solo per parlare... Quindi..." Disse l'eremita, mentre spingeva con il piede la sedia su cui era salito poco prima in direzione di Kaede. Quella strusciò sul pavimento per tre metri prima di rovesciarsi sul lato ed arrestare la propria corsa. Un grosso spreco di teatralità, a suo parere. Oggi proprio non gliene andava bene una, ma del resto quando era stata l'ultima volta che le cose erano andate proprio come voleva lui? Mai.
    Doveva cominciare a farci il callo.
    "Siediti e parliamo... Ci sono delle cose su cui devi essere messo al corrente..."
    Kaede non accennò ad avvicinarsi alla sedia, mentre la sua faccia si scuriva e l'aria tra loro cominciava a divenire tesa. Arima sospirò, mentre i cocci di vetro per terra e le sedie ribaltate cominciavano a tremare leggermente e sollevarsi da terra.
    L'aria vibrò, le poche finestre rimaste cominciarono a sferragliare, le bottiglie sul bancone tintinnarono.
    Arima inspirò e sbattè con violenza la mano sul tavolo. Un botto potente, rilasciato in una specie di piccola onda d'urto che quasi spazzò via sedie e tavoli intorno a lui per qualche metro. Il silenzio tornò a cadere tra loro.
    "La fai finita?" Disse il moro lasciandosi sfuggire un verso di sofferenza. "Non sono venuto qui per ucciderti, non che la tua taglia non sia apprezzabile e tu sai... Quanto io adori un bel gruzzoletto facile... Ci sono obiettivi più grandi di te, caro il mio discendente delle Sei Vie..." Arima infilò di nuovo la mano nel mantello ed estrasse altri due piccoli oggetti, appoggiandoli sul tavolo.
    Stavolta erano davvero qualcosa di inanimato. Kaede fece due passi in avanti, quasi incuriosito prima di fermarsi e guardare di sottecchi il Togetsu. Come poteva sapere che non era un'altra trappola, come poteva essere sicuro che Arima non fosse un neofita dell'Hashi pronto a fargli la pelle? Nel silenzio che si era steso tra di loro, il rospino gracidò un'ultima volta prima di saltare oltre il bordo del tavolo ed atterrare sul pavimento. L'animale emise un altro verso deciso prima di cominciare a saltellare verso l'uscita.
    Gli oggetti furono rivelati e il Mukenin sollevò un sopracciglio, interdetto da ciò che stava vedendo.
    "Un vecchio orologio da taschino ed una pergamena sporca... Ti sei messo a rovistare nei cassonetti ora?"
    Il moro sbuffò e lanciò l'orologio all'altro che lo afferrò al volo.
    "Non funziona." disse Arima.
    "Mi hai scambiato per un orologiaio?" Il possessore del Rinnegan fece per lanciarlo indietro ma si fermò a mezz'aria. La sua esperienza nell'arte del controllo del Chakra lo avvertì subito che c'era qualcosa che non andava in quell'oggetto. Le dita si serrarono di nuovo e lo portarono rapidamente al viso, realizzando che il Chakra che permeava quell'affare non era affatto... Umano. Realizzò però che non ce ne era rimasto molto, era solo un'ombra di quello che c'era stato. Come se qualcuno lo avesse prosciugato.
    "Te ne sei accorto subito, eh? Io ci ho messo un po', ma ho realizzato cosa fosse quando ho sentito le voci provenire da Est... Il Mouryou e i suoi amichetti sono tornati... E molti dei Cultisti hanno questi... Oggettini pregni di un potere Demoniaco latente... Molto... Plasmabile... Ed assimilabile...
    All'udire quel nome un brivido scorse lungo la schiena del Traditore del Suono. Ricordava bene che cosa era successo l'ultima volta che lo aveva affrontato, erano stati in dieci a provare a fermarlo ed i loro tentativi erano stati del tutto vani.
    Eppure ora era più forte. Ora c'era almeno un altro Demone dalla sua, un mostro che le voci portate dal vento raccontavano essere più forte di un Bijuu. Idiozie, ovviamente, niente era più forte di un Bijuu.
    "Cosa pensi di fare? Andare a farlo fuori?"
    Arima ridacchiò passandosi un dito sotto il naso e sospirando.
    "Ti sembro scemo?" Inspirò a fondo e appoggiò le mani sul tavolo, reclinando la schiena all'indietro. "Non ho intenzione di infilarmi nella tana del lupo... La caduta di Teichi ha già fatto tremare il culo a tutte le Nazioni, la velocità con cui è caduta... È solo presagio di un disastro imminente... Però..." Disse sollevando l'indice della mano destra e indicando l'orologio che teneva l'altro tra le dita. "Quella è un'opportunità che non posso farmi scappare... Un potere mai conosciuto. La Missiva è un regalo per te... È un elenco dei membri del Covo, beh quello che ne è rimasto, dove si parla della Divisione di Rapimenti e Riscatti... Indovina, indovina... Tra i possibili ostaggi elencati c'era una certa Hanabi..." A quelle parole gli occhi di Kaede si allargarono e la schiena si fece più dritta. "Come fai a sapere quel nome?" Disse mentre allungava la mano. Il rotolo sudicio si mosse schizzando nell'aria come colpito da qualcosa di invisibile, per finire subito tra le mani del Ninja.
    Arima ridacchiò mentre l'altro apriva avidamente la pergamena.
    "Sapevo che questo ti avrebbe interessato... Anche io ho occhi ed orecchie in queste terre, sebbene a volte non sembri affatto... Non mi sfugge niente, ricordatelo!"
    Il Nakayama lesse la pergamena con una velocità impressionante. C'era tutto, la menzione di Hanabi, la posizione in cui era stata tenuta prigioniera fino a pochi mesi prima. Il fatto che il capo della Divisione Rapimenti e Riscatti fosse a conoscenza della sua nuova posizione. Un certo Kaochi Wabeda, una pista!
    "Prima che tu corra a giro per strade di Iwa ad urlare il nome di Kaochi, sfidandolo a singolar tenzone come il più scontato dei cavalieri bianchi... Ti debbo informare che il nostro amato Kaochi ha abbandonato l'Hashi poco dopo l'attacco dei Demoni a Teichi. Le mie fonti raccontano che ami girare vestito di nero e cantare inni alla gloria del Mouryou..."
    Kaede strinse la pergamena con una violenza inaudita, le nocche divennero improvvisamente bianche e l'aria tornò a tremare.
    "Dimmi dov'è..."
    L'eremita sollevò le mani. "Oh oh, non so di preciso dove si trovi, ma sono sicuro che la zona sia proprio nel fronte tra Kirigakure e l'esercito dei Demoni... Quindi, tu hai una traccia e io ho un interesse... Che ne dici, ci diamo una mano?"
    Il Rinnegato abbassò le mani guardando di nuovo il moro con aria interrogativa.
    "Come mai tu vuoi andare lì?"
    Arima si sporse in avanti, mentre le labbra si tiravano ai lati rivelando denti canditi sfoggiati sopra un paio di occhi in cui brillava una luce sinistra. "Non ho intenzione di lasciare che quei bastardi corrano ad afferrare la pentola piena di monete d'oro... No..." Continuò sollevando la mano davanti a viso, il palmo aperto che si chiudeva in un pugno sollevato, come a mimare di afferrare qualcosa nell'aria. "Approfitterò di questa Guerra per fare un po' di sano e vecchio... Sciacallaggio!"
    Kaede aggrottò le sopracciglia.
    "Tu... Vuoi andare in mezzo ad un territorio di Guerra, tra Kiri e Teichi... E approfittare della confusione per uccidere e rapinare i Cultisti del Mouryou così da appropriarti di questi frammenti?"
    Arima sollevò di nuovo la testa e sorrise allargando le braccia ai lati.
    "Precisamente!"
    Il Rinnegato si schiarì la gola. "Ho due domande...Prima: ti ha dato di volta il cervello... Seconda: che cazzo stai dicendo???"
    L'altro sbattè una mano sulla coscia e scosse la testa.
    "Andiamo! Dov'è finito il Kaede che conoscevo? Quello che venderebbe la sua mamma adottiva per manipolare un potere sconosciuto e leggendario? Rifletti... Io e te abbiamo il potere del Rinnegan dalla nostra, insieme non potrà fermarci nessuno e siamo sicuramente gli unici in grado di poter trovare un modo per asservire questi oggetti al nostro potere! Il nostro obiettivo è lo stesso: i cultisti! Tu li scuoti ben bene per far uscire informazioni su Kaochi... E io raccolgo quello che cade loro di tasca... Una vittoria per entrambi!" Arima sorrise, le sue parole toccavano nel profondo l'animo assetato di potere del suo compagno di avventure, una parte che ultimamente era stata sopita. Nonostante tutto però, capiva profondamente dove l'altro voleva andare a parare. Del resto erano della stessa pasta, qualcuno avrebbe potuto persino dire che fossero quasi gemelli.
    Il traditore del Suono osservò la scopa che teneva tra le mani, guardò la desolazione causata nella Rossa Signora Fortuna. Rifletté su quello che era successo negli ultimi tempi. Le sue chance di ritrovare Hanabi si erano improvvisamente assottigliate a poco meno di zero, le sue tracce erano sparite nel nulla. Non aveva saputo da dove cominciare. Ora però, come una manna dal cielo, inaspettata, l'Eremita era arrivato a dargli speranza. L'idea che quell'altro non lo facesse per puro spirito di beneficienza, beh, ormai aveva capito che nessuno faceva niente per niente.
    "Sei sicuro che Kaochi sia lì?" Sapeva che, se Arima avesse messo le mani su qualche ninja, avrebbe trovato un modo per spremere fuori loro la verità, lui trovava sempre un modo. Forse l'idea di andare nelle terre della Nebbia non era poi così folle.
    "Puoi scommetterci, ho 'lavorato' un paio di Mukenin di mia conoscenza, tutti confermano che si trovi lì... Devo dirti che l'Hashi non è molto contenta di questa defezione, è stato emanato un Denwa in suo nome, ma non penso che nessuno sia così folle di infilarsi tra i Demoni per ucciderlo... In ogni caso, non penso ci sia tempo da perdere no?"
    C'erano però un altro paio di cose che non gli tornavano.
    "Perché chiedere a me aiuto e non rivolgerti a Supaku, o Ishui?"
    Al sentir pronunciare quei nomi la faccia del moro si rabbuiò e i suoi occhi saettarono subito verso il basso. Aveva forse toccato un tasto dolente?
    "Non ti mentirò... Ishui è stato il primo che ho provato a contattare ma... Sembra che sia sparito... Supaku..." Il suo viso si volse verso destra, gli occhi saettarono fuori, oltre la vetrata infranta della locanda, sembravano persi nel vuoto. "Diciamo che non sono ancora pronto per ricordargli che sono vivo... L'ho abbandonato troppe volte... Non penso sarebbe più felice di rivedermi..."
    Kaede non poteva obiettare, del resto non aveva mai conosciuto bene le dinamiche tra Arima e gli altri compagni del Covo. Ex compagni viste come stavano le cose.
    "Dovresti dargli più credito... Supaku non sembra l'uomo capace di voltare le spalle ai compagni, nemmeno quando le situazioni sembrano volgere al peggio... Credimi..."
    "Può darsi... Ma per ora non ho intenzione di scoprirlo..." disse il moro grattandosi la nuca e tenendo lo sguardo basso.
    "Comunque... Dammi il tempo di sistemare le cose qui e poi prendo i miei abiti pesanti, dicono che nella Nebbia l'umidità ti entri dentro le ossa... Spero di non buscarmi qualcosa."
    Il sorriso tornò sul volto del moro come un lampo a ciel sereno. Le labbra si allargarono e la testa scattò verso il Rinnegato.
    "Allora ci stai?? AH-AH! Lo sapevo!" disse balzando giù dal tavolo e rovesciando una sedia nell'atterraggio. "Forza! Andiamo! Non c'è tempo da perdere!!"
    Kaede annuì prima di allungare una mano e richiamare una seconda scopa dall'oscurità alle sue spalle. Il sorriso di Arima si spense sul viso non appena quello gli porse la grana.
    "Stai scherzando?"
    "Al contrario, sono serissimo: partiremo dopo che avrò dato una ripulita qui... Lo devo a Tsumugi... Del resto questo casino l'ho causato io... Su avanti, olio di gomito!
    Arima rimase per qualche secondo immobile, osservando il manico della scopa con la bocca leggermente aperta.
    "Oh, fanculo! Dammi qua!"
     
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    Il cielo oscurato dalle nuvole rosse come il sangue rombava sopra di lui. Si grattò con l'unghia del mignolo destro la carne rimasta impigliata tra gli incisivi superiori. Odiava quando succedeva, la carne umana era tanto buona quanto fastidiosa. "La prossima volta dovrò ricordarmi di cuocerla un poco, così diviene più morbida..." Sentiva nell'aria l'odore del sangue che impregnava ogni cosa. Ferroso e appiccicoso come il miele. Odiava quella sensazione, il suo naso finemente affinato soffriva terribilmente per la condizione a cui lo aveva costretto. Il suo palato invece ancora danzava alla musica del sangue e della gloria che rappresentavano i numerosi pasti che il Padre aveva loro donato.
    Un Cultista camminò di lato abbassando la testa in un inchino profondo passando davanti a lui. "Sia Lode al Padre."
    "Sia Lode al Padre" rispose con aria scocciata continuando a grattare via la carne impigliata tra le fauci. Inspirò. La valle davanti a quello che era l'ex Palazzo Reale era uno spettacolo desolante. I prati un tempo verdi e fioriti che si distendevano per centinaia di metri erano stati trasformati in grossi rettangoli pieni di sangue rappreso e scurito. La pioggia che cadeva su di loro era sempre la stessa: sangue appiccicoso. Il sole non filtrava più e l'unica cosa che si poteva vedere nel cielo, oltre le nuvole rosse, era la luna argentata che riusciva sempre a fare capolino tra le stesse. Il Mouryou era irritato dalla sua presenza, voleva solo il grigiore, voleva che i suoi servi non capissero quando era giorno e quando notte, così da non poter avere un ritmo stabile di vita, così da poter sempre lavorare, nell'illusione che il riposo non arrivasse mai.
    Riuscì finalmente a staccare il pezzo di carne e a mandarlo giù con una deglutizione rumorosa e soddisfacente.
    "Finalmente!" disse ad alta voce. Una figura sfrecciò al suo fianco. Inugami la osservò irritato. Poco più basso di lui con capelli castani scarmigliati ed un kimono che stava già cambiando colore virando dal nero al marrone, uno dei suoi 'fratelli' sembrava avesse il fuoco in corpo da come si muoveva velocemente.
    "Dilettante..." pensò con un'aria a metà tra il condiscendente ed il rilassato. Musashi abbaiò degli ordini ad un gruppo di Cultisti che si avvicinarono a lui, sollevando uno stendardo. Il Demone appena rinato aveva ancora il sangue tra i capelli della 'rinascita' e nessuna intenzione di rallentare la propria corsa.
    Altri Demoni, come il Generale, erano allo stesso modo irrequieti. Non tutti avevano avuto il lusso di una vera rinascita e quelli che avevano una scadenza erano i più agitati. Lui no però.
    Lui aveva aspettato quasi venti anni per tornare in vita, aveva appreso l'arte della pazienza, del muoversi con misura e precisione in modo da massimizzare i suoi sforzi. Ridacchiò mentre scendeva a passo lento e calcolato giù dalla gradinata di marmo ormai completamente ricoperta di icore da averla resa nera. La sua guarnigione lo aspettava da ormai qualche minuto, forse di più, considerato che si era fermato per fare proprio lo spuntino che aveva cercato di togliersi dai denti affilati. A differenza dei suoi 'Fratelli' lui non si era mai arreso. Non aveva atteso la rinascita del Padre per cercare di riprendere il proprio posto tra i mortali, no, lui aveva sempre cercato di lavorare per ritornare in quelle terre, a prescindere dall'intervento del Padre. Il problema era stato prima fare in modo che la sua effige venisse in contatto con le persone giuste, per quello ci erano voluti millenni, e poi fare in modo, con tanti decenni di pazienza, di riuscire ad infiltrarsi nella mente dell'uomo giusto che gli permettesse di aprirgli una porta nel loro mondo. Ci erano voluti decenni, non riusciva più a contarli ma alla fine la persona giusta era arrivata. Più di diciassette anni prima era riuscito a trasmetterle il rituale corretto per consentire di fare allora quello che oggi il Padre aveva fatto con uno schiocco di dita e la vita di qualche misero umano. Lui però non aveva lo stesso potere, aveva dovuto lavorare sulla lunga distanza e diciassette anni prima una parte di lui era entrata permanentemente nel mondo degli uomini. Si muoveva, camminava e respirava e lui, grazie ad essa, era riuscito finalmente a vedere nel mondo, in quel mondo di cui era tanto ossessionato e a capirne la cultura, il modo di pensare e, finalmente, a trovare la serratura della dannata porta che poteva condurlo in quel mondo per sempre.
    Quando i suoi "Fratelli" si erano risvegliati lui non aveva potuto seguirli. Nella sua effige non c'era più tutto il suo potere e questo gli aveva impedito di possedere l'umano giusto. Un paradosso derivante dalla presenza della stessa anima in due luoghi contemporaneamente che non poteva essere risolto se non con l'intervento dell'essere che lo aveva creato. Così il Mouryou aveva guarito ogni cosa neanche qualche ora prima, lo aveva fatto rinascere dalle viscere di una donna proprio come era successo diciassette anni fa e ora, finalmente, poteva camminare di nuovo tra gli uomini.
    Il suo tempo, come quello di Musashi, era limitato però. Il Padre gli aveva detto di andare a riprendersi ciò che era suo, di strappare il frammento di anima rimasto impigliato in quel mondo e, una volta fatto, tutto sarebbe stato perdonato. Le sue trasgressioni sarebbero state dimenticate, i suoi peccati lavati. Purtroppo però non aveva passato millenni in attesa solo per rovinare tutto solo ora. Che il Mouryou provasse a fermarlo, lui avrebbe lavorato per il Padre finché la convenienza glielo permetteva.
    A differenza di Musashi, il suo piano non era riprendere ciò che gli era stato sottratto, bensì, unirsi a ciò che aveva lasciato in quella terra. Avrebbe raggiunto l'ultimo pezzo di anima che gli mancava, quello incastrato nel corpo dell'uomo che andava in giro osando farsi chiamare suo 'figlio', e lo avrebbe usato come ancora per possederne il corpo completamente. Allora e solo allora, sarebbe stato finalmente libero dal Padre, sarebbe stato un essere indipendente in tutto e per tutto. Sarebbe divenuto mortale, certo, ma a quello avrebbe potuto sempre porre rimedio, del resto, una volta divenuto libero, avrebbe avuto tutto il tempo del mondo. Annuì ai cultisti che avevano preparato tutto il da farsi, non si premunì di far sollevare alcun araldo, né stendardo. Lui era un animale selvatico che non amava farsi vedere. Tutti i suoi uomini erano stati istruiti un'ora prima: niente abiti larghi, niente armature, niente armi ingombranti, solo wakizashi, archi corti e kunai. Si andava per cacciare non per essere cacciati.
    Sorrise legandosi più stretto l'Okatana sulla schiena. Fischiò ed il suo gruppo iniziò la corsa, sparpagliati come bestie selvatiche. Cappucci neri e un solo simbolo riconoscibile sull'angolo delle labbra di ciascuno di loro: due zanne viola che scendevano verso il basso.
    Lui aveva altri piani. Se avesse ripreso il suo frammento di spirito conficcato nell'anima di suo figlio sarebbe tornato nel pieno del suo potere, ma anche schiavo del Padre. Questo non era accettabile. Non dopo millenni passati a cercare la libertà. No, doveva trovare un'altra soluzione. Per fortuna tutto il suo lavoro non era stato fatto in vano. Benkei era pronto... Quasi. Avrebbe dovuto preparare meglio il suo corpo, ora che però erano in guerra aveva a disposizione molti cadaveri e molti altri 'Fratelli' che gli avrebbero concesso di raggiungere più facilmente il suo obiettivo.
    "Prepara il viaggio, studia il terreno, conosci la preda, impara le sue abitudini, i suoi manierismi, le sue idiosincrasie, conosci come ragiona..." Lui aveva avuto diciassette anni per apprendere quanto più poteva della sua preda, ora era il momento di mettere tutto in atto. Ora doveva solo lasciare che le conoscenze accumulate lo guidassero. Beh anche il fatto che potesse letteralmente vedere dagli occhi di Benkei grazie al suo frammento spirituale aiutava.
    Il sorriso spuntò sulle labbra di Inugami, mentre le zanne affilate dei canini inferiori e superiori grondavano saliva sul mento appuntito. La corsa si fece più frenetica, mentre lui balzava in avanti atterrando sulle braccia superiori e trasformando quel primo salto in una serie di balzi coordinati, come un vero e proprio animale. Gli artigli delle mani e dei piedi nudi raschiarono nella terra, i lunghi capelli d'argento si sollevarono ritti sulla nuca, mentre la lunga coda sbatteva sulla sua schiena. Nel bel mezzo dell'euforia si lasciò sfuggire un ululato selvaggio.
    "Si va a caccia!"
     
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    Il Richiamo del Padre

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    Tsuki.
    Torre del Palazzo Lunare.



    Il cielo rombò cupo mentre le nuvole scure emettevano lampi rossi. Era sulla cima della Torre e osservava le nuvole con la testa sollevata verso l'alto. Sembrava che stesse per cominciare a piovere da un momento all'altro ma non succedeva mai. Era così da anni ormai. Abbassò lo sguardo sulla terra intorno alla torre, arida, annerita e spoglia. Le piante avevano smesso di crescere, l'erba era solo un vago ricordo, le persone camminavano intorno alla fortezza come piccole formiche ingobbite. Sorrise.
    Era così che doveva essere, era così che ognuno di quei miseri mortali doveva camminare. Chini con la testa rivolta verso i propri piedi, piegati dalla magnificenza del suo potere, consapevoli di non poterlo mai eguagliare. Osservò uno dei suoi figli uscire di corsa con stendardi color blu azzurro, una luna argentata dipinta su di essi. Correvano verso Ovest come una truppa ordinata. Annuì.
    Aotsuki era già in movimento. Bene. Aveva ascoltato le sue parole e questo era stato saggio da parte sua ma, del resto, quel figlio era stato sempre agitato. Irrequieto, ma geniale nella sua crudeltà. Aveva solo sperato che fosse stato al suo servizio per più tempo. Era stato grazie a lui che, per poco, aveva vinto la guerra. Avrebbe dovuto liberarlo molto prima ma non aveva neanche fatto caso a cosa i monaci gli avessero fatto. Incredibile come, in tutti questi anni, gli umani fossero cresciuti e fossero riusciti a creare cose che lui neanche credeva lontanamente possibili. Doveva ammetterlo, erano esseri pieni di risorse e terribilmente ingegnosi. Lui era stato cieco nella propria superbia, nella propria convinzione di essere sempre superiore a quegli esseri mortali. Eppure loro erano riusciti a vincerlo più di una volta. Questo significava che avrebbe dovuto riallineare le sue prospettive, le sue priorietà. Si passò la mano artigliata sul mento. Aveva già osato troppo creando qualcosa che non poteva essere controllato. I suoi figli originari erano limitati, proprio come lui, avrebbe dovuto fare più affidamento a questi umani, al loro corpo, alle loro energie ed alla loro capacità di sopravvivere come scarafaggi. Inspirò. Osservò l'orizzonte ad Ovest, il suo sguardo che si perdeva oltre il mare. Là dove la creatura che aveva dato alla luce stava imperversando.
    "Ho sbagliato." Disse al vento, contento che nessuno potesse sentirlo. Beh, nessuno di importante. Pensò abbassando lo sguardo verso il gruppetto di umani legati come capretti ai suoi piedi sulla cima della torre. Tutti tremavano, alcuni piangevano, altri pregavano.
    Non poteva sentirli quasi, lo spirare del vento era troppo forte, così come il fluire dei suoi pensieri.
    "Ho sbagliato a concentrare tutte le mie forze... Ho sbagliato a non affidarmi a loro..." Quello era stato un vero errore, un errore concreto che aveva fatto da secoli ormai. Solo ora se ne rendeva conto. Aveva divorato i suoi figli in passato, spezzato quelli che gli rimanevano, divorato di nuovo quelli che avevano aiutato a liberarlo, accecato dall'idea di ripristinare un potere che non sembrava superare una certa soglia.
    Abbassò lo sguardo, osservando un secondo figlio scendere la gradinata della torre ed indirizzarsi verso Nord-Ovest, i cultisti al suo fianco ululavano e ringhiavano, la loro corsa si traformò in un galoppo furioso mentre passavano da due a quattro zampe. Un altro figlio si muoveva, un'altra pedina era in movimento. Aveva sottovalutato la potenza di questi...Ninja. Aveva capito che erano più potenti di lui. Questo gli aveva fatto venire una idea. Doveva piegare il loro potere al suo. Presto avrebbe provato a creare qualcosa di superiore ma capace di essere controllato. Ora però, era lassù per fare ammenda ai suoi errori del passato.
    Allargò le braccia ai lati e le sollevò verso il cielo. Aprì la bocca e lasciò uscire un urlo potente. I lampi rossi echeggiarono in risposta.
    "FIGLI!" Urlò al cielo mentre il vento cominciava a soffiare con più volenza, sbattendogli le vesti bianche e nere.
    "Sono qui per chiamarvi ancora una volta a raccolta... RINATE!"
    Disse afferrando con violenza il primo degli umani che urlò con un singhiozzo strozzato.
    "VOSTRO PADRE HA BISOGNO DI VOI!" Disse facendo passare l'indice affilato lungo il collo dell'uomo e sgozzandolo con una velocità incredibile. Il sangue schizzò sulla pietra di marmo scuro, l'uomo gorgogliò mentre il Mouryou inspirava a fondo, sentendo l'anima dell'uomo venire risucchiata nel suo petto. La manipolò, senza assorbirla, la condensò in una freccia di vero potere e urlò il nome del figlio con un ringhio selvaggio.
    "Koppun!" urlò mentre l'aria davanti a lui vibrò come spostata da una energia invisibile.
    Afferrò il secondo umano, una donna, quella scalciò cercando di divincolarsi, lui la tenne ferma con entrambe le mani. La presa sul petto e sulla testa, un colpo secco e staccò il primo dalla seconda, l'anima fuoriuscì come un succo denso e lui la ingurgitò per manipolarla di nuovo.
    Un secondo urlo.
    "Waira!"
    Uno dopo l'altro, gli umani vennero afferrati e troncati in modi diversi, uno dopo l'altro le loro anime servirono al richiamo.
    I nomi dei suoi figli uscirono dalle sue labbra come un appello demoniaco.
    "... Kuroimizu..."
    "... Kizokukoi..."
    "... Nihiru..."
    "... Ishi..."
    "... Arashimo!"

    Alle ultime parole un lampo rosso saettò nel cielo sopra di lui schizzando verso Nord come una freccia luminescente. Il Re dei Demoni si inghinocchiò sul tetto della Torre. Le braccia stese lungo i fianchi. Il petto che si alzava ed abbassava. Era la prima volta in tutta la sua vita che dava così tanto per i suoi Figili, sperava che un giorno tutto questo amore sarebbe servito a qualcosa. Ora poteva soltanto sperare che i corpi senza vita dei suoi figli tornassero a servirlo. Aveva bisogno di tutte le forze possibili per vincere quella Guerra.

    Yasaigakure no sato,
    Tempio della Donna Barbuta.



    Il mondo era un posto meraviglioso, pensò il Gran Sacerdote mentre una figura dal corpo formoso lo imboccava con acini d'uva gonfi. Fece scrocchiare tra i denti il chicco d'uva sentendo il succo inondargli le papille gustative come una marea frizzantina. Chiuse la bocca e masticò con gusto mentre sorrideva, le guance gonfie e lucide dal trucco che gli era appena stato accuratamente sistemato sul viso eternamente giovane. Non ne aveva davvero bisogno ma la sua truccatrice aveva insistito e chi era lui per sottrarsi ad un po' di amore e coccole da parte di una bella dona dalla quinta di seno? Nessuno. Lei poteva tutto e lui era solo lì per godersi il suo profumo inebriante e sorridere a quelle labbra carnose mentre la donna gli spazzolava il pennello sul naso.
    "Siamo pronti per la cerimonia?" chiese alla sua ancella sulla destra che, vestita con seta dal colore blu intenso gli annuì, facendo tintinnare la catenella dorata che legava il piercing della narice sinistra all'orecchino al lobo sinistro.
    "Sì, sua altezza."
    "Ah-ah, mi deludi Satori, sai bene che disdegno simili appellativi...preferisco qualcosa di più semplice e più adatto alla mia posizione...sua Santità andrà bene.."
    Disse Ishui tirandosi in piedi tra i grossi e voluminosi cuscini ricamati d'oro e d'argento. Si tirò in piedi, mentre la ampia veste si apriva sul petto rivelando il petto muscoloso e gli addominali scolpiti. Ishui si sistemò i capelli ai lati delle orecchie mentre sorrideva alle ancelle che sciamarono via come tante farfalle profumate. Ahhh quella sì era che davvero vita. Nessun problema, nessuna bega, una donna diversa nel suo letto, cibo a volontà. Uniche preoccupazioni: benedire un bambino una volta ogni tanto, "ripristinare" la verginità di una giovane ragazza, accompagnare un anziano verso l'aldilà, celebrare qualche matrimonio. C'era gente che stava peggio, molto peggio. Si chiese quando era stata l'ultima volta che aveva preso in mano un bisturi, a malapena ricordava l'odore del sangue, il profumo della forma aldeide, il soffitto dal cemento grigio delle grotte di Hagoromo illuminato solo dalla luce sterile del neon. Quella vita se l'era buttata alle spalle e con gioia ormai. Camminò a piedi nudi sul marmo intagliato di un rosa corallo e si avviò verso la balconata che dava sulla piazza centrale della città. Striscioni colorati erano stati stesi da un tetto all'altro, nell'aria echeggiavano suoni di festa, la gente era pronta per festeggiare la Benedizione della Donna Barbuta ancora una volta, così come succedeva ogni secondo mercoledì di ogni mese. Lui era pronto per impartigliela. Si avvicinò a passi decisi verso la balconata le braccia aperte ai lati, il sorriso stampato in faccia mentre la luce del sole di mezzogiorno gli riscaldava progressivamente i piedi, le gambe e poi il petto.
    Un rombo di tuono echeggiò nel cielo. La folla sia acquietò e Ishui si arrestò improvvisamente. Il piede sollevato per fare il passo ulteriore e finire proprio sulla balconata, non calò mai, piuttosto il Ninja ruotò il busto e tornò rapidamente indietro. Le ancelle cercarono di avvicinarglisi ma lui le scacciò via. Qualcosa non andava. Una fitta terribile lo aveva colto alla schiena. Sentiva formicolii brulicare lungo il suo sistema nervoso. No, c'era qualcosa che non andava affatto. Spinse via un'altra ancella sulla sua strada, sentì il mondo ruotare intorno a lui, l'equilibrio venirgli meno. Sbatté contro un tavolino. Chi aveva messo un tavolino lì in mezzo? Dannazione!
    Si aggrappò ai bordi di legno levigato, tirandosi di nuovo in piedi. Camminò spedito, mentre il terreno sembrava oscillare come il ponte di una barca in mezzo alla tempesta. Caddè sul pavimento di marmo levigato, il freddo della pietra che lo accoglieva.
    "Sua Santità..." sentiva delle voci. Non riusciva a vederle bene.
    "Via...via!! ANDATE VIA!" Urlò più spaventato per loro che per sé stesso. Fossero morti i suoi accoliti tutto quel paradiso sarebbe sparito ancora una volta. Non sarebbe tornato in mezzo alle strade puzzolenti di piscio, spazzatura e sudore di Iwagakure! No! Tirò un pugno sul pavimento e la pietra intorno a lui si spostò come un'onda spingendo via delicatamente tutti gli accoliti che erano corsi verso di lui. I fedeli urlarono ma non vennero danneggiati, semplicemente l'onda di terra li spinse a sedere e poi li fece rotolare nella stanza accanto. Un altro pugno e una parete di roccia sigillò la porta lasciandolo solo.
    Inspirò, espirò. Sentiva il corpo tremargli. Cercò di tirarsi su, fissandosi allo specchio. Il suo corpo muscoloso era ricoperto da goccioline di sudore. La pelle era...macchiata di nero? No, non era possibile. La sua pelle immacolata! Questo era uno scempio, un abominio puro e semplice! Controllò che non fosse una attivazione improvvisa e non voluta del Segno Maledetto, ma no, non era affatto come la reazione dermatitica del segno. Era qualcosa di diverso, di peggiore.
    Invece era davvero così. Strinsce nere, lunghe e sottili erano apparse sulla sua pelle, come le linee di una penna. Cosa stava accadendo? Un'altra fitta lo colse e gli fece rovesciare la testa all'indietro. Urlò dal dolore mentre sentiva le ossa sotto la sua pelle muoversi, serpeggiare come animali vivi.
    Fuori sentiva le grida disperate dei fedeli, che picchiavano contro la parete di roccia. Udì un gran fracasso, come se qualcuno avesse usato una sedia a mo' di piccone. Avrebbe goduto di una simile fedeltà ma era troppo impegnato dal fatto che il suo stesso scheletro sembrasse in procinto di uscire dalla sua carne. Una serie di schiocchi secchi, uno spruzzo di sangue e poi una sensazione di sollievo prima del dolore che si dipanò dal suo petto. Sollevò la testa per guardare con gli occhi strabuzzati il petto da cui usciva una rosa di ossa bianche ed affilate, macchiate di sangue.
    "Ecco che se ne va un altro abito in seta...il sangue si lava male...dannazione"
    Non poteva fare a meno di distrarsi dalla situazione, mentre osservava la sua tunica immacolata cadere a terra a brandelli, macchiata di rosso.
    Incamerò Chakra, freneticamente, mentre una sensazione di panico serpeggiava dentro di lui. Non stava succedendo nulla. La sua pelle non si rimarginava, le sue ferite non si chiudevano, le ossa non stavano tornando al loro posto. Un altro strattone mentre femore e tibia uscivano da ginocchia e cosce, squarciando la pelle. Sentì il mondo ruotare intorno a lui, il dolore era lancinante. Le gambe gli cedettero e la testa urtò di nuovo contro la fredda pietra del pavimento. Si guardò intorno, ogni cosa ondeggiava come se fosse stato su una barca in tempesta. Abbassò lo sguardo, la sua pelle era chiazzata di nero e piena di squarci da cui brillavano ossa grigie piene di crepe. Il sangue colava copioso, allargandosi in una pozza.
    Si lasciò sfuggire uno verso strozzato mentre altro sangue scivolava nei polmoni. Il terreno intorno a lui cominciò a tremare violentemente.
    "E adesso?"
    Pensò mentre la pietra si spaccava, sollevando sbuffi di polvere e schegge di roccia. Sotto il suo petto sentì la roccia aprirsi in uno squarcio mentre sassi e mattoni scivolavano verso il basso.
    Mai, in tutta la sua vita, avrebbe pensato che vedere la terra aprirsi sotto i suoi piedi lo avrebbe spaventato in quel modo.
    Cadde verso l'oscurità delle viscere della terra, vedendo la pietra chiudersi sopra di lui con un colpo sordo.


    Konohagakure no Sato.
    Foresta nella Periferia di Konoha




    Illuminato dai bianchi raggi della luna, il giovane dai capelli rossi, si aggirava inquieto tra gli alberi del bosco attorno alla sua casa. Il suo respiro, via via più affannoso, si fuse con il fruscio delle foglie mentre il suo cuore accelerava il ritmo, inesorabile, come se la luna piena che splendeva alta nel cielo , esercitasse su di lui un irresistibile richiamo. Brividi di dolore lo tormentavano incessanti e persino camminare, con il corpo sconquassato da quei violenti spasmi, era diventata una fatica inimmaginabile. I vestiti avevano iniziato gradualmente a lacerarsi incapaci di adattarsi ai cambiamenti del suo corpo mentre, al contrario, la sua pelle contorta e deforme, si tendeva per assecondare l'allungamento delle ossa e dei muscoli sotto di essa. Le unghie, allungate ed ingiallite erano macchiate di rosso e lasciavano sul sottobosco piccole gocce di sangue. Sentiva ancora il sapore del sangue in gola, la lingua sfrecciò sulle labbra annerite e tra i denti allungati in una forma che ormai non aveva più nulla di umano.
    Sbattè contro un albero, sentendo gli artigli conficcarsi nella corteccia come fosse stata burro. Il crepitio del legno echeggiò nella foresta. Si spinse in avanti. Dentro di lui infuriava una lotta che stava perdendo, lo poteva sentire.
    Il potere primordiale e animalesco che aveva già conosciuto anni prima e a cui spesso aveva attinto si era risvegliato in una furia incontrollabile. Non era mai successo. Non era mai successo dall'ultima volta che era stato nel Paese della Luna, da quando erano stati riportati a Konoha con l'onta macchiata per sempre. Come mai era accaduto? Non riusciva a spiegarselo. Aveva però sentito il richiamo nel bel mezzo della notte, come un ruggito lontano, proveniente dal bosco. Era riuscito a buttarsi fuori dalla finestra e a correre con quel poco che gli era rimasto addosso verso le porte della città mentre il suo corpo si contorceva in spasmi incontrollabili. I due volti degli Shinobi di guardia che gli si erano avvicinati ancora galleggiavano nella sua mente. I loro occhi, le smorfie di paura e poi dolore. Il sapore del sangue.
    Si era trattenuto più che aveva potuto, ma il richiamo del Padre era stato troppo forte. Troppo potente per lui. Ora correva verso le profondità della foresta, il più lontano possibile da Konoha, sperando di non causare altri danni.
    "A...M...I...N...A..."
    Le labbra vibrarono e la sua mente sprofondò nell'oscurità più buia.
    Alle parole seguì un ululato selvaggio che echeggiò nella foresta come il grido di liberazione del mostro che era stato. La rabbia e la sete di carne avevano finalmente vinto e del giovane Tamashi non era rimasto nient'altro che un ombra dietro quegli occhi ambrati. La schiena si piegò in avanti e le braccia anteriori affondarono nell'erba, un secondo ululato si sollevò nel cielo prima che la bestia scattasse in avanti in una corsa selvaggia. I movimenti bestiali, la corsa scomposta su quattro zampe, la lingua che sventolava al vento, gli occhi brillanti come dischi dorati nell'oscurità. Il richiamo era chiaro, correre verso Est, correre verso il padrone che richiedeva di nuovo l'impiego della sua furia per uno scopo migliore.
    Schiuma bianca scivolava giù dalle zanne aperte, corse per ore nel bosco senza sentire la stanchezza. La foresta cominciò piano piano a sparire lasciando spazio alla pianura mentre in lontananza dei pennacchi di fumo si sollevavano. L'umore biancastro aumentò di volume al pensiero di fermarsi per assaporare la carne di qualche villico.
    Si arrestò ed ululò di nuovo, raschiando con le zampe nell'erba e leccandosi le labbra. Fece per fare un passo in avanti ma delle figure scure atterrarono sull'erba intorno a lui.
    La bestia indietreggiò per ritrovarsene altre alle spalle, era circondata. Snudò le zanne affilate, rilasciando un ringhio basso e minaccioso. I dieci uomini erano forniti di barabraccia e giubbini di un colore azzurro pallido e portavano volti bianchi dalla forma animalesca: maschere.
    "Mettetelo fuori combattimento, non uccidetelo."
    disse una figura alle sue spalle, l'unica che portava un impermeabile con cappuccio scuro. Gli altri nove annuirono e sollevarono le mani, chi afferrò Kunai, chi Shuriken, chi serrò le dita intorno alla Katana legata alla schiena.
    Waira ruggì di nuovo e si scagliò in avanti.
    La lotta fu selvaggia e furiosa. Schizzi di sangue, urla di dolore. Scariche elettriche colpirono il manto folto di pelliccia, fiamme illuminarono la notte, folate di vento tagliarono tronchi di alberi. Grida ed ululati si mescolarono nella prateria. L'erba si macchiò di sangue e le zanne della bestia gioirono al sapore della carne. Un ANBU cadde a terra, reggendosi il moncherino di un braccio. Un altro venne schiantato contro gli alberi e non si rialzò più. Un terzo urlò mente la maschera di legno bianco venne infranta sotto i suoi artigli.
    Gioiva della lotta e della caccia, le ferite ed il dolore sulla propria pelle quasi non si avvertivano. Ogni uccisione ed ogni goccia di sangue versato era un inno alla sua fedeltà per il Padre.
    Poi qualcosa cambiò. Sentì una fitta alla spalla destra e poi una stretta furiosa. Volse il muso macchiato di rosso ancora gocciolante per vedere il brillare dorato di catene conficcate nella carne. Ruggì e strattonò l'uomo mascherato dal cui ventre usciva la catena brillante. Un'altra fitta lo colpì al piede destro, fu costretto in ginocchio. Ringhiò di nuovo mentre un seconda catena dorata si conficcata nella carne, inchiodandolo a terra.
    La figura in impermeabile gli arrivò addosso con una velocità incredibile, il pugno destro sollevato che lo colpì in pieno mento, rovesciandogli la testa all'indietro e il Waira vide solo il buio.
    Cadde a terra, immobile, privo di sensi. Il suo corpo cominiciò a scuotersi, mentre ossa e pelle si rimpicciolivano.
    Il ragazzo dai capelli rossi giacè sul terreno, esausto e ferito, il suo respiro era tornato normale e si perdeva tra i fischi del vento. La luna continuò il suo percorso nel cielo, indifferentemente testimone della tragedia che si era svolta sotto il suo bagliore. E così, nel silenzio della notte, il destino di Tamashi e dei suoi cacciatori si era intrecciato in un nodo oscuro.

    Terre di Nessuno,
    Circa 20 km dalle coste a Nord di Maguma.



    Nero... Tutto è nero nell'oscurità di quegli abissi a svariati metri di profondità. Se anche una forte luce tentasse di far breccia questa non vi riuscirebbe dato che il potere del Lago Nero rendeva quelle acque torbide come "per natura" continuamente inondate da tecniche Suiton modificate dagli Zenwankuro. Un solo punto bianco era distinguibile in quella massa oscura quasi da sembrare che emettesse "luce propria" per quant'era candido. Più da vicino era possibile comprendere come quello fosse in realtà un occhio ceruleo attorniato da delle vene rigonfie. Difatti Touma, neo cavallo degli Scacchi, era ormai da circa un mese in quel luogo impervio ad allenarsi nell'utilizzo di quel peculiare Doujutsu di cui era entrato in possesso di recente. Il tratto di mare aperto si trovava vicino ad un isolotto inospitale di poche decine di metri di diametro. Era più un grosso scoglio dato che la superficie dello stesso era quasi completamente ricoperta in buona parte da roccia a meno di un po' di terriccio arido sul quale non sarebbe cresciuta nemmeno un'erbaccia. L'ex Shinobi di Kiri aveva scelto quel posto come suo luogo d'allenamento in quanto in realtà, al di sotto dell'isola, vi era una grotta raggiungibile soltanto dalle acque dove aveva approntato un piccolo rifugio. Nessuno degli Scacchi sapeva dove si trovasse di preciso, comunicavano tramite messaggi lasciati ad un'isola non molto lontana visitata frequentemente dalle barche dei pescatori. Oltretutto quel luogo era perfetto per lui per esplorare e comprendere appieno le potenzialità dell'occhio che era stato trapiantato nel suo orbita oculare sinistra. Si stava allenando ancora una volta in quel pomeriggio ormai sulla via del tramonto osservando attraverso le oscurità dell'oceano sempre più in là a svariati chilometri fino a giungere quasi alla costa. La sua vista avanzava senza sosta facendosi strada in quell'oscurità normalmente imperscrutabile.
    "Sì, posso vedere!"
    Pensava trionfante il mukenin soddisfatto appieno della fatica che aveva dovuto fare per mettere le mani su quel Byakugan, occhio in realtà per tanto bramato ma che ora, da quando poteva ricorrere al potere del Lago Nero, era diventato quasi essenziale per lui. Così nulla gli sarebbe sfuggito quando combatteva tra le sue acque, quelle acque che ora sarebbero divenute ancora più letali per i suoi avversari. Quel ghigno di vittoria sul volto di Touma però dura ben poco. Qualcosa sta solcando i mari ad una velocità incalcolabile. Proviene da sud-est ed è come una forza inarrestabile. Prima ancora di rendersene conto il cavallo degli Scacchi viene investito in pieno da questa corrente. Il suo corpo viene come dapprima pressato da questa forza e poi come allungato. Una sorta di vortice investe in pieno il corpo dell'uomo che viene sballottolato qui e lì completamente in balia degli eventi. Il battito del suo cuore si innalza rapidamente martellando nel petto, nonostante la vista del Doujutsu perde del tutto la cognizione di dove si trovi e dove stia andando a finire. Sente il suo corpo diverso: in alcuni momenti caldo, in altri come che si stia lacerando, tutto è estremamente confuso. Ad un tratto la corrente cambia direzione divenendo una forza propulsiva che spinge rapidamente verso l'alto il mukenin sempre più velocemente. Tutto ad un tratto la spinta si esaurisce, tutto ora... Tace. Dopo qualche secondo Touma inizia a rinvenire percependo nuovamente l'ambiente attorno a se ma c'è qualcosa che non quadra. Non è più in acqua ma si trova ora nella grotta sotterranea che gli ha fatto da rifugio negli ultimi tempi. Questa è però diversa. Quella che era una semplice grotta completamente chiusa, con l'unico accesso dall'acqua sottostante, ora ha un buco al centro di essa in corrispondenza dell'accesso acquatico. I toni arancioni del tramonto difatti ora illuminano quella stanza improvvisata che normalmente era illuminata da un lume ad olio.
    "Ma com'è possibile?"
    Si chiede confuso l'ex jinchuuriki del Sanbi. Effettivamente la forza repulsiva di poco prima era stata in grado di aprire un varco nel soffitto della grotta da cui ora filtravano i raggi dell'ultimo sole della giornata. Per il resto sembrava che lì dentro fosse scoppiata una bomba. Il letto così come i pochi mobili lì presenti erano rotti e sparpagliati un po' ovunque. Touma continuava a sentirsi strano, a che aveva caldo a poi sentiva freddo, tutto attorno a lui continuava ad essere nero, inzuppato dell'acqua che era alta fino alle ginocchia. Percepiva come se il suo corpo fosse strano, non del tutto "allo stato solido". Iniziò a guardarsi le mani per vederle strane, completamente nere e con dei bordi frastagliati. Poi si rese conto di essere completamente nero su tutto il corpo, ma non come normalmente accadeva quando abusava troppo del potere dei bracciali.
    "Ma... Dove sono?"
    Difatti si rese conto proprio in quel momento di come i bracciali non fossero più attorno ai suoi avambracci, o almeno così sembrava. Lui ne sentiva la presenza ma non era come in grado di "vederli". Ad un tratto il suo sguardo venne attirato da qualcosa. Era uno specchio che galleggiava sull'acqua avendo una base di legno piuttosto solida che aveva retto all'urto al contrario del vetro che era scheggiato in più parti. Il mukenin rabbrividì a quello che vide, anche se a fatica, riflesso nello specchio. Due occhi tondi blu notte ed un viso completamente trasfigurato in quello di un pesce, uno squalo all'apparenza. Aprì la bocca e vide due fila di denti affilatissimi e bianchi da far netto contrasto con il resto della figura che si specchiava.
    "Ed ora?"
    Pensò come ultima il cavallo degli Scacchi per poi "perdere il controllo" difatti si rese conto che quello che era il suo corpo si muoveva ormai da solo. Lo vide tuffarsi in quella marea nera e poi più nulla come se Touma non vi fosse più.

    Kirigakure no Sato
    Appartamento a Sud del Villaggio




    "Dai forza, sai che devi esprimere un desiderio vero?"
    Nel giardino della piccola proprietà le luci della festa la facevano da padrone. Tutto era stato organizzato nei minimi dettagli ed ora la ragazza dalla chioma rossa, tutta sorridente, sedeva dietro al tavolo mentre gli altri invitati erano intenti a cantare la rituale canzone di augurli, al termine della quale, preso un profondo respirò, soffiò tutta l'aria che aveva nei polmoni per spegnere le dodici candeline che erano state poste in ordine sopra la glassa della torta. Davanti al gruppetto intento a festeggiare la giovane Kunoichi, sorrise incrociando le braccia sul petto possente. Era defilato rispetto agli altri partecipanti, lievemente più in disparte, sia per non essere troppo al centro dell'attenzione per via della propria stazza, sia per stare vicino alla finstra, prontamente tenuta aperta, per permettergli di fumare liberamente.
    "Grazie mille Maestro, e grazie anche a lei signorina Mitsuha!"
    Sorrise di nuovo, annuendo con un cenno della testa mentre la sua compagna gli si faceva accando, cingendogli i fianchi con il braccio.
    "Non è merito nostro, anzi, sono stati i tuoi compagni a fare tutto il lavoro..."
    I due ragazzi divennero rossi in viso quando, la giovane festeggiata, sentendo queste parole, si alzò dal suo posto e si lanciò verso i di loro per stringerli in un abbraccio sincero. Nonostante fosse di quasi venti centimetri più alto di lei, fu sorpreso di rimanere sbilanciato dall'assalto della ragazza. Mitsuha sorrise, abbracciando di rimando la giovane, lui accettò l'abbraccio ricambiandolo impacciatamente.
    "Ma allora è vero che mi volete bene eh..."
    Disse la ragazza staccandosi da loro e sorridendogli con malizia. Mishu si stronfinò la nuca con la mano destra e sorrise. Sapeva bene come punzecchiarli.
    "Fate solo finta che non ve ne importi niente!"
    La ragazza tornò dai compagni, cominciando a tagliare la torta. Gli altri due la presero in girò, e questo le provocò un rossore ancora più profuso sul viso sparso di lentiggini. Uraka rimbeccò gli altri due e il battibecco ebbe inizio. Si staccò dal muro vicino alla finestra e scambiò con la compagna uno sguardo di intesa. Era giunto il momento di andare a prendere il regalo che avevano predisposto per la festeggiata. Mitsuha sorrise di rimando, intuendo subito senza neanche bisogno che glielo dicesse. Quella donna era davvero brava a leggergli nella testa.
    Non sapeva neanche come facesse, era sempre stato convinto che lei avesse una qualche Tecnica in grado di scannerizzargli i pensieri, lei aveva sempre negato.
    "Mishu, è di la, sopra al tavolo..." Gli ripose staccandosi da lui e avvicinandosi verso Uraka e gli altri. "Ci pensi tu?"
    Lui annuì sorridendo per incamminarsi verso la stanza sul retro. Attraversò la porta perdendosi nel buio della casa.
    Era sera inoltrata, il sole era tramontato da qualche ora. Avevano la brutta abitudine di tenere le luci delle altre stanze della casa spente, forse per risparmiare sul costo della bolletta, non ne aveva idea ma la cosa lo infastidiva. Si mosse nelle penombra, le stanze illuminate solo dai lampioni sulla strada che riflettevano il giallo del neon attraverso le finestre.
    Cercare in quello stato non era facile, mosse la mano contro le parteti, in cerca dell'interruttore. Non appena entrò nella cucina però, le dita si piegarono verso l'intero e graffiò l'intonaco della stanza. Sentì una fitta leggera, la testa cominciò a girargli e le ginocchia cedettero mentre il suo possente corpo sbatteva contro il pavimento come una sequoia abbattuta nella foresta. Nel collassare urtò il tavolo sulla destra e qualcosa rotolò sul pavimento. Sollevò la testa, i capelli rossi bagnati da un sudore improvviso, la mano destra serrata sul petto. L'oggetto rotolò in avanti ed urtò contro il suo ginocchio. Il lucido metallo venne bagnato di giallo dalla luce del lampione. Il suo volto venne riflesso sul piatto della lama.
    "Tu... Non ti avevo lasciata di là?" Furono i pochi pensieri che riuscì a mettere in fila mentre le sue dita si muovevano come animate da una forza invisibile, serrandosi intorno al manico di legno dell'arma. Al primo contatto la sua testa si rovesciò all'indietro e gli occhi ruotarono mostrandone il bianco.
    "Ehi! Ma che stai facendo? Quanto ci metti a trovare un reg..."
    Mitsuha entrò nella stanza, forse preoccupata dal frastuono che avesse urtato contro qualcosa mentre cercava il regalo. La donna si arrestò a neanche un metro dall'uscio non appena vide il viso di Mishu contorto dal dolore fissarla con occhi privi di pupille. L'uomo aprì la bocca, la richiuse, come il boccheggiare di un pesce, ma nessuna risposta uscì dalle sue labbra.
    "Mishu?... Cos..." disse la donna avvicinando una mano verso la sua spalla per poi ritrarla improvvisamente non appena la testa del Ninja tornò a ruotare in avanti con uno scatto innaturalmente veloce.
    La lancia roteò tra le dita del Kiriano, la punta dell'arma si conficcò nel pavimento di pietra, crepando mattonelle e cemento con un colpo secco. Il colpo echeggiò nella cucina e improvvisamente il silenzio calò anche nella stanza dove era svolta la festa. L'uomo si sollevò in piedi con un movimento repentino, la testa sempre reclinata verso il basso, i capelli rossi che scendevano sulla fronte, oscurandone gli occhi.
    "Sensei... Cosa sta succe..."
    "State indietro!" Urlò Mitsuha sollevando una mano verso i ragazzi. La donna aveva divaricato le gambe e sollevato una mano verso il compagno che ora era in piedi, la testa ciondolante in avanti, la mano libera stretta in un pugno.
    La testa si sollevò lentamente, rivelando le labbra piegate verso l'altro in un sorriso storto.
    "Oh mio dio!" Si lasciò sfuggire la donna alla vista del volto di Mishu.
    L'occhio destro si era rivelato di un colore verde smeraldo, la cui pupilla era un grossa goccia nera come la pece. La pelle su zigomo e orecchio destro era piegata da piccole zigzagature bianche. Ad un occhio attento della donna la pelle si era ricoperta da piccole squame bianche.
    "AH! Alla fine il tuo corpo è stato mio in un modo o nell'altro... Stupido Ninja!" Urlò Mishu stappando la lancia dal pavimento e facendola ruotare tra le dita della mano sinistra e serrandola nel pugno con la punta della lama rivolta verso il petto della donna.
    "Tu! Sarai la pri..." La voce gli si strozzò in gola, ebbe un singulto e cominciò a tossire violentemente. La mano armata tremò visibilmente e la punta si abbassò lentamente verso il suolo.
    Mitsuha colse il momento al volo. Afferrò l'arma poco sotto la guardia e la strattonò verso di sé con violenza. Aveva una vaga idea di con chi avesse a che fare, Mishu le aveva già raccontato del Demone Carpa il cui spirito albergava dentro quell'Arma. Il manico di legno liscio scivolò tra le dita dell'uomo fino ad arrivare alla base della lancia prima che le dita del Kiriano si serrassero di nuovo intorno ad esso con una stretta mortale.
    La testa di Mishu scattò verso l'alto, lo sguardo distorto in una smorfia di rabbia.
    "COME OSI???" Urlò il Ninja dal volto sfigurato mentre sollevava l'altro braccio per caricare un potente affondo. Il pugno schizzò in avanti, puntando al volto della donna che urlò di rimando, sollevando le braccia davanti al viso. L'arto si arrestò a pochi centrimetri dalla mano di Mitsuha, l'onda d'urto del colpo le fece volare i capelli oltre le spalle.
    Mitsuha abbassò lentamente le mani, squadrando il Ninja davanti a lei. Il pugno era sollevato, la mano tramolante a pochi centimetri dal suo viso.
    Il volto di Mishu era piegato in due. La parte destra del viso era sollevata in un sorriso tirato, la pupilla dilatata e un rivolo di bava che gli colava dall'angolo della bocca. Il lato sinistro del viso, invece, aveva le labbra innaturalmente piegate vero il basso, l'occhio violetto brillava inumidito dalle lacrime mentre quelle scorrevano verso il basso, bagnandogli il viso.
    "Mitsuha... Ti preg..." Le parole uscirono esitanti dalle labbra distorte dell'uomo. Il pugno venne ritratto e volò rapidamente colpendo il lato sinistro del volto del suo proprietario.
    "Stai zitto verme!!" Urlò di nuovo con voce stridula Mishu. "Tu sei mio!!" Strattonò il braccio armato e strappò la lancia dalla mano di Mitsuha, ruotando il bacino e colpendo la donna in pieno petto con un affondo del piede sinistro. La donna venne spinta all'indietro con un colpo deciso, finendo per sbattere contro i tre ragazzi alle sue spalle. I quattro sbatterono contro la porta alle spalle che venne frantumata dall'urto.
    Mitsuha vide il mondo sfocarsi e la polver dovuta dall'impatto sollevarsi intorno a lei mentre i ragazzi sotto di lei gemevano per la violenza del colpo.
    Una figura si stagiò sopra di lei, sfocata. I capelli rossi che avevano cominciato a prendere una sfumatura arancione.
    "Il mio potere sta crescendo, stupido moscerino... Inizierò da lei e spezzerò per sempre la tua volontà... Ah-Ah!" Disse l'uomo sollevando la lancia impugnata a rovescio, la lama rivolta verso il basso che rifletteva la luce gialla dei lampioni alle sue spalle.
    L'arma calò con violenza e si schiantò contro il pavimento, proprio in mezzo alle gambe della donna. Il colpo impattò contro le piastrelle, conflagrò in una onda d'urto che frantumò i vetri delle finestre.
    "NO!" Urlò Mishu, o almeno la parte di lui che era ancora in controllo. La mano sinistra serrata insieme alla destra sul manico di legno della lancia. Mitsuha sollevò la testa e squadrò il compagno negli occhi.
    "SCAPPA!" Urlò il Kiriano mentre i tre ragazzi afferravano per le spalle la compagna e scattavano, sparendo alla vista.
    Mishu rimase immobile, le braccia serrate intorno alla lancia conficcata a terra, la schiena che si abbassava ed alzava. I singhiozzi che scuotevano il suo corpo, le lacrime che scendevano lungo il suo viso, gocciolando sul pavimento distrutto.
    Come era possibile che fosse successa una cosa del genere? Doveva essere morto, Kizokukoi era morto. Lo aveva visto con i suoi occhi. Come era...possibile? Sentì la presa sul proprio corpo cominciare a farsi sempre più esile, la consapevolezza dei suoi arti allontanarsi e la sua coscienza sprofondare sempre più in basso in una oscurità fredda e solitaria. Il suo corpo sobbalzò, i singhiozzi mutarono in una risata sempre più potente, sempre più sguaiata.
    Sollevò la testa verso l'alto rivelando il volto interamente mutato, la bocca spalancata a rivelare denti affilati come quelli di un piranha e le labbra piegate all'insù.
    "Ahhhh! LIBERO! FINALMENTE!" Urlò Kizokukoi mentre osservava l'intera pelle del corpo dell'uomo mutare, lasciando il passo a lucenti squame bianche ed arancioni. Inspirò a pieni polmoni, il suo corpo ora muscoloso e possente. Strappò la lancia dal pavimento e si girò per inseguire la donna mentre la lingua guizzava tra i denti allungati. Non l'avrebbe risparmiata. Non...
    Percepì uno strattone nelle profondità della sua testa. Indietreggiò di un passo. Poi inspirò di nuovo. L'aria era pregna di carne, uomini e donne tutti intorno a lui, di olio per armi, del freddo metallo, del cuoio e del legno laccato.
    Stavano arrivando per lui. Presto lo avrebbero circondato.
    "Uhmpf... Non perderò un'altra volta..." Conficcò di nuovo la punta della lancia nel pavimento e ruotò l'arma come una chiave nella toppa. L'acqua spillò dal suolo come una fontana, cominciando ad allagare l'appartamento.
    Gli ANBU arrivarono troppo tardi, atterrarono uno dopo l'altro sul piano allagato, le armi sguainate e pronti all'azione ma non trovarono nessuno.
    Di Mishu Ameki non c'era più traccia.

    Konohagakure no Sato.
    Appartamento a Sud-Est del Villaggio.



    Il tempo era grigio quel giorno. Sentiva un fastidio alla base della nuca, come se qualcuno gli avesse conficcato uno spillone proprio nel cervelletto. Si sfregò la testa e cercò di non pensarci ma era difficile. Inspirò e rilasciò l'aria sentendo le spalle piegarsi di nuovo verso il basso, come schiacciate da un peso invisibile. Erano anni ormai che sentiva di portare quella specie di peso. Era venuto con un appellativo che gli era stato attaccato, a lui e ad altri Ninja: i "Caduti".
    Era così che li chiamavano, per il fallimento che avevano provocato circa tre anni prima nelle terre della Luna. Alcuni Ninja avevano retto il peso di quel nome meglio degli altri, lui non era tra questi. Lui, per quel nome, aveva "perso" tutto. Sentì un moto di rabbia salirgli nel petto e raschiargli la gola come un ruggito soffocato. Davvero meritava un simile nome? Davvero una manciata di Chuunin coordinati da uno Special Jounin poteva recare sulle proprie spalle il peso del fallimento di aver visto spazzata via la popolazione di un'intera nazione? Dove erano andati a finire gli ANBU? Quando le voci che i "Demoni" camminavano nella Luna si erano sparse tra i corridoi delle sale dei Kage, perché non avevano mandato qualcuno di più forte? Perché? Dopo che shinobi di rango e abilità ben più importanti erano riusciti "solo a metà" a contrastare il Mouryou e i suoi demoni? Qualcuno non aveva fatto quello che doveva e non era colpa loro.
    Come spesso accade, però, loro avevano rappresentato il perfetto capro espiatorio per l'errore dei più grandi. Sollevò gli occhi azzurri verso il cielo. La luna era alta ed illuminava ogni cosa di una luce argentata. Era di ritorno verso casa dopo una giornata di duro allenamento con la sua Unità. Il vento batteva sul suo viso scoperto. Fino a poche ore prima aveva avuto sul volto una maschera raffigurante un oni, leggermente dissimile dalle classiche maschere da ANBU perché più simile nella forma ad una maschera capace di completare un kabuto da samurai. Un volto bianco e nero con forme che richiamano delle fiamme che ha al centro della fronte il simbolo rosso del Vortice, simbolo utilizzato dal villaggio della Foglia quasi al pari della foglia stessa. Il tutto era completato da un perfetto "sorriso" di zanne bianche particolarmente pronunciate sui canini superiori. Una maschera fiera, che incuteva timore e che ora era più che comoda per il mezzo-demone per celare le sembianze tanto odiate. Odiava ammetterlo ma quasi preferiva la maschera al suo volto scoperto. La trovava più...naturale.
    La luce lunare illuminava il cammino dello shinobi che stanco, ma soddisfatto, saltava ora di tetto in tetto verso la sua abitazione. C'era qualcosa che però lo turbava come un brutto presentimento che difatti si sarebbe palesato di lì a poco. Effettuato l'ultimo balzo atterrò dolcemente sul manto erboso del suo giardino senza fare il minimo rumore. Iniziò lentamente a camminare verso la porta di ingresso quando qualcosa lo fece arrestare di colpo.
    Inarcò la schiena come se qualcuno lo avesse frustato tra le scapole. La testa scattò all'indietro mentre gli occhi venivano spalancati e una scarica di energia lo attraversava completamente dalla punta dei capelli fino a quella dei piedi. Nella testa rimbombò un suono, potente, indescrivibile, alieno.
    Cadde in ginocchio e il dolore sparì. Rotolò in avanti, estraendo i suoi fidati tirapugni, in attesa un successivo attacco ma, guardandosi attorno non vide nessuno.
    Il vento soffiò di nuovo, agitando gli steli d'erba intorno a lui come un'onda precisa. Si sollevò in piedi, rinfoderò un tirapugni e cercò di toccarsi la schiena. Niente sangue, niente ferite, nessun taglio sulla divisa. Strano, doveva esserserlo immaginato.
    Tornò a voltarsi per salire i gradini del porticato. Allungò la mano verso la porta ma la voce rombò di nuovo nella sua testa. Cadde in ginocchio urlando, mille spilli trafiggevano il suo cervello, nel naso l'odore del fumo, nella bocca il sapore metallico del ferro. Il tirapugni gli sfuggì di mano e si conficcò di punta nel legno del porticato.
    Inspirò ed espirò, la schiena che si sollevava ed abbassava in ampi movimenti. Cominciò a sudare copiosamente, non riusciva a muoversi, il dolore era troppo.
    "Figli..." la voce si fece strada nella sua testa, come un trapano che scavava nella materia grigia. Sentì qualcosa scivolargli dal naso e gocciolare un po' alla volta sulle sue ginocchia. Era sangue.
    "Ho bisogno... Di voi..."
    Urlò di nuovo, rovesciando indietro la testa, inarcando la schiena.
    Gli occhi ruotarono nelle orbite e divennero bianchi, poi ogni cosa fu invasa dalla luce.
    Sbattè le palpebre. Il vento fischiava tra i capelli e attraverso i buchi degli occhi e della bocca. Abbassò lo sguardo. Il suo corpo si muoveva da solo. Balzava da un albero all'altro, scivolava tra i rami come una scimmia. Appoggiò una mano sul legno e si dette una spinta in avanti, quasi volando tra le frasche. Inorridì alla vista delle proprie dita: ricoperte da uno strato di metallo lucido ed inciso di rune azzurrine.
    Si accorse con raccapriccio che non aveva più il controllo sul proprio corpo. Che era stato relegato ad una posizione di spettatore.
    Un altro balzo in avanti e volò sopra lo specchio di un fiume. I suoi occhi colsero la figura riflessa nell'acqua e sentì il cuore sprofondargli nel petto.
    "No, non è possibile... Tu eri morto!"
    "Credevi... Invece hai errato, giovane... Il Potere del Padre non conosce limiti... " rispose la figura al buio davanti a sé. Atterrò con entrambi i piedi nell'erba, i piedi corazzati che affondavano nella terra soffice. Si sollevò in piedi, imponente, il corpo di acciaio lucido da cui si sollevavano pennacchi di fumo azzurrino.
    L'ombra si mosse e sul prato erboso, intorno al Demone, apparvero cinque uomini vestiti di nero con maschere bianche. Il silenzio tra loro si dilatò mentre il vento soffiava di nuovo, agitando le chiome degli alberi in un frusciare leggero.
    "Ci senti? Se puoi, arrenditi... Non vogliamo uccidere subito un nuovo arrivato..." disse uno dei Ninja mascherati.
    "LUI ci chiama... Noi rispondiamo... Perché la parola del Padre è legge..." Parlò di nuovo Ishi, volute di fumo azzurrino si sollevarono dalla bocca e dagli occhi, intensificando ogni parola, acuendo la minaccia davanti alla quale quegli ANBU si trovavano.
    In tutta risposta gli uomini estrassero le katane dalla schiena e si prepararono a lottare.
    Yuzin lottò, lottò con tutte le sue forze per cercare di muovere il suo corpo, per costringere Ishi ad arrendersi. Niente sembrava funzionare. Così come un tempo Ishi era morto e parte di lui era divenuta Yuzin ora l'opposto era avvenuto. Ishi era rinato e Yuzin era parte di lui, una parte che non aveva più alcun controllo.
    "Torna a dormire... Il tempo dell'uomo è finito... Ora è giunta l'era dei Demoni..."
    Yuzin sentì il panico serpeggiargli nel petto. Vide le mani di Ishi avvicinarsi ai fianchi ed estrarre i due Tirapugni, i suoi tirapugni. Le lame vennero avvolte da volute di Chakra azzurrino mentre il Demone allargava le braccia ai fianchi, le punte rivolte verso il basso.
    "Le vostre morti saranno il giusto sacrificio per la mia rinascita, umani!" Tuonò Ishi scattando in avanti come la furia del vento.
    Rimase lì, inerme, ad osservare i suoi neo compagni venire trucidati uno dopo l'altro. Osservò il loro sangue macchiargli la maschera, il corpo ricoperto di acciaio lucido. Udì le urla, le grida di dolore ma non poté fare nulla.
    Sperò, sperò fino all'ultimo che riuscissero ad abbatterlo, a fermarlo, sperò persino che Goh arrivasse lì per arrestare la sua corsa. Il suo "fratello di sangue" non arrivò mai però e nessuno di quegli uomini fu abbastanza potente per fermarlo.
    La lama del Demone Samurai si abbattè sull'ultimo uomo e il silenzio calò di nuovo sulla radura. Ishi rinfoderò i tirapugni e rimase in silenzio ad osservare i cadaveri sparsi intorno a lui. Il sangue aveva macchiato di scuro l'erba, i corpi erano squartati e disposti in pose scoordinate. Fece per volgersi verso Est ma si fermò. Sollevò un dito verso l'angolo dell'occhio sinistro. Qualcosa gli ostruiva la vista, appannandogliela. Era forse sangue? Allontanò la mano e osservò l'indice, era bagnato di qualcosa di trasparente. Il Demone non aveva idea di come descrivere quella sensazione ma Yuzin sì. Quell'unica lacrima era stata versata per la morte dei propri compagni. L'uomo imprigionato nel corpo del Demone sentì la mente spezzarsi sotto il peso della realizzazione di ciò a cui aveva appena assistito: era stato troppo debole per impedire che le loro vite si spegnessero.
    L'oscurità avvolse la mente dell'Eremita e poi tutto si tacque. La sua mente si spense e Ishi fu di nuovo unico, intero.

    Kumogakure no Sato,
    Quartieri della Truppa Kinkaku.



    Ruotò a mezz'aria, i muscoli distesi del braccio destro, il fischiare dell'arma nell'aria. Era in perfetto controllo, lui e l'arma una cosa sola. La spada corta fendette l'aria con un fischio leggero conficcandosi nel legno del manichino con un *stock* sordo. La lama trapassò il petto imbottito e lui tirò la catena con uno strattone. Il manico schizzò via per venire afferrato al volo. Ruotò il busto distendendo di nuovo il braccio verso destra e lo lasciò andare l'arma ancora una volta. La catena scivolò tra le sue dita, sferragliando tra i polpastrelli. La lama dell'Arma trapassò da parte a parte un altro manichino. Lui mosse il braccio sollevandolo sopra la testa, ruotò il busto e fece sciovolare il piede destro in una rotazione di centoottanta gradi mentre il braccio seguiva il movimento circolare e la lama ruotava sopra la testa in un semicerchio perfetto. Eseguì una piroetta precisa e l'arma tranciò altri tre manichini in una arco d'acciaio brillante. Saltò in aria e piroettò facendo seguire al movimento la catena con l'arma. Quella seguì il movimento in una sferzata precisa e gli ultimi due manichini, uno alle spalle ed uno davanti a lui vennero tranciati in perpendicolare con una precisione letale. Atterrò, richiamando l'arma con un ultimo strattone ed afferrandola con la sinistra.
    "Perfetto!" disse con un sorriso mentre un ciuffo di capelli neri scivolava davanti agli occhi. Si passò una mano tra i capelli con un gesto deciso mentre sfilava le Kestuen insieme all'Ikiryō, appoggiandole con delicatezza su una panca di legno del Dojo aperto. Afferrò un asciugamano e cominciò a tergersi il sudore. I suoi allenamenti stavano cominciando a fruttare, ormai era una tempesta di acciaio in grado di colpire più bersagli contemporaneamente. Osservò le mani ricoperte di vesciche e calli, le mani di un uomo abituato ad allenarsi ogni giorno fino allo stremo.
    Sorrise soddisfatto, la giornata cominciava sempre bene dopo una bella sudata.
    Una figura apparve nel giardino privato e si schiarì la voce. Era un uomo con la divisa di Kumogakure ed una maschera striata di giallo. Un ANBU al servizio di Kumogakure no Sato, più precisamente il suo nome in codice era Kiiro, Giallo, proprio per via del colore sulla maschera. Non molto originale, ma meglio di niente.
    "Il Raikage è in movimento, Okami."
    Annuì in risposta. L'uomo tornò a sparire alla vista mentre sprofondava nel pavimento.
    Da quando era entrato nella Truppa Kinkaku le sue giornate si dividevano tra allenamenti, Missioni e sorveglianza come guardia del corpo del Raikage. Oggi doveva toccare a lui. Si diresse verso gli spogliatoi continuando a tergersi il sudore sul collo muscoloso.
    Un rombo di tuono echeggiò nel cielo, facendolo arrestare a pochi metri dal cortile interno. Okami alzò la testa osservando le poche nuvole bianche che spruzzavano il cielo azzurro. "Un tuono in pieno giorno? A cielo aperto.....Oh...No..." Un brivido gelido gli formicolò lungo la schiena. Okami allungò la mano e le Ketsuen schizzarono dalla panca come una serpe. Le catene rosse serpeggiarono intorno al suo braccio sinistro, serrandosi intorno ai muscoli con una spirale perfetta mentre la catena della Ikiryō le seguiva. Uno strattone deciso e l'impugnatura dell'Arma tornò tra le dita. Ruotò il corpo con decisione. L'aria era elettrica. Qualcosa non tornava. Sentì i peli del collo rizzarglisi come spilli. Si guardò intorno, gli occhi scuri che saettavano in cerca di qualsiasi movimento.
    Sapeva che non avrebbe trovato niente, quello che cercava non era visibile agli occhi.
    Un altro rombo di tuono. Un lampo rosso, mentre un fulmine si schiantava al suolo, colpendo il terreno erboso a neanche un metro da lui. Sollevò entrambe le braccia davanti al viso, assumendo la posizione di guardia mentre il Chakra Raiton veniva esternato in una esplosione di un rosso brillante. Spruzzi di terra si sollevarono nell'aria, l'onda d'urto lo spinse indietro di qualche metro ma lui resistette. Rimase immobile per qualche secondo mentre l'aria densa di polvere si ripuliva e tornava a vedere. Un piccolo cratere di circa un metro era apparso sul terreno del campo di addestramento. Al centro, fumante, c'era una katana dal manico consumato e dalla lama conficcata nel terreno per oltre due terzi.
    "Oh no, cazzo, no!" Urlò Okami sentendo il braccio sinistro muoversi da solo in avanti, cercando di allungarsi verso l'impugnatura della lama. "No!" Urlò con decisione il ninja, piantando i piedi a terra ed afferrando il polso della mano sinistra con la destra. Fulmini rossi saettarono in tra il manico della katana e la sua mano protesa. Okami strinse i denti sentendo quell'energia trascinarlo in avanti. I piedi saldamente piantati a terra cominciarono a venire trascinati nell'erba, scavando nel terreno.
    I suoi occhi saettavano dal braccio all'arma, si guardò intorno in cerca di aiuto. La paura serpeggiò nel petto. Cosa doveva fare? Guardò di nuovo l'arma, consumata e usurata dal tempo e dalle numerose battaglie. Aveva impugnato molte armi nella sua vita ma quella...quella ricordava l'arma che un vecchio contadino aveva sopra il caminetto. L'arma del nonno, antico samurai. Osservò la lama: era arrugginita e sbeccata, lunghi solchi ne crepavano il metallo. Abbassò lo sguardo verso la catena che stringeva il suo braccio con una presa violenta.
    Un pensiero folle gli attraversò la testa. "Perché no..." Pensò lasciando andare ogni tipo di resistenza ed incamminandosi in avanti per afferrare l'impugnatura della lama con la mano sinistra. Fu come impugnare il fulmine. Una scossa violenta lo attraversò da parte a parte, sentì i denti battergli mentre scariche rosse percorrevano la sua pelle e si risversavano al terreno.
    Gli occhi si rovesciarono e tutto divenne bianco.

    Inspirò. L'aria odorava di bruciato. Il mondo intorno a lui era una stanza bianca con gli angoli anneriti. Si passò una mano tra i capelli, accorgendosi di essere ancora intero. Non era morto, almeno quello. Si guardò intorno cercando di capire dove fosse. Una figura era seduta a terra. Un bambino con i capelli rossi giocava con un cavallino di legno. Nient'altro.
    Dove cazzo era finito? Osservò il bambino per qualche minuto a disagio. Cosa doveva fare?
    "Vuoi giocare con me?" disse il bambino girandosi verso di lui e protendendogli la manina. Solo ora si era accorto che il bambino aveva la pelle rossa come il sangue e le ughie e la sclera degli occhi erano neri. Non lo trovava inquietante però, stranamente. Abbassò la testa e si inghinocchiò accanto al bambino.
    "Certo! A cosa giochiamo?" gli disse mentre afferrava il cavallino che il bimbo gli porgeva.
    La faccetta del piccolo si piegò, rivelando un sorriso sdentato.
    "A chi ARRIVA PRIMO" Disse mentre la voce gli si abbassava divenendo roca e il braccio del bambino saettava in avanti, crescendo e gonfiandosi prima di divenire la mano muscolosa di un uomo alto due metri con due lucenti corna nere sulla fronte.
    Sentì l'aria mancargli, gli artigli conficcarglisi nella carne. Emise un verso strozzato.
    "Potrei ucciderti qui...sarebbe tremendamente facile" disse Arashimo fissandolo negli occhi con una calma fredda e decisa. Sentì il corpo venire sollevato verso l'alto, i piedi agitarsi nell'aria. Non cercò di fermarlo. Il demone lo osservò con aria incuriosita. "Ti sei già rassegnato?" disse notando la sua arrendevolezza.
    "Se avessi voluto uccidermi lo avresti già fatto." disse fissando il mostro di rimando. Non battè cigliO, rimase fermo, alla mercé della bestia.
    "Cosa vuoi?" la voce era arrochita dalla stretta bestiale ma lasciava traspirare una leggera irritazione.
    Arashimo abbassò il braccio e lo fece tornare con i piedi per terra. Era sempre stato un uomo grosso ma, davanti a quel Demone, sembrava quasi un ragazzino.
    "Un patto..." disse il demone con un filo di voce."Un patto...per la libertà"
    Sollevò l'indice dall'unghia nera verso il braccio sinistro di Okami. "Sono stato sul tuo fianco da tre anni ormai...Nessuno ha mai cercato di capire il mio potere, nessuno ha mai cercato di capire davvero il mio valore...Nemmeno mio padre"
    Okami non abbassò lo sguardo e rimase a fissare Arashimo negli occhi.
    "Tuo padre era un idiota. Il tuo potere è meraviglioso, Arashimo. Io ho solo cercato di rendergli onore."
    Il demone annuì. Vide un'ombra negli occhi del mostro, una pena ed una sofferenza mai vista prima. Solo ora poteva vederlo meglio. La figura imponente era segnata da numerose crepe. Abbassò lo sguardo e notò come, dalla vita in giù, la potenza del demone non era altro che l'ombra di un ricordo. I piedi nudi erano secchi e scheletrici, la pelle tirata e grinzosa intorno alle ossa in rilievo, i muscoli sottili come carta.
    Solo ora si era accorto del tremore nelle gambe del mostro, stava facendo persino fatica a rimanere in piedi.
    Non osò dire altro, per paura che la sua compassione venne scambiata per commiserazione.
    "E sia... Un patto... Insieme... Per la libertà..." Il demone gli porse il braccio, lui esitò poi lo afferrò serrando la mano intorno al suo avambraccio e così fece l'altro.
    "Ciò che è spezzato non può tornare perfetto... Ma non rimarrà spezzato per sempre..." disse Arashimo in modo criptico prima che la luce tornasse ad accecare Okami.
    Si risvegliò steso nel prato. Si sollevò in piedi con il movimento degno di un'anguilla. Il braccio sinistro era ancora avvolto intorno alle Kestuen, la Katana nel cratere non c'era più. Tirò un sospiro di sollievo appoggiando la mano sinistra sul viso e ridacchiando. Qualcosa di duro sbattè sulla sua fronte, duro e ruvido.
    Si fermò, inorridito. Allontanò la mano dal viso e notò che era...diversa. La pelle era divenuta più spessa, del colore nero con venature rosse. Chiuse il pugno notando le lunghe unghie nere e le nocche sporgenti.
    Oh mer... Guardò l'altra mano, si tastò il viso e, il cuore che era sprofondato nel petto tornò a battere. Non era trasformato completamente. Solo il braccio che teneva le Ketsuen era stato corrotto. Solo il braccio fino alla spalla.
    "Solo il braccio fino alla spalla????" Si lasciò sfuggire dalla bocca in un verso stridulo dall'isteria. "Ma che cazzo!!" Cominciò a camminare avanti ed indietro nel giardino d'addestramento, poi si fermò. Sentiva qualcosa...un suono nell'aria. Non lo aveva notato prima, era obiettivamente troppo impegnato a realizzare che parte del suo corpo era stata trasformata in qualcosa di mostruoso. Un rombo di tuono echeggiò di nuovo nell'aria. Il richiamo divenne più forte. Cercò di concentrarsi, era...erano delle parole, delle parole che echeggiavano da molto lontano! Tornate...A...Combattere
    Il sangue gli si gelò nelle vene. Era una chiamata al plurale, non era il solo ad esser stato richiamato. Questo significava che...
    Si girò camminando spedito verso lo spogliatoio. I suoi movimenti erano decisi, veloci. Non c'era tempo da perdere. Altri erano stati richiamati e, dubitava, erano stati così fortunati o resistenti come lui alla chiamata del Padre. Altri Ninja avrebbero passato quello che aveva passato lui e non aveva dubbi su quello che avrebbe dovuto fare: fermarli.
    A tutti i costi.
    Non permetterò che degli uomini e donne abbiano sulle spalle lo stesso peso che ho portato io per anni...Non permetterò che si sveglino ogni mattina sapendo di aver ucciso degli innocenti... Ogni cosa aveva perso di significato ora. Il Raikage avrebbe aspettato, i suoi doveri di guardia del corpo pure.
    Ora una sola missione era chiara.
    Doveva andare in direzione della chiamata, non per unirsi alle fila di chi avrebbe distrutto ma per frapporsi alla distruzione; fermare quelle mani inconsapevoli dal macchiare per sempre il loro destino. Si vestì rapidamente, infilò nella borsa da viaggio il resto del suo equipaggiamento e, senza pensarci, afferrò un mantello scuro, privo di cappuccio da uno dei pioli dello spogliatoio. Con un volteggio sicuro, assestò il mantello di lato, in modo che coprisse perfettamente la spalla ed il braccio sinistro e lasciasse scoperto il destro. Si guardò allo specchio per un secondo prima di uscire dalla porta con il mantello che svolazzava alle sue spalle.
    Aveva lasciato sulla panca un messaggio conciso: "LUI sta chiamando, ho resistito ma ce ne sono altri. Vado a fermarli, è il mio dovere." Il Drago avrebbe capito. Tutti sapevano del suo passato. Non aveva nascosto cosa aveva fatto, nonostante all'inizio molti shinobi lo temessero per la sua instabilità, aveva mostrato di essere più fedele e capace di molti altri. Ryu gli aveva dato credito e carta bianca per ogni cosa che fosse necessaria riguardante Arashimo, solo voleva essere informato. Ora però, non c'era modo di dare altre spiegazioni, ogni secondo passato poteva significare la morte di molti innocenti, era tempo di agire. Okami ricordò i frammenti spezzati dei ricordi del suo combattimento sulla terra della Luna, la morte dei suoi compagni, il fulmine rosso tra le nuvole. A quei soli pensieri le Ketsuen emisero scariche cremisi. Cercò di ritrovare la pace mentale, osservò il suo braccio mutato e inspirò a pieni polmoni. Era tempo di andare.
    Così, Okami Yotsuki camminò al centro del campo di addestramento, compose un singolo Sigillo, e sparì in un lampo di fulmine rosso.
     
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    Una nuova speranza

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    Il portone si spalancò lasciando spazio a cinque figure che a passo lento fecero il loro ingresso, guidati dallo stesso Yusuke Uchiha quel che rimaneva dei caduti della Luna sfilò davanti allo sguardo biasimante dei Kage. Alle loro spalle uno stuolo di monaci entrò silenziosamente.
    Guidati da quello che era stato il loro capitano, i reduci si fecero avanti permettendo così ai Kage di scrutarne i volti.
    Per un momento Jinobu venne distratto da quelli che erano i suoi compiti, avrebbe dovuto pensare a un modo per porre rimedio a quel disastro, attrezzare nuovi posti a sedere, procurare le portate aggiuntive, ma l'ingresso dei sei lo attirò con un certo magnetismo. L'eco della loro clamorosa disfatta e delle sue conseguenze aveva raggiunto anche quelle terre e vederli ora riuniti era come vedere i protagonisti di una storia che si era sentita cento volte in cento versioni diverse. Era un po' deluso per la mancanza di alcuni dei protagonisti, ma anche quelle storie lo avevano raggiunto. Il disonore della sconfitta era per molti un fardello importante da sopportare e molti di loro erano caduti in disgrazia nei propri villaggi, additati da tutti come mostri e perdenti. Il Nagasaki era l' unico di cui si avessero notizie certe, non solo il portatore del quattro code aveva deluso il suo Villaggio a Tsuki, ma da quel momento si era come perduto vittima di sé stesso e schiacciato dal peso del potere che portava, fino a che un giorno non lo aveva più trattenuto. I dettagli non erano pubblici, ma pareva che durante lo scontro con un mukenin ai confini con Iwa avesse perso il controllo dello Yonbi morendo di una morte atroce. Nulla si sapeva della fine del quattro code e probabilmente per quello Kirigakure aveva cercato di insabbiare un po' tutto, per non sbandierare ai quattro venti di aver perso l'ennesimo Bijuu dopo lo scandalo di Kaila Bisukosu. Sembrava che la Nebbia non fosse proprio brava a mantenere le proprie armi di distruzione di massa.
    Degli altri Caduti della Luna si sapeva ancora meno, il vecchio pazzo era già fuori di testa prima dell'incidente e pareva fosse sparito dal villaggio in un giorno di nebbia, mentre la spadaccina sanguinaria si era lasciata corrompere dalla sua lama demoniaca.
    Per sua fortuna l'Uchiha era riuscito a rintracciare l'unico ninja di Kumo del gruppo, avere una voce che non venisse dalla Nebbia o dalla Foglia era fondamentale per convincere i Kage più scettici.
    "I demoni rinnegati che vi accompagnano fin dai tempi dei Tsuki hanno servito il Moryou in passato. Ci serve il loro aiuto per riuscire a sconfiggerlo."
    Le parole dell'Hokage erano quelle di chi aveva preparato con cura quella circostanza e che si preparava a vivere il suo momento di gloria. Grazie al suo piano il mondo sarebbe stato salvo e solamente a lui sarebbe potuta andare la riconoscenza da parte degli altri. Quel successo avrebbe rappresentato un'importante svolta nel peso della Foglia negli affari internazionali. Per sicurezza Saburo gli aveva consigliato di dare ordine all'Uchiha di radunare anche i monaci superstiti, quell'uomo era intelligente ed era contento di poter contare sul suo supporto e su quello della sua organizzazione, per quanto gli desse fastidio l'essere lui stesso all'oscuro della maggior parte delle cose che la riguardavano.
    "Il Moryou non si può uccidere, è troppo potente"
    Purtroppo per lui Hiroyuki Senju aveva preso la parola dando voce a quello che il guardiano degli innocenti gli stava dicendo nella testa.
    "Purtroppo, temo che sia così. Anche Baku concorda sul fatto che il potere del Moryou sia troppo grande per poter riuscire a distruggerlo!"
    Un brusio si scatenò all'interno della sala e i leader dei Cinque Grandi Villaggi si trasformarono in scolaretti indisciplinati che lanciavano reciproche accuse o si parlavano l'uno sull'altro. L'Hokage era furibondo e tuonava contro Emon Saburo, l'azione che avrebbe dovuto portargli la gloria si stava rivelando un immane buco nell'acqua. Il Raikage apostrofò Jinsuke che si era permesso di unirsi a quel manipolo di shinobi senza chiedergli l'autorizzazione e gli altri cercavano confronto con i loro seguaci inveendo contro i colleghi di tanto in tanto.
    "Baku suggerisce che esiste una possibilità, il Moryou è imbattibile, ma già una volta sono riusciti a sigillarlo"
    La voce calma e asettica di Yusuke Uchiha risultava quasi fuori luogo in mezzo a tutto quel trambusto, ma il suo contenuto fu sufficiente ad attirare l'attenzione di tutti i presenti. Il seme della speranza piantato dal ninja di Konoha e dal suo demone ebbe però vita breve, perché il Kazekage andò lapidario a stroncarlo sul nascere.
    "I nostri più grandi esperti di Fuuinjutsu hanno lavorato sul frammento del Moryou nel tentativo di sviluppare una tecnica in grado di sigillarne il chakra fin dai tempi dell'incidente nella Terra dei Demoni. In tutto questo tempo non abbiamo ottenuto nessun risultato... Nessun risultato nel sigillare un frammento di quel chakra, come sperate di riuscire a sviluppare qualcosa in grado di sigillare l'intero demone nel giro di qualche settimana?"
    Il realismo del capo della Sabbia cadde come una ghigliottina sull'entusiasmo generale, ma fu a quel punto che timidamente si face avanti quello che era stato nominato come nuovo capo dei monaci.
    Jinobu osservò con curiosità l'uomo che doveva essere di mezza età, ma il cui volto tirato e privo di peli in faccia e sul capo poteva tranquillamente essere quello di un ragazzino, come quello di un sessantenne. In tutta la sua vita non gli era mai successo di partecipare ad un Summit in cui la tensione potesse essere così palpabile, in quei minuti si stavano probabilmente decidendo le sorti del mondo e lui non riusciva a non pensare ai suoi dannati okonomiyaki e a come avrebbero fatto gli ospiti ad apprezzarli se fossero stati serviti freddi.
    "Come saprete il rituale di sigillo del Moryou è andato distrutto durante l'attacco del tempio e nessuno di noi ha le conoscenze necessarie a poterlo riprodurre..."
    La notizia era risaputa a tutti i presenti, ma l'ascoltarla ad alta voce concretizzò il fatto rendendolo reale e confermando che un'altra delle loro poche opzioni era effettivamente impraticabile.
    "Però, potrebbe esserci una possibilità..."
    "Forza, sputa il rospo dobbiamo agire in fretta. Non farci perdere tempo!"
    Le pause teatrali del monaco avevano fatto perdere le staffe addirittura a Mishu Ameki, che normalmente era in grado di mantenere la calma e un atteggiamento rispettoso in quasi tutte le situazioni.
    "Il sigillo del Moryou non è l' unica cosa che il nostro ordine ha il compito di proteggere..."
    Un'occhiata ai suoi compagni che annuirono con il capo incitandolo a continuare a parlare, era facile intuire come ci fosse stata una lunga discussione tra di loro prima di decidere di rivelare l'informazione che avevano custodito segretamente fino a quel momento.
    "Il nostro ordine ha combattuto il Moryou per secoli ed è riuscito a sigillarlo, ma esisteva già quando il Moryou è diventato una minaccia per il mondo. La verità è che è stato il Moryou per primo ad attaccare il nostro ordine per appropriarsi della Tartaruga di Giada..."
    Lasciò che avessero tempo per elaborare le informazioni, se al momento il tutto poteva non sembrare sconvolgente, ben presto lo sarebbe stato per tutti quanti. Fino a quel momento la storia che era stata raccontata loro era che l'ordine fosse nato per contrastare il demone e le cose avrebbero continuato ad essere così se non si fossero trovati in quella situazione disperata, che necessitava di azioni disperate.
    "È una storia che si tramanda dai tempi antichi all'interno dell'ordine. La Tartaruga di Giada è in grado di interferire con la struttura stessa dello spazio e del tempo, se qualcuno riuscisse mai a dominarne il potere arriverebbe a dominare il tempo stesso, è per questo che teniamo da sempre questa informazione nascosta."
    Un mormorio di sorpresa si sparse dai presenti e il Kokage assunse un'espressione corrucciata.
    "Quindi voi siete venuti a chiedere il nostro aiuto mentendoci e nonostante tutto quello che è successo avete continuato a mantenere questo segreto?"
    Il monaco non si scompose e accolse le accuse con un'espressione serena sul volto.
    "Nei secoli le guerre degli uomini hanno fatto più danni di quelle dei demoni. Non potevamo permettere che il mondo venisse a conoscenza di un simile potere. Sapete meglio di me quello che ciascuno dei vostri villaggi sarebbe disposto a fare per poterlo stringere in pugno!"
    A quelle parole i mormorii tacquero e per quanto le parole del monaco fossero state estremamente dure, nessuno avrebbe potuto in coscienza controbatterle.
    "Il vero problema è che la reliquia è stata presa secoli fa. Nessuno in vita sà che fine abbia fatto, ma gli indizi della leggenda ci fanno pensare che sia nascosta all'interno della terra dei Demoni... Se giurate di renderla all'ordine non appena sarà tutto finito, allora vi aiuteremo a trovarla."
    Il silenzio più assoluto si era diffuso nella sala e dopo quella che parve un'eternità fu il Kazekage a rompere l'atmosfera surreale con un ghigno beffardo.
    "Una leggenda! Dovremmo affidare il destino del mondo a una leggenda, ma certo. Abbiamo già perso fin troppo tempo! Mi avete convinto della minaccia del Moryou, ma farò affidamento sui miei ninja per riuscire a superarla, non certo sugli echi di una leggenda del passato. Farò immediatamente ritorno a Suna e preparerò un contingente da guidare personalmente verso Kirigakure. Spero che siate tutti in grado di fare la vostra parte in questo!"
    Le parole lapidarie del Kazekage non lasciarono spazio ad alcuna replica e al contrario trovarono il favore del resto dei Kage, che convennero sulla necessità di fare fronte comune. La coalizione dei cinque villaggi avrebbe creato un Esercito Ninja come non si vedeva da centinaia di anni, tutti e cinque i Kage si sarebbero radunati a Kirigakure sotto la guida del Kokage, che in qualità di veterano avrebbe assunto il ruolo di Comandante Generale. Mentre tutti uscivano dalla sala Kisuke e Kyoshiro si avvicinarono ai monaci accompagnandoli all'esterno. Il Mizukage era stato chiaro con loro due, mentre ancora una volta il coppiere faceva per riempire un bicchiere che non era quasi stato toccato.
    "Noi sappiamo che non possiamo vincere questa guerra. Siete la nostra unica speranza! Portate con voi il resto della scorta e andate coi monaci nel Paese dei Demoni, ci serve quell'artefatto e soprattutto ci serve quel rituale, quando lo avrete ottenuto andate a Tsuki e fate fuori quel dannato demone una volta per tutte!"
    Jinobu in tutto ciò era disperato. Tutti se ne stavano andando e nessuno aveva neanche toccato le sue prelibatezze. Un disastro totale, forse un motivo valido per fare Seppuku, se solo fosse stato un samurai e non un responsabile di sala.
    L'uomo avrebbe avuto modo di riflettere a lungo riguardo a quella debacle e a cosa avrebbe potuto fare per evitarla, ma nel frattempo c'era tutto da sbaraccare e doveva essere lui a guidare i lavori. Ci vollero un paio d'ore per finire di sistemare tutto ed ogni volta che passava dalla cucina e incrociava gli occhi con l'uomo dal naso adunco, un brivido gli passava per la schiena. La delegazione di Konoha era l'unica ancora in circolazione, proprio perché quel tizio aveva l'incarico di pulire le menti dei vari camerieri da tutto ciò che potevano aver sentito. Ad ogni Summit quella procedura richiedeva sempre diverso tempo e quel giorno non fece eccezione, se non per il fatto che a un certo punto il volto dell'uomo assunse un'espressione preoccupata e smise di occuparsi dell'uomo che aveva sotto mano per precipitarsi fuori dalla stanza.
    Il caposala non poteva saperlo, ma quell'uomo rispondeva al nome di Tora ed era uno dei sensoriali più abili di tutta Konoha, fin dall'inizio del summit aveva sempre tenuto aperto il suo occhio psichico, monitorando tutto ciò che succedeva nell'arco di chilometri. In quel preciso momento aveva percepito uno dei camerieri che ancora dovevano passare sotto le sue grinfie scendere le scale, se già era curioso che andasse verso l'umida cantina abbandonata, il suo cuore fece un balzo quando una strana energia oscura, qualcosa con cui non aveva mai avuto a che fare prima, si palesò in quello stesso punto. Il suo cervello fece due più due nel giro di un istante, non poteva che essere qualcosa legato al mondo dei demoni.
    "Saburo, Kagachi cantina del terzo edificio. Subito!"
    La comunicazione mentale era partita insieme alla sua corsa e non appena le parole dell'uomo erano rimbombate nella testa dei rispettivi destinatari, entrambi abbandonarono le loro faccende per scattare in quella direzione. Ci misero meno di un minuto a giungere a destinazione, ma quando voltarono l'angolo del cameriere non restava che il cadavere. Un'ombra scura sopra di lui li guardava sorridendo, le zanne mostruose che a Yusuke ricordarono una versione più matura di quelle che lui stesso aveva ricevuto in dono.
    "Piccoli, patetici... Siete già morti! Siete tutti morti!"
    Con quelle parole l'ombra scoppiò in una macabra risata e si dissolse nell'aria.
    "Che cazzo è successo?"
    Tora era arrivato proprio in quel momento, la fronte madida di sudore per lo scatto e il fiato leggermente accelerato.
    "Scopri subito cosa si sono detti!"
    Saburo impassibile come sempre diede l'ordine ben conscio del fatto che analizzando gli ultimi ricordi della vittima, Tora sarebbe stato in grado di ricostruire cosa fosse successo.
    "Merda, niente da fare. Se l'è ciucciato."
    Quelle parole e la loro spiegazione furono per una volta in grado di far trasalire anche Emon Saburo. Il cadavere del cameriere era stato come svuotato di tutti i tessuti molli, la pelle come un'involucro vuoto a coprire le ossa.

    Edited by Glustrod - 18/4/2024, 21:57
     
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    Lo Spirito del Sacrificio

    mamemi-spada



    Osservò la custodia di legno levigato appoggiata sul tavolino basso di legno davanti a sé. Lo inquietava. Rimaneva affascinato da quel legno e dalla fattura con cui l'artigiano, chissà quanti addietro, aveva realizzato il tutto. Eppure, allo stesso tempo, la presenza dei numerosi rettangoli di carta bianchi con sopra il Kanji di Sigillo trasformavano quell'opera d'arte di artigianato in un vero e proprio oggetto portatore di inquietudine.
    Si schiarì la gola, abbassò lo sguardo verso le sue gambe incrociate e poi sulla tazza di té che teneva sul tavolino. Quello che stava per fare lo metteva a disagio e lo faceva sentire in difetto. Eppure aveva senso. La parte razionale ed analitica di lui, sapeva avere tremendamente senso.
    Buttò lo sguardo fuori dalla finestra, facendosi distrarre da un ramo di ciliegio i cui boccioli avevano appena cominciato a gemmare. Un piccolo passerotto dai colori vivaci balzò sul ramo, cinguettò allegro per poi ripartire. Era per quello che lo stava facendo. Aveva visto la distruzione che c'era stata davanti alle porte di Teichi, aveva visto la morte aleggiare negli occhi di quegli esseri. Non c'era più nulla di umano in quelle creature, non erano più esseri viventi, erano divenuti peggio di umani: Demoni.
    Eppure il Mizukage non c'aveva pensato due volte a dargli quell'incarico, a lanciare un'altra anima dentro il mortaio. Si schiarì di nuovo la gola e bevve un altro sorso di té. Mosse la posizione seduta a disagio, spostando il peso da una natica all'altra. La leggerezza sulla schiena gli risultava innaturale dopo quelle settimane passate al fronte. Abbassò lo sguardo verso sinistra. Là dove riposava la sua fedele arma che era solito tenere sulle spalle. Era sempre lì, era sempre lì.
    Tornò a fissare la custodia di legno. Le sue labbra si strinsero in una linea sottile.
    Conosceva il Credo dei Ninja, sapeva quello che doveva essere fatto, perciò non era contrario al mandato del Mizukage. Ogni Shinobi e Kunoichi del Villaggio doveva essere pronto a dare la vita per il benessere di molti. Si combatteva nell'ombra perché bambini e civili potessero continuare a sorridere alla luce del sole. Si viveva la vita dei fantasmi perché altri potessero non pensare ai propri nella vita di tutti i giorni. Era giusto così, era sensato sin dal momento in cui il Villaggio era stato eretto, e lui aveva abbracciato ed integrato quel pensiero anni or sono. Se sacrificare la vita di uno Shinobi poteva permettere di salvarne altre cento, non ci si doveva pensare due volte. Sopratutto se quello Shinobi era sacrificabile, e lui aveva giusto qualche nome posto in cima alla lista dei sacrificabili. Per il bene del Villaggio, ovviamente. In tutti i sensi.
    Purtroppo, però, oggi nessuno della sua lista personale dei sacrificabili era stato scelto, al contrario era stata scelta la persona sbagliata. Proprio quella che per lui non avrebbe dovuto essere sacrificata con tanta leggerezza. Del resto, in tal materia non aveva potere decisionale in opposizone al Mizukage. Aveva provato ad argomentare a tu per tu con lui, certamente, Aveva addirittura provato a dire che quella persona sarebbe stata senz'alcun dubbio più utile e capace nelle retrovie, con una posizione di comando, in grado di poter sfruttare la mente strategica che si ritrovava come una sorta di sua personale estensione per il bene e la protezione del Villaggio. Non in prima fila a far scorrere sangue. Però lei aveva accettato di ingrossare le fila degli ANBU, e l'ultimo arrivato non aveva nessuna voce in capitolo. Voleva servire il Villaggio, e ora il Villaggio le stava dando l'occasione di farlo. Nel bene e nel male.
    Sorseggiò di nuovo la tazza di té e grugnì con disapprovazione. La sua stretta si fece più salda non appena sentì la porta a pannelli scorrere.
    La figura di una ragazza dai brillanti capelli rossi oltrepassò la soglia.
    "Volevi vedermi?"
    "Siediti." ordinò diretto e conciso. In quel momento aveva il dovere di essere il più asettico possibile poiché non poteva far traspirare niente: instillare il dubbio nei sottoposti era il peggiore dei veleni.
    Appoggiò con decisione la tazza di té sul tavolino.
    "Ho deciso che sarai in prima linea per un assalto sul fronte Sud-Ovest. Avrai una piccola squadra di cui sarai al comando, e sarete una delle prime incaricate di iniziare quella che il Mizukage ha definito come tattica di rallentamento..." le annunciò, impedendo che dalle sue parole potesse trasparire qualunque considerazione personale. D'altronde, a suo parere le tattiche di quel tipo erano assolutamente inutili in una circostanza come quella. Dovevano prendere una squadra di elementi d'elitè da tutto il mondo ninja, farsi supportare dal resto dell'esercito per passare con l'elitè oltre le linee nemiche e piantare un bel paletto di legno nel cuore pulsante dell'esercito. Almeno era così che si faceva una volta. Tuttavia, oggi non era così semplice: il Padre era nascosto da qualche parte a Tsuki, e non si era fatto vedere, mentre quel nuovo Mostro imperversava come un tritacarne. Non c'era modo di vincere una nuova guerra frontale, non senza gli aiuti dagli altri paesi che tardavano ad arrivare. "In quel consiglio dei Kage si potevano contare più eunuchi che uomini. Che vergogna. Ai miei tempi ho visto ben altri Kage meritare di indossare quel cappello. Tutto ciò che abbiamo affrontato per portare il mondo ninja a ciò che è oggi è stato dimenticato di fronte alla prima grossa minaccia..."
    "Sì, sono stata informata, ma non sapevo ci fossi tu dietro."
    "In piccola parte sì. La strategia non è mia, ma una parte del lavoro sporco sì. Tagliamo la testa al toro: so che hai deciso di intraprendere la via degli ANBU, Kuroe. È una scelta ingrata, una via fatta di ombre e irriconoscenza..." Lasciò indugiare il silenzio, incerto sul cos'altro dire per continuare quella frase. Decise di non dire oltre, e lasciarla morire lì, perché delle volte era meglio tacere che parlare a vanvera, un'arte che molti Shinobi di questi tempi avevano dimenticato.
    Afferrò la tazza dal tavolino e la portò alle labbra. Prese un altro sorso di tè, portò la mano con la tazza sulla coscia. Il Tè era quasi finito.
    "E...? Volevi dirmi qualcosa...?" incalzò Maemi, mostrandosi scocciata e spazientita. Era irrispettoso, ma ormai la conosceva e decise di lasciar correre per quella volta.
    "Sì, il Mizukage ha riconosciuto la tua presenza e valore in battaglia. La tua ascesa tra i ranghi è stata una delle più veloci negli ultimi tempi. Per questo..." si schiarì di nuovo la gola. Il suo unico occhio dardeggiò verso la custodia di legno piena di sigilli. Poi riprese. "Per questo motivo ti è stato affidato il compito di portare con te in battaglia questo oggetto" le disse aprendo con decisione i due moschettoni della custodia e tirando via il coperchio. Il legno rivelò un interno fatto di stoffa imbottita al cui centro di quel rettangolo, riposava una Katana dal manico di stoffa violacea e dal fodero di ugual colore. Anche stavolta sia il fodero che il manico erano coperti da Sigilli di carta, la tsuba della katana era legata al fodero con una serie di legacci di stoffa piena di sigilli neri.
    "Questa è un'arma potente. Abbiamo dovuto portarla via dalle mani di una Kunoichi di Kiri, mentre cercava di varcare illegalmente il confine del Villaggio per ricongiungersi con l'esercito nemico..." le raccontò brevemente. Era stato lui stesso a strappargliela dalle mani mentre quella kunoichi ancora schiumava bava dalla bocca. "Al momento è stata imprigionata e, se è fortunata, probabilmente subirà la corte marziale per crimini di guerra dopo che avrà perso utilità per noi. Quella stronza si è portata dietro ben cinque compagni di guardia..." Mentre lo diceva un'ombra passò sui suoi occhi: se solo avesse intuito di un simile pericolo, avrebbe potuto evitare le perdite. C'era un altro Shinobi di Kiri che aveva fatto una simile fine, ma lui era riuscito a scappare e non si sapeva più nulla. Abbassò lo sguardo verso la Tagliateste stesa al suo fianco. Indugiò sul profilo della lama. Avrebbe posto rimedio anche a quell'errore, un giorno.
    "È un grande onore..." disse Maemi, con un velo di incertezza, avvicinando la mano sulla spada.
    "Stai attenta..." le disse Kisuke sollevando l'indice della mano destra. "Quell'arma racchiude dentro di sé un potere incredibile che i Monaci pensano di aver sigillato, ma dopo quello che è successo non siamo più così certi. Se dovrai usarla, e sottolineo se, assicurati di non rimuovere i Sigilli dal fodero o dal manico... le parlò col tono autoritario che aveva sempre usato con lei quando le assegnava un compito o le dava ordini senza ammettere remore. "E prega di non essere la prossima di cui dovrò occuparmi" pensò tra sé e sé il Sennin della Nebbia, pregando egli stesso la medesima cosa. Aveva sulle mani fin troppo sangue di ex compagni e non avrebbe mai voluto che ci fosse anche quello della sua allieva.
    La ragazza afferrò la Katana con decisione, sollevandola verso l'alto. Kisuke sentì le dita serrarsi intorno alla tazza, un lieve crepitio si propagò nell'aria. Vedeva Maemi già attratta da quell'artefatto demoniaco. Cercò di rilassare i muscoli della mano o si sarebbe ritrovato cocci e té tra le dita. Il pericolo che anche Maemi divenisse un mostro schiumante senza cervello era dietro l'angolo. Un pericolo che lui avrebbe odiato vedersi realizzare. C'era però una possibilità, l'unica possibilità a cui aveva deciso di aggrapparsi quando il Mizukage aveva scelto lei per la spada: Maemi aveva una mente di sicuro ben più forte della precedente proprietaria, una capacità del controllo del Chakra raffinata e sublime, un autocontrollo ferreo nel discernere le illusioni dalla realtà. L'aveva forgiata lui ed ora come non mai sperava di aver fatto un buon lavoro. Forse quella mente determinata sarebbe stata in grado di tenere a bada quegli impulsi. Forse.
    "Questo è tutto! Ora vai, la tua squadra partirà domani all'alba!"
    La Kunoichi si alzò e si infilò la Katana nella fascia alla vita. Lei fece per chinarsi leggermente in segno di rispetto, ma allora Kisuke fu preso dall'istinto e si sporse appena per afferrare il polso di Maemi e bloccarla prima che potesse ritirarsi.
    "Guardami bene in faccia" le disse, levandosi bende e coprifronte, per scoprirsi il volto ad eccezione dell'occhio destro. "Ricordati sempre chi sei. Ricordati sempre quali sono le tue origini. Ricorda sempre a chi devi la tua fedeltà. Ricordati sempre di chi ti ha accolta e di chi ti aspetta qui al Villaggio. Pensaci sempre. E pensaci bene, sempre, prima di usare quell'arma. Non è un premio per te. Non è una medaglia al valore. Quelle si ottengono diversamente. Non usarla mai a meno che tu non ti veda messa di fronte allo shinigami. Hai capito? MI HAI CAPITO?" tuonò il Sennin, sapendo che nessuno al di fuori poteva intercettare la loro conversazione.
    Maemi accennò un timido gesto di assenso. Non aveva mai visto Kisuke così, al di là del volto.
    Kisuke le lasciò il polso, e solo allora si rese conto di aver stretto un po' troppo la presa, quindi accennò una lieve inclinazione del capo. Un ultimo saluto ad una kunoichi che si recava in battaglia. Così come accadeva agli antichi pure oggi, ciascuno di loro sapeva che non ci potevano essere certezze nel rivedersi di nuovo. Nemmeno grazie al marchio del Legame di Ferro che Maemi portava sull'interno del polso sinistro.
    "Vedi di non deludermi e di tornare indietro sana e salva, perché in un modo o nell'altro avrò ancora modo di giudicare il tuo operato" furono le ultima parole che uscirono dalle labbra del Ninja più potente della Nebbia, mentre il pannello di legno si chiudeva alle spalle della Kunoichi.
     
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    Così Deve Essere

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    Folgori scarlatte incendiavano i cieli sopra l’Isola della Luna. Ad ogni lampo, i mari in tempesta si tingevano di una luce sanguigna e collerica, che sembrava volesse ghermire e squarciare tutto ciò su cui era possibile posare lo sguardo. Un vento chiassoso gli graffiava il viso, sospingendo fuori quota la creatura d’inchiostro sulla quale stava volando. Tuttavia, tutti quei tumulti non erano per lui che piacevoli carezze su una pelle avida di sensazioni che non provava da molto, moltissimo tempo. Seduto a gambe incrociate sul dorso del suo gufo gigante, reggeva tra le mani un quaderno di pelle nera, di cui l’intera copertina era dipinta in un ricercato motivo composto da piume di pavone verdi e dorate. Chiuse gli occhi per ascoltare i segreti che il vento gli sussurrava tra i capelli scarmigliati.
    Sorrise, dando una sbirciata accanto a sé con la coda dell’occhio.
    "Qualcosa non va, mio giovane amico?"
    Rannicchiato a fianco a lui, un ragazzo umano faceva del suo meglio per restare aggrappato al volatile d’inchiostro e si ancorava alle sue piume disegnate, il ventre schiacciato contro la schiena dell’essere. Aveva lunghi capelli corvini sbatacchiati dal vento, che teneva legati in una coda che cominciava dalla base del collo. Dal bavero della giacca sporgeva una collana battuta dal vento; anche se in quel momento non riusciva a vederla chiaramente, sapeva che il pendente raffigurava una mano aperta, con le prime tre dita sollevate ed un occhio spalancato disegnato all’interno del palmo. Il simbolo dell’Ordine dell’Eclissi.
    "P-Per niente, mio signore!"
    Rispose il giovane, alzando la voce per farsi sentire al di sopra delle folate.
    "Resto a vostra completa disposizione!"
    Il demone sollevò una mano davanti al viso, osservandone le dita affusolate ed artigliate come se le vedesse per la prima volta.
    "Lo trovo… stupefacente."
    "C-Che cosa, mio signore?"
    "Questo… Chakra, come lo chiamate voi."
    Rispose lui, ruotando la mano per ammirarne ogni sfaccettatura. "Lo sento scorrere nelle mie vene. Guizzare dal profondo del mio cuore fino alla punta delle dita. È meraviglioso."
    Una folata di vento fece mollare la presa al ragazzo. Lo afferrò al volo senza sforzo, prima che sparisse nel buio e precipitasse nel vuoto.
    "Su, su, è solo un po’ di vento. Non manca molto ormai."
    Scesero in picchiata, fiancheggiando il versante di un’enorme montagna. Sorvolarono quelle che parevano due gigantesche catene, formate da anelli di ferro ciascuno più grande di un uomo adulto, che spuntavano dalle nuvole nelle quali era immersa la cima del monte. Si estendevano fino a terra, perdendosi tra le ombre e gli oblunghi profili degli alberi a valle. Il demone le trovò una curiosa costruzione, di cui però gli sfuggiva l’utilità pratica. Quale scopo potevano avere dei ceppi di tali dimensioni? Esistevano forse creature di dimensioni inaudite, incatenate sulla sommità della montagna…? Ahilùi, era un interrogativo destinato ad un altro giorno.
    Atterrarono sul tronco di un albero caduto, che poggiava su un enorme masso dalla forma stiracchiata, il quale emergeva dalla montagna come un dito teso verso le stelle. Mentre il compagno balzava giù dal gufo con una rapidità che tradiva il suo bisogno di poggiare di nuovo i piedi a terra, il demone scivolò dolcemente lungo il fianco della creatura d’inchiostro, in un morbido svolazzo della mantella color neve che gli cingeva le spalle. Le sue babbucce affondarono nel terreno morbido, ancora carico dell’acqua piovuta il giorno prima. Si pettinò i baffi ben curati con la punta di pollice e indice, saggiando l’aria. Avrebbe riconosciuto quell’odore anche dopo millenni.
    "Siamo vicini. Di qua."
    "Vicini a che cosa, signore?"
    Chiese il cultista, affrettandosi al suo fianco. "Se posso chiedere."
    "Al motivo del nostro viaggio. Un fratello perduto."

    Si inerpicarono in un percorso segreto tra gli alberi appuntiti, guidati dalle percezioni extrasensoriali del demone. Al suo passaggio i piccoli animali che abitavano la foresta si allontanavano allarmati, turbati da ciò che il suo aspetto inoffensivo custodiva sotto la superficie. Lui si rammaricò del timore che incuteva in tali semplici creature. Era un peccato.
    "La vostra specie è davvero curiosa" Disse infine, superando un albero squarciato in due da qualcosa che lo aveva colpito dall’alto, come il colpo di un’enorme ascia. Un fulmine caduto dal cielo, probabilmente. Un altro dei doni di Arashimo all’Isola della Luna.
    "Mio signore…?"
    "Dalle cronache che ho potuto raccogliere in questi mesi, avete passato gli ultimi secoli a guerreggiare tra voi, sempre alla ricerca di un modo per prevalere l’uno sull’altro, spartendovi con il sangue sempre lo stesso, vecchio lembo di terra. Sembra quasi che la prima guerra dei demoni non vi abbia insegnato niente. Mi aspettavo qualcosa di più da voi, sono sincero. Avevate un così grande potenziale…"
    "È per questo che aspettavamo con ansia il vostro ritorno, sire."
    Rispose il giovane con un inchino deferente. "Per porre fine a questo mondo di sofferenza, e forgiarlo di nuovo nelle fiamme demoniache del Mouryou. Per farci guidare da lui al Paradiso Nero."
    Il demone strinse al petto il quaderno di pelle. "Il Paradiso Nero, sì…" Sospirò. "Tutto questo mi rattrista molto. Bisognerebbe trarre insegnamento dal passato, o saremo condannati a ripetere sempre gli stessi errori, tutti quanti".
    "Sono certo che il Padre ci illuminerà la via con il suo fuoco oscuro. Non è così, mio signore?"
    Aggiunse l’altro, cogliendo nel suo silenzio l’ombra dell’esitazione.
    Lui spostò lo sguardo sul sentiero invisibile che lo guidava attraverso la foresta. Restò in silenzio per qualche secondo, procedendo tra gli alberi con passo sicuro.
    "Parlami ancora del vostro Chakra. L’ultima volta che ho camminato su queste terre non esisteva niente del genere. Ora invece permea il terreno come se un oceano di quest’energia meravigliosa avesse allagato l’intero continente. Da dove viene? Qual è la sua origine…?"
    Il cultista si torse le mani, nervoso. "Una domanda che solleva molti interrogativi, degna dello Scriba Demoniaco. Ma io… temo di non saperlo, mio signore. Tutti quanti hanno il Chakra. Ci nasciamo e basta."
    "Ah, è così?"
    Rispose lo Scriba, abbassando lo sguardo malinconico ai suoi piedi. "È un peccato. Avrei voluto indagare questo mistero più a fondo, ma… il dovere ci chiama."
    Si era fermato davanti ad un corpo in decomposizione, ormai ridotto a poco più che uno scheletro. Gran parte del braccio sinistro era mancante, sostituita da una protesi tecno-organica, composta da una lega metallica sconosciuta e parti che parevano muscoli ancora debolmente pulsanti. Il demone ripose il quaderno in una tasca interna della mantella.
    Oh, come sei caduto in basso, fratello. Guarda dove ti ha condotto la tua cupidigia.
    Mentre si chinava a raccogliere il braccio meccanico, il suo compagno lo guardava in piena estasi religiosa.
    "È-È quello che penso, signore? Un altro Frammento perduto che torna a noi, sotto la benedizione del Padre…?"
    "Lo è, amico mio. E mi rincresce molto".
    "Per che cosa, mio signore? Io non—"

    Lo Scriba tramutò il braccio libero in una lama composta da affilatissimi fogli di carta. Lo fece guizzare verso l’alto e, con un unico fluido movimento, mozzò il braccio sinistro del giovane all’altezza del bicipite. Un fiotto di sangue gli macchiò la cappa immacolata. Alcuni schizzi arrivarono a bagnargli le labbra, riempiendogli la bocca di un sapore metallico che aveva quasi dimenticato. Le orecchie piene delle grida del ragazzo, premette con forza la protesi contro il moncherino sanguinolento; dal Frammento Demoniaco emersero degli uncini che artigliarono la spalla del cultista, affondando nella carne in profondità. Il corpo del giovane tremò, in preda a spasmi che gli fecero ribaltare gli occhi all’indietro, le membra irrigidite oltre ogni umana possibilità. Le unghie delle mani si allungarono, divenendo artigli, così come i canini si fecero più lunghi ed appuntiti. I lunghi capelli si tinsero di un verde brillante. Quando riaprì gli occhi, iridi dorate circondavano pupille verticali, come quelle di un rettile. Del ragazzo che lo aveva accompagnato in quel viaggio non c’era più traccia.
    Il demone risorto afferrò con forza lo Scriba per la mantella, ansimando con sguardo spiritato ed occhi iniettati di sangue.
    "Kyorin…!"
    Lui non si scompose. "Bentornato, fratello. Spero che questo recipiente sia di tuo gradimento. Ho faticato molto per trovarne uno che incontrasse i tuoi gusti."
    L’altro lo strinse più forte, avvicinando il viso ad un palmo dal suo.
    "DOV’È!?"
    "Temo dovrai essere più preciso di così, Kamaitachi. Dov’è cosa?"
    "Quel lurido Shinobi da quattro soldi che ha rapito nostra sorella, ecco chi!"
    Rispose il Demone delle Falci di Vento, storcendo il viso in una maschera carica d’odio. "Yusuke Uchiha."
    Nel pronunciare quel nome, sputò a terra.
    "Oh, fratello, spero che tu sia presente quando metterò le mani su quel sudicio, piccolo umano. Non vorrai perderti ciò che gli farò prima di ammazzarlo, credimi! Ti piacerà. Lo ridurrò a pezzettini così piccoli che Baku non potrà fare altro che supplicarmi di tornare da noi!" Allentò la presa sullo Scriba, ricreando un po’ di distanza tra loro. Si sciolse i lunghissimi capelli, sospingendoli all’indietro con entrambe le mani. "Perché così deve essere."
    "Così deve essere." Gli fece eco Kyorin, con un velo di tristezza che gli attraversava gli occhi dorati.
     
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    La Banalità del Male
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    La formula era finalmente completa e il Moryou osservò con un sorriso sadico il figlio appena generato davanti ai suoi occhi. Certo serviva ancora qualche miglioria perché il processo potesse dirsi perfetto, ma questo non era importante. L'essenziale era che quella sottospecie di abominio fosse vivo, questo significava solo una cosa: aveva trovato la strada. Sentì un brivido di piacere scorrergli lungo la spina dorsale, la bocca allargarglisi sulla pelle grigiastra, la lingua leccargli i canini appuntiti.
    Adesso il problema non era più il come, ma il chi. Aveva inviato apposta ad Iwa il più potente e leale dei figli che gli erano rimasti, il più potente dopo l'ultimo nato ovviamente.
    Quello non lo raggiungeva nessuno in quanto a potenza, ma per il momento avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco, il suo figlio avrebbe sconquassato il mondo Ninja e a quel punto si sarebbe preoccupato di trovare il modo di limitarne il potere.
    "Un successo straordinario mio padrone!"
    A parlare era stato al contrario uno dei suoi figli più inetti. Il solo guardarlo gli dava il voltastomaco, la sua sola presenza gli ricordava il proprio fallimento. Al contrario degli altri suoi figli che non lesinava a divorare, lui però rappresentava la perfezione dell'errore. Gli ricordava in ogni istante della sua potenziale fallibilità e la sua presenza lo aiutava a rimanere coi piedi per terra. Non era lontano il giorno in cui avrebbe conquistato il mondo, il giorno in cui avrebbe potuto liberarsi di quel 'peso', perché nessuno avrebbe più potuto ostacolarlo, ma non era ancora quello il giorno.
    "Tranquillo figlio mio, tra poco smetterai di soffrire..."
    Afferrò la creatura agonizzante che aveva davanti e ne divorò l'energia che aveva appena utilizzato per crearla. Aveva dovuto divorare una grande quantità di figli per riuscire a recuperare le energie dopo la creazione dell'ultimo figlio sciagurato. Ogni giorno che passava in quel mondo sempre meno sconosciuto, imparava qualcosa di nuovo. Rispetto all'epoca in cui era stato imprigionato, il Chakra aveva pervaso la terra degli uomini e quei maledetti esseri inferiori adesso erano delle vere e proprie spugne per la sua forza vitale, la drenavano come sanguisughe avide. Temeva quello che sarebbe potuto succedere se avesse provato a generare altri figli con il metodo 'tradizionale'.
    Il rischio era troppo alto perché persino uno come lui fosse disposto a correrlo: le sue forze si sarebbero prosciugate mentre le nuove generazioni avrebbero prosperato o, peggio, lo avrebbero superato in potenza. Questo era inaccettabile: nessuno poteva superarlo, nessuno! Nessuno poteva più osare ripetere quello che avevano fatto millenni prima i suoi figli degeneri, gli Spezzati. Aveva cercato di lavare con il sangue la loro ribellione, aveva sentito le loro presenze risvegliarsi insieme agli altri ed era stato lesto a cercare di farli fuori, almeno con due ci era riuscito: gli rimanevano soltanto Baku e Yama all'appello e poi anche quella macchia sarebbe stata lavata. No, non poteva distrarsi. Non ora.
    Doveva tornare alla realtà, al nuovo metodo di Creazione. Era stato appena perfezionato e cascava a fagiuolo per quello che era il suo obiettivo: aumentare le fila del proprio esercito, preservare le sue forze e, al tempo stesso, essere sicuro che le nuove Creazioni non fossero mai in grado di eguagliarlo, proprio come era stato in passato coi suoi altri figli. La forza del Chakra che scorreva nelle vene delle persone di quell'epoca, in particolare dei Ninja, era sufficiente ad essere plasmata per trasformarli in Demoni sfruttando una minima parte del suo potere. Più potenti erano i Ninja che sottoponeva al processo, migliori erano i risultati, ma sempre controllabili.
    "Shippai, prepara i nostri ospiti. È giunto il momento di darti nuovi fratelli!"
    Con un inchino il mostruoso essere deforme uscì dalla stanza e si diresse all'altro laboratorio in cui avevano fatto radunare i Mukenin.
    Per un attimo il Moryou raggiunse uno specchio e si fermò ad osservarsi. L'incidente nel Paese dei Demoni gli aveva permesso di ritornare in vita, ma il costo era stato alto e in quell'epoca il suo corpo non esprimeva la forza che lo aveva un tempo contraddistinto, era a malapena il riflesso di ciò che era stato o più verosimilmente era il mondo attorno a lui ad essere immensamente più forte. Quale che fosse la verità non poteva accettarlo. Avrebbe schiacciato ogni singola sacca di resistenza. Per fortuna Kurayami era tornato con buone nuove dalla terra chiamata Iwa, quella di cui molti Shinobi avevano paura di parlare, aveva sentito le voci di alcuni, parlavano di mostri che si annidavano sotto quelle rocce. Idiozie, tutte. L'unico vero mostro qui era lui. Avrebbe insegnato a tutto il mondo a temerlo. Era però in parte curioso ed in parte divertito dal vedere questi fantomatici 'mostri' riuniti nell'altra stanza, una volta passati sotto le sue mani, allora sì che avrebbero potuto farsi chiamare 'mostri' a diritto.
    "Mio signore, vengo a fare rapporto. Non abbiamo molto tempo!"
    Dilatò gli occhi, mentre un gorgoglio basso gli ribollì alla base della gola. Aveva già capito. Scattò verso l'uscita, vide un'ombra fuoriuscire dal pavimento andando a formare un'indistinta figura antropomorfa, il Demone dell'Oscurità in persona si era presentato al suo cospetto senza che fosse richiesto e questo poteva soltanto dire una cosa, guai.
    "Kurayami, figlio mio. Spero che sia importante, sto per concludere l'esperimento con gli uomini che mi hai procurato."
    Il Demone oltre a essere il suo braccio destro era anche il capo della vasta rete di spie che negli ultimi anni aveva coltivato con cura ed un amore perverso. Grazie al potere che gli aveva donato poteva essere ovunque in qualsiasi momento. Ogni ombra era la sua dimora, ogni ombra le sue orecchie, ogni ombra i suoi occhi. Oltre a questo aveva una innata capacità di comprendere gli uomini e di carpirne i loro segreti più reconditi per sfruttarli a suo favore. Se non fosse stato più debole di lui, lo avrebbe già ammazzato da tempo, aveva anche in mente la 'morte' più appropriata, proprio come era successo a molti figli prima di lui. Lo avrebbe ucciso in una notte di luna nuova, proprio quando il mondo era avvolto nell'oscurità. Adatto. In ogni caso, ora non era il momento di fantasticare, doveva usarlo per i suoi scopi, poiché neanche lui aveva la capacità di corrompere i cuori e le anime degli uomini come poteva fare Kurayami.
    "I Kage si sono riuniti, mio padrone. Hanno deciso di coalizzarsi per sconfiggere il nostro esercito."
    Una risata malvagia scoppiò dalla gola del Re dei Demoni, una risata incontenibile e piena di rabbia.
    "E tu credi che una cosa del genere dovrebbe preoccuparmi? Idiozie. Ti avevo detto di scomodarmi solo per una vera emergenza!"
    "Certo che no, mio padrone. Ma c'è dell'altro. Un enorme pericolo, ma al contempo un'opportunità. Sono venuti a conoscenza dell'esistenza della Tartaruga di Giada e hanno messo una squadra sulle sue tracce, sembra che si trovi ancora nel Paese dei Demoni. Quei maledetti monaci avevano altri templi." disse mentre gli porgeva un rotolo chiaramente macchiato di sangue.
    La risata morì nelle labbra del Re. Gli strappò di mano il rotolo e lo aprì per rivelare un disegno di un oggetto che gli era familiare eppure che non aveva più visto da millenni. Gli occhi si dilatarono. Il sangue sembrò farsi più freddo nelle vene demoniache e per un solo momento sul volto del Re si dipinse un'espressione di sorpresa. I muscoli del volto non erano abituati a quel genere di movimento e quasi gli fece male. La reliquia che originariamente aveva scatenato gli eventi che lo avevano condotto alla sua rovina. Una vena di panico serpeggiò nel suo petto, si girò di scatto, dando le spalle a Kurayami, non voleva che lo vedesse così, vulnerabile, sorpreso... Spave... Spaventato. "NO!" Non erano sentimenti veri, non erano sentimenti che un essere superiore come lui poteva provare! I suoi occhi gialli dardeggiarono a destra e sinistra, persi nel vuoto. La sua mente cercava, sondava, rifletteva. Lo spavento si tramutò in certezza ed il sorriso tornò sulle sue labbra. Certo! Non era un pericolo quello, era una opportunità!
    Finalmente, quella fottuta Tartaruga era a portata di mano. Se fosse caduta nelle sue mani...
    Aveva quasi abbandonato la speranza di poterla ottenere in tempi brevi, ma quella notizia improvvisamente aveva riacceso una fiamma nel suo cuore. Il potere di dominare lo spazio e il tempo, la possibilità di diventare l'essere più potente dell'intero universo. Avrebbe dovuto eliminare quei monaci fino all'ultimo, ma forse avrebbe potuto usarli per arrivare al manufatto che da secoli gli avevano negato nascondendolo chissà dove.
    "La Tartaruga... Cambio di programma, recupera i 'Perduti' e portali al mio cospetto. Schiacceremo quegli insetti così che non abbiano energie da dedicare alla ricerca della Tartaruga. Nel frattempo manderò i miei nuovi figli alla sua ricerca." Gli disse sbracciando, il rotolo ancora svolazzante nella mano.
    "Agli ordini!"
    L'Ombra già in ginocchio piegò ulteriormente il capo, per poi scivolare verso il basso, immergendosi nella roccia del pavimento.
    Il Re dei Demoni urlò di gioia e a passo svelto raggiunse la sala in cui il suo figlio più sciagurato aveva fatto mettere in fila indiana i dieci mukenin che Kurayami gli aveva procurato grazie ai suoi contatti col Mercato Nero.
    Sembrava che ci fossero dei soggetti interessanti lì in mezzo e doveva appena essere successo qualcosa tra di loro dato che uno aveva il volto coperto di sangue e il naso rotto, mentre un'altro aveva il corpo ricoperto da quelli che sembravano morsi. Nonostante le ferite, avevano cercato di ricomporsi non appena avevano avvertito il suo ingresso. Come ogni essere umano quando lui si faceva abbastanza vicino, si erano irrigiditi come burattini di legno. Erano stati istruiti nel non guardarlo negli occhi, bene.
    "Che sta succedendo qui?"
    "Mio signore, l'albino e la donna hanno creato un po' di problemi..."
    Digrignando i denti il Moryou si avvicinò in un movimento innaturale, l'aria che ondeggiava intorno a lui come se fosse stata piegata dalla sua vera furia. I Mukenin si piegarono leggermente, le teste che si volgevano di lato, pur di non guardarlo. Il Re sorrise. Questi erano più svegli della maggior parte. Poteva vederlo nei muscoli del loro viso che si contraevano nei punti sbagliati, poteva avvertirlo negli occhi che dardeggiavano, erano predatori. Come tutti i predatori però, l'istinto diceva loro che nella stanza erano comparso un predatore molto più grosso e letale di loro e questo li terrorizzava. Non disdegnava che i suoi futuri figli si litigassero tra di loro, era segno di competizione e la competizione portava ad un potere maggiore, alla selezione del più forte. Quello che odiava era la lotta fine a sé stessa e non per attirare la sua attezione.
    "Allora?" Ringhiò mentre del vapore usciva dalle sue labbra in una nuvola condensata di rabbia e furia.
    Kaori Mitarashi perse la sua baldanza e fu costretta a chiudere il proprio occhio interiore. Quel Chakra ricordava quello che aveva analizzato a suo tempo dal frammento recuperato nel Paese dei Demoni, quando ancora faceva parte delle squadre speciali di Kirigakure, ma non era nulla di paragonabile con ciò che aveva ora difronte, un Chakra dalla malvagità tale da non avere paragoni e dalla portata immensa che faticava a immaginare poter essere fermato.
    La sua voce era insolitamente docile e supplichevole quando con tono dispiaciuto uscirono parole dalla sua bocca.
    "È-è stato lui a iniziare. Si è fatto sotto e l'ho colpito."
    Il Moryou rise di gusto di quella giustificazione. Shippai si fece avanti, la testa china, la voce sommessa mentre gli raccontava l'accaduto. Annuì, era soddisfatto, per ora. Uno dei tizi provenienti da Maguma l'aveva attaccata, apparentemente le loro organizzazioni avevano screzi arretrati e lei in tutta risposta l'aveva atterrato sfondandogli il naso e rompendogli un braccio. Un'altro dei traditori aveva fatto per intervenire, ma dalla manica dell'albino erano uscite una decina di serpi che avevano ridotto il tizio in quello stato. Strinse gli occhi gialli a fessura. Osservò i due che avevano steso i più deboli. Erano degni della sua attenzione per ora. Uno era un uomo sottile, un cesto di capelli bianchi disordinati sul viso, un occhio bianco come il latte e l'altro dorato, l'odore del sangue si levava dalle sue nocche escoriate mentre la mano si apriva e chiudeva. Non ricambiò il suo sguardo, per una frazione di secondo quasi gli sembrò che l'unico occhio ancora sano stesse per alzarsi a fissarlo. Un brivido scosse il corpo del Re pensando a cosa sarebbe successo se fosse stato così. La lingua gli guizzò tra i tenti affilati, lasciando una copiosa quantità di saliva a scivolare lungo l'angolo del labbro.
    L'altra era una donna. L'unica che aveva provato a sondarlo con il suo Chakra. Lo aveva avvertito ma non l'aveva punita, si era dovuto trattenere. Non c'era tempo per i suoi usuali scoppi d'ira. L'urgenza veniva prima e se quella coraggiosa donna dai capelli verdi e neri e dalla pelle chiara aveva osato sfidarlo, poteva sopportarlo. Prometteva un corpo forte e coraggioso, una 'figlia' degna.
    Il Moryou rise di gusto, c'era del potenziale, del potenziale in grado di sopportare il suo Potere senza morire.
    "Bene, cominciamo!" disse accorgendosi di avere ancora il rotolo nella mano destra lanciandolo quindi a Shippai, che lo afferrò al volo con entrambe le mani in un sobbalzo.
    Afferrò per primo l'uomo con il naso rotto. La sua presa si fece ferrea intorno al collo morbido dell'uomo. Quello gorgogliò qualcosa. Gli altri Traditori si tesero, alcuni indietreggiarono. Le armi uscirono dai foderi, dalle maniche e dalle tasche nascoste. Il Mouryou rise prima di staccare uno dei propri denti con violenza dall'arcata superiore e conficcarlo nella fronte dell'uomo con uno schizzo di sangue.
    "RINASCI!" Urlò lasciando cadere l'uomo a terra come un peso morto. Il ninja si ritrovò steso, gli occhi sgranati e la bocca leggermente aperta, mentre un rivolo di sangue scivolava giù dalla fronte per farsi strada su un lato del naso ed arrivare alla bocca. La chiuse e la riaprì, come se cercasse nalla sua testa le parole e queste non venissero. Poi la riaprì di nuovo e tutto quello che uscì non fu altro che un urlo. Un grido straziante di un dolore indicibile, che trasformava la voce in uno strillo acuto tanto era violento. La testa gli si rovesciò all'indietro e la schiena si inarcò, mentre gli arti saettavano ai lati con spasmi scattanti. Del fumo si levò dalla sua bocca e dagli occhi, questo fu prima nero e poi assunse sfumature violette prima di avvampare di luce propria e rivelarsi per quello che era: Chakra, scuro e denso come la pece.
    Gli altri traditori indietreggiarono allibiti. Capirono subito cosa era successo. Ognuno di loro cominciò a correre in una direzione diversa, tutti tranne il ninja dai capelli bianchi che rimase immobile. Non fissava il corpo dell'uomo che si contorceva, fissava un punto, l'unico occhio dorato fisso sul rotolo ancora penzolante tra le mani del suo figlio, la pagina aperta a rivelare il diagramma di una tartaruga stilizzata. Le dita artigliate del Re si serrarono intorno a mento e gola strappandogli dalla visuale il disegno e costringendolo a fissarlo negli occhi. Non scorse paura, terrore, rabbia, odio, niente. Soltanto un vuoto infinito di dolore e apatia. Si chiese se questo fosse davvero uno Shinobi degno o soltanto un misero fantoccio.
    "Spera che il tuo spirito non sia rassegnato tanto quanto la tua anima!" Ringhiò mentre si strappava un altro molare e glielo conficcava nella fronte per poi martellarglielo con un potente colpo di palmo. L'albino cadde riverso a terra, il rigolo di sangue sulla fronte che si mescolava ad una vera lacrima scivolata giù dall'occhio sano. Uno dopo l'altro, Egli fu su di loro, i suoi movimenti indistinguibili, solo una sfocatura nell'aria. Il suono dei molari conficcati come i rintocchi di una campana.
    Uno dopo l'altro caddero a terra.
    Il Mouryou rise, pasciandosi delle urla che improvvisamente si erano levate nell'aria intorno a lui. Rise ancora più forte, sovrastando le grida di dolore. Rise mentre le dieci fiamme nere e viola si sollevavano verso il cielo come candele distorte. Riusciva a sentire il suo potere crescere in loro. Sentiva il loro Chakra plasmarsi insieme ai loro corpi. Non sarebbero più stati gli stessi, una parte della loro anima sarebbe cambiata per sempre.
    Le fiamme si agitarono, le urla si affievolirono. La luce nel fumo vibrò per un secondo e la faccia del Re si storse. Questa era la parte che meno preferiva, che più odiava. Il viola scuro virò verso colori differenti e , improvvisamente, essi non erano più dieci candele accese per il suo potere, ma un arcobaleno di colori diversi. Il Chakra degli Shinobi era stato plasmato dal suo potere e lo avevano fatto proprio. Erano suoi, ma non davvero suoi e questo era il seme della sua rovina, lui lo sapeva: quegli esseri, per quanto deboli e spregevoli, con il tempo sarebbero stati in grado di plasmare il suo potere e farlo proprio, separandosi per sempre da lui. Questo lo irritava, ma almeno non sarebbero mai stati più potenti di lui.
    Almeno per il momento erano parte di lui e tanto gli bastava. Le voci si acquietarono, alcune fiamme si spensero e altre bruciarono più vive per poi esplodere, altre ancora rimasero accese a lungo prima di acquietarsi e brillare soffuse. Le ultime erano i sopravvissuti.
    Quelle candele ancora vive si alzarono, il loro corpo cambiato, le loro menti parte di lui e dirette a lui stesso, anelanti di ordini. Era sempre così all'inizio, quando la sua influenza era più potente. Erano suoi 'Figli' e suoi soltanto, potevano sentire la sua voce e la sua corruzione farsi strada nelle loro teste, serpeggiare come voci soffuse, mentre li spingeva e tirava verso di lui.
    Sorrise di nuovo. Ora erano suoi, ora poteva indirizzarli come cani rabbiosi ancora ebbri del suo potere. Il giorno che avessero sviluppato indipendenza, li avrebbe riassorbiti in sé e la bellezza era che non sarebbero mai stati in grado di opporglisi.
    Stimò la sua messe.
    Sei delle cavie erano morte, ma nel complesso non poteva che dirsi soddisfatto del processo. I quattro sopravvissuti si sollevarono da terra e si misero in piedi. Il corpo ancora vibrava e pulsava del chakra del loro colore. Aggrottò le sopracciglia e, senza neanche aver proferito parola, i quattro si inginocchiarono davanti a lui all'unisono.
    Sorrise di nuovo.
    Così, così era giusto.
    Ne studiò le fattezze ormai demoniache. Sollevò il mento di ciascuno, fisso i loro occhi deviati nel suo e sondò nel loro animo ormai corrotto. Vide le vene pulsare sul viso ed intorno agli occhi, vide le escrescenze ossee su fronte e zigomi. Non erano perfetti ma erano capaci. Vibravano di potere come falene davanti alla luce delle lanterne. Ogni traccia di autonomia ed indipendenza per ora erano sparite ai loro occhi.
    La ragazza e il tizio di Maguma neanche si guardavano più. Il potere dei quattro affiorò nella sua mente, essendo parte di loro ora ne conosceva il potere che in essi si era risvegliato. Come tutti i suoi figli prima di loro, i loro nomi affiorarono nella sua testa come parole portate dal vento.
    "Rinascete oggi come miei figli: Seiryu, Byakko, Kumari, Kone. Da oggi vivete per servirmi."
    "Sì, padrone!"
    I quattro risposero in coro, neanche un tremito nelle loro voci. Ogni traccia di indipendenza era stata spazzata via, ora c'era solo la sua voce nella loro testa ed il desiderio di obbedirvi.
    "Andate nel Paese dei Demoni e riportatemi la Tartaruga di Giada!"
    "Hai!"
    Le quattro facce si sollevarono all'unisono mostrandogli gli occhi ormai privi di anima e di libero arbitrio. Una risata sorda provenne dal Re dei Demoni, mentre osservava i suoi nuovi figli muoversi per adempiere al loro compito.
    "Al tuo servizio, padrone." Scattarono come fulmini nel cielo. Quattro cavalieri portatori della sua parola. Portatori della sua morte.
    Non appena fu solo, il Re dei demoni uscì dal laboratorio e raggiunse il suo trono. Seduto sullo scranno di godette la vista su Tsuki o per lo meno su quello che ne rimaneva. Il suo regno, il suo dominio. Ben presto avrebbe dovuto spostare il suo trono molto più in alto, ben presto il suo reame avrebbe compreso il mondo intero.
     
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