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La Storia di uno Shinobi che Amava il Vento.
Raccolta PersonaleJutsu da Lista ConosciutiJutsu da Innata ConosciutiVarieCapitoli Storia
01.Inizi
02.Un Maestro Inaspettato
03.La Gioia dell'Attesa
04.Ricordi del Passato.
05.Lezioni
06.La Strada dello Shinobi
07.Missione di livello B
08.Non Guardarsi Mai Indietro
09.Prepararsi
La Promessa di Rayle Kaguya
Incontro con un Dio
10.Crescere
11.Meditare
12.Il Sunaarashi no Chōrō
13.Cadere
14.Aiuto
15.A Caccia
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Edited by Supaku - 24/9/2023, 12:09. -
.Bingo Book
Edited by Supaku - 27/3/2020, 14:49. -
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01. Inizi.
I pochi soldi che Supaku aveva racimolato grazie ai lavori più disparati, intrapresi durante il suo viaggio fino alla terra del Vento, non erano stati sufficienti a procurargli una bella casa.
La maggior parte del suo denaro era stato speso per entrare all'accademia. Il resto, ben poco, era rimasto per procurargli un tetto sopra la testa.
Aveva preso un appartamento in un seminterrato di uno dei grandi condomini nel centro di Suna, costavano poco e non erano così difficili da gestire, considerato il fatto che erano composti solo da una stanza.
Il bagno era comune, ma questo non lo aveva mai infastidito. La stanza era grande sette passi in larghezza e sette in lunghezza. Un cucinotto era incassato in una parete e lui non lo aveva mai utilizzato, non sapeva cucinare.
Il letto era un semplice materasso, era comodo perché poteva essere ripiegato e messo da parte, dentro all'armadio a muro dall'altra parte della stanza.
Oltre a questi due elementi la sua stanza era completamente spoglia di qualsivoglia ornamento. Puzzava di umidità e muffa, l'intonaco si crepava sul soffitto e la carta da parati sulle pareti veniva via facilmente. Era un brutto posto dove vivere, però, considerando che lo aveva pagato pochi Ryo, era un ottimo poso dove dormire.
Supaku passava la maggior parte del tempo all'aperto. La sua passione era camminare sui tetti, là, dove il vento era più forte.
Amava la sensazione del vento tra i suoi capelli bianchi, quella dolce e fredda carezza sul volto.
Era stupendo, assolutamente stupendo.
Amava uscire di notte, quando l'aria era più fredda, perché gli ricordava la sua terra. Il caldo torrido del mattino era alquanto insopportabile e la luce gli feriva gli occhi grigi con violenza. I suoi raggi rimbalzavano sulla bianca sabbia, sulle pareti color crema degli edifici, non sapeva mai dove guardare perché ovunque c'era luce.
Era terribile.
Ma la notte....la notte trasformava quel mondo arroventato e luminoso in qualcosa di diverso, di molto più bello.
Le dune che risplendevano al sole come un mare di luce, nella notte diventavano onde chiare sotto un cielo stellato e gli trasmettevano un infinito senso di calma.
Come un mare perennemente immobile gli davano quella quiete che raramente raggiungeva il suo cuore.
Era allora che si allenava. Cercava i campi di addestramento, oppure semplicemente i tetti piatti dei condomini, dove esercitarsi nelle sue tecniche.
Era allora che chiamava il vento.
Gli dava un senso di controllo ogni volta che il vento obbediva ai suoi sigilli, che spazzava via la sabbia dai tetti o catapultava i manichini di addestramento lontano da lui. Aveva fatto a lungo pratica, pensava di essere pronto ma sapeva che gli mancava ancora molto. Doveva trovare qualcuno che lo addestrasse, che gli insegnasse.
Un maestro.
D'altronde era per questo che era giunto a Suna, la capitale del deserto, per cercare i migliori maestri che gli insegnassero i segreti del vento.
Supaku era seduto su uno dei tetti della città. Il sole stava da poco sorgendo, la sua luce bianca stava già cacciando lontano il blu intenso della notte, lontano da lui.
Sospirò mentre le stelle schiarivano scomparendo nell'azzurro del mattino.
Un'altro giorno era cominciato.
Si alzò in piedi. Era tempo di tornare alla sua casa, di dormire con quell'odore di muffa e polvere a coprirlo come una coperta. Era tempo di andare avanti, di diventare più forte di ieri.
Era tempo di cercarsi un maestro.SPOILER (clicca per visualizzare)Sogno, narrato
Correva. Ormai non si ricordava più perchè lo faceva, non ricordava da chi scappava, lo faceva e basta. Ogni giorno sempre in movimento, non smetteva mai di camminare, correre, scappare. Era terribile ma era l'unica cosa che gli dava sicurezza. Era giunto nei pressi di una piccola baracca costruita vicino ad un bosco. La sua casa era stata distrutta da tempo, bruciata fino alle fondamenta.
Ancora aveva nei capelli le ceneri.
La baracca si reggeva in piedi per miracolo, il tetto era in più punti sfondato, le finestre prive di vetri erano state coperte con pelli. La porta aveva un buco procurato molto probabilmente dall'impatto di un'arma. Una grossa chiazza di sangue macchiava il muro esterno a destra della porta. Era là che si era appostato. Tra le mani aveva un pezzo di ferro appuntito, un tempo era stato un coltello da cucina, adesso era solo un'arma. Non ricordava quando era l'ultimo giorno che aveva mangiato. Non ricordava il giorno in cui aveva chiuso gli occhi per dormire. C'era una sola cosa da fare: scappare.
Almeno fino a quando il corpo avesse retto. Era tremendamente vicino alla fine, i suoi occhi erano cerchiati da occhiaie scavate, il suo corpo smagrito dalla fame tremava anche dal freddo. Aveva fame. Per questo si era fermato, per questo aveva posto una tregua a quello che ormai era diventato il suo imperativo universale.
Tenendo stretta nelle sue manine ossute il coltello da cucina consumato si accostò lentamente alla porta. Non era stata chiusa a chiave, il buco era nei pressi della serratura. Ma le pelli appese alle finestre gli avevano suggerito che potesse esserci qualcuno lì dentro. Doveva essere cauto.
Appoggiò la mano destra, quella libera, sul legno e spinse lentamente. Lo stridio dei cardini fu leggero, ma tanto bastò a metterlo sul chi va là. Aveva aperto la porta sufficientemente per poter sbirciare all'interno. La luce filtrava dalle finestre e dallo spiraglio permettendogli di vedere all'interno con una visibilità discreta. Non sembrava esserci nessuno.
Rinsaldando la stretta sull'arma spinse di nuovo la porta aprendola un pò di più, pronto a tutto. Non sentì alcun movimento giungere dall'interno.
Finì di aprire la porta che ora era spalancata e riuscì a scorgere per bene l'interno.
Era una sola stanza. In un angolo c'era un giaciglio vuoto e mal rifatto. Su una parete vi erano mobili semidistrutti i cui segni sembravano riportare delle lievi riparazioni. Un tavolo era già stato risistemato e ora occupava il centro della stanza. Qualcuno stava cercando di ricostruire la casa.
Piombò all'interno frugando negli armadi, in ogni angolo, e cassetto in cerca di cibo. Non c'era nulla in giro, soprattutto non c'era cibo da nessuna parte. Che la persona se ne fosse andata, abbandonando ciò che stava tentando di ricostruire al suo destino? Non sarebbe stata la prima volta che questo accadeva. Si era imbattuto in molte abitazioni disabitate lungo il suo viaggio. Eppure il giaciglio aveva ancora le coperte e sul tavolo c'erano dei pezzi di legno intagliati per quel mobile rovesciato. Non fece in tempo a finire di esaminare la stanza che un rumore lo mise in allerta.
Era un rumore di passi stanco, trascinato.
Si rifugiò dietro la porta, il piccolo pugnale consunto stretto tra le mani.
Un'ombra si stagliò sulla soglia. Poi una figura si fece avanti. Era molto meno imponente di quanto si fosse immaginato. Non doveva essere più alto di lui di molto, questo lo tranquillizzò, era sempre difficile avere la meglio su gente più grossa di lui. La figura era ricurva in avanti, portava sulla schiena una zaino e si appoggiava ad un bastone.
Era un vecchio.
Forse aveva vissuto lì da sempre, e la guerra gli aveva distrutto la sua unica casa.
Forse le macchie di sangue sul muro sui muri e sul pavimento della casa erano appartenute alla sua famiglia e lui era l'unico superstite.
Forse stava ricostruendo tutto quello che rimaneva della sua vita.
Non si fermò a pensare ai motivi perché quel vecchio vivesse ancora in quel luogo misero, non si interrogò su cosa potesse spingere quella persona a vivere una vita del genere.
Agì d'istinto.
Scattò rapido e silenzioso dietro al vecchio, il pugnale balenò alla luce morente e rossastra del sole che scivolava sotto l'orizzonte. Fu un attimo.
La lama consumata si appoggiò sul collo dell'uomo e si ritrasse macchiata di sangue. Un secondo dopo il vecchio era a terra. Si artigliò debolmente la gola nel vano tentativo di respirare ma i pochi movimenti che faceva lo rendevano ancora più patetico e non facevano che accelerare la sua fine ormai segnata.
Lo osservò morire senza battere ciglio, senza respirare, trattenendo il fiato dalla paura che si rialzasse, stringendo con tutte le sue forza il manico del pugnale nella sua mano e continuando a spostare il peso da un piede all'altro.
Lo guardò negli occhi fino alla fine, cercando di scorgere l'appassire della vita dentro di lui, vedendogli spegnersi per sempre e rassicurandosi sul fatto che quel vecchio non era più una minaccia.
Gli tolse lo zaino e vi rovistò in cerca di cibo. Gli antenati erano stati benevoli.
C'era della frutta e della carne essiccata, cibo in scatola e altro ancora. Doveva essere stata la sua scorta, forse l'aveva appena comprata o tirata fuori da un nascondiglio. Non si interrogò oltre sulla storia dell'uomo, certe volte era meglio non sapere nulla sulle persone che uccidevi, ti faceva dormire meglio.
Divorò con foga la carne essiccata e mangiò una mela senza mai distogliere gli occhi dalla pozza di sangue che si allargava intorno al corpo dell'uomo. Sapeva che ormai era morto, ma aveva sempre il terrore che si potessero rialzare tutte le volte che gli toglieva la vita, come irati delle sue azioni così meschine e terribili.
L'odore del sangue pervadeva l'aria mentre addentava la polpa succosa della mela. Un solo pensiero rimbalzava nella sua mente.
Era incredibile come un corpo così minuto potesse contenere così tanto sangue.SPOILER (clicca per visualizzare)
Il vento soffiava forte quella notte. Si intrecciava sui suoi capelli come al solito, agitandoli irrequietamente. Era tranquillizzante.
Aveva avuto famiglia un tempo. Un padre, una madre, un fratello ed una sorella. Si ricordava ancora i loro nomi. Gyukudo, Naora, Kazuki e Myako. Un tempo erano persone, fatte di carne ed ossa, con sentimenti ed emozioni.
Ora erano solo immagini sfocate nella sua memoria. Ricordi indistinti.
Un brivido gli corse lungo la schiena al ricordo di quello che erano stati. Aveva appena avuto un incubo, per una delle poche volte che riusciva a dormire. Si era alzato ed era uscito.
Era notte inoltrata e tra poco sarebbe giunta l'alba.
Il giorno prima aveva completato il suo addestramento con il suo sensei Hanzo Kurosawa. Un ottimo maestro, poche parole e atteggiamento severo, sperò che in futuro ne avrebbe potuti incontrare altri della stessa pasta.
Aveva festeggiato spendendo i pochi Ryo che gli erano rimasti mangiando ad una tavola calda chiaramente troppo costosa per lui, ma ne era valsa la pena. Lo stomaco era pieno ed era riuscito ad addormentarsi facilmente, una cosa che non gli succedeva da anni.
Poi era arrivato l'incubo. Non era stata colpa sua, quel vecchio non sarebbe dovuto tornare quando c'era lui, o almeno avrebbe dovuto lasciare del cibo in casa così non sarebbe stato costretto ad ucciderlo.
Si sfregò le mani, ferite dall'addestramento, sul volto.
Non era stata colpa sua.
Il vento soffiò forte sulla cima di uno degli edifici più alti di Suna. Gli scompigliò i capelli come un tempo amava fare suo padre e gli carezzò le guance, come era solita fare sua madre.
Una lacrima scivolò sulla sua guancia, mentre la luce dell'alba cominciava a spuntare all'orizzonte, irradiando ogni cosa di un colore rosato.
Non era stata colpa sua.
Edited by Supaku - 10/1/2016, 11:39. -
.SPOILER (clicca per visualizzare)narrato, pensato, parlato, parlato altri
02. Un Maestro Inaspettato.
Il buio avvolgeva ogni cosa, immergendo nella sua coltre oscura i tetti piatti della città.
Supaku sedeva a gambe incrociate sopra uno di essi. Era uno dei più alti ma non era mai stato lassù prima, non gli piaceva sviluppare delle abitudini, le abitudini erano la morte dell'anima e di uno shinobi.
Aveva le gambe nella posizione del loto, le mani poste in grembo mentre con le dita componevano un cerchio perfetto. Era concentrato. Il silenzio della notte era interrotto solo dal frusciare del vento. Ogni tanto c'era una tempesta d'aria che lo costringeva a cercare riparo, ma non quella notte. Quella notte l'aria era limpida e pura e il vento che tirava era quasi una lieve brezza leggera. Supaku era immerso nel vuoto dentro di lui, la sua mente stava catalogando le esperienze passate, ripercorreva tutto a ritroso, dal momento in cui si era seduto lì, fino alla mattina prima del suo addestramento con Hanzo Kurosawa. Aveva fatto una ricerca nella biblioteca dell'accademia, per informarsi al meglio sul mondo ninja. Non c'era molto, anzi davvero poco, ma quel poco che aveva scoperto ne aveva fatto tesoro. Il sensei che lo aveva addestrato nell'arte del controllo del chakra era una chuunin, un ninja di un livello superiore ai ninja base, i genin. Quello era il suo obbiettivo al momento, diventare un genin. Quello era il primo gradino nella scala che lo avrebbe portato a diventare un grande shinobi. Ma ancora stava attendendo che venisse convocato per il suo esame. Nel mentre si esercitava ogni notte. Chiamava il vento e lo rilasciava aumentando la sua sicurezza in quello che faceva, non aveva altri modi per addestrarsi se non quello di saltare da un tetto all'altro e di usare il vento per tagliare l'aria nel cielo. Quello poteva essere un problema, non aveva avuto modo di allenarsi nel lancio di kunai o di shuriken o in un combattimento corpo a corpo decente, perché non conosceva nessun ninja.
Un rivolo di tristezza scivolò ai bordi del vuoto, ma lui non vi fece caso. Non c'era tempo per piangere ciò che non aveva più, ormai doveva vivere nel presente, per quanto oscuro esso fosse. Doveva diventare più duro dell'acciaio, più insensibile del ferro, il suo destino era diventare una lama affilata nel mondo degli shinobi indeboliti dalle loro emozioni.
Un rumore attirò la sua attenzione. Era stato lieve ed impercettibile, ma nel vuoto, dove regnava il silenzio interiore, ogni minimo rumore era percepito. Aprì gli occhi di scatto, il vento soffiava ancora, ma era abituato al suo suono echeggiante e lamentoso.
Il rumore era stato isolato e solitario, secco come il suono lieve di un sandalo sulla pietra gialla degli edifici di Suna. Supaku fu tentato di chiudere gli occhi di nuovo e di immergersi di nuovo nel vuoto, ma c'era qualcosa che non andava. Un lieve formicolio in mezzo alle spalle lo avvertiva di un imminente pericolo e, sebbene nel vuoto regnasse solo la logica, aveva imparato da tempo a fidarsi dei propri istinti, perché lo avevano salvato più volte nella sua fuga di tanti anni fa.
Contrasse i muscoli delle cosce in modo da riattivare la circolazione, pur rimanendo immobile, i suoi occhi saettarono intorno agli edifici avendo ben cura a non muovere il collo per avvertire qualunque nemico che era di nuovo vigile.
Poi lo sentì. Il sibilo secco e deciso di un kunai che fende l'aria.
Con un balzo portò le mani sul terreno e lanciò il corpo in avanti, eseguendo una semi capriola mentre le sue gambe si scioglievano dalla posizione del loto. Con un altra capriola atletica atterrò in piedi e si girò di scatto. Un kunai era conficcato nella roccia giallastra dell'edificio, proprio là dove pochi secondi prima era seduto a meditare. Chi era stato? Chi aveva provato ad attaccarlo proprio nel centro di Suna?
Non ti hanno detto che, di notte, è pericoloso uscire fuori a giocare, ragazzino? disse una voce alle sue spalle.
Supaku si girò balzando contemporaneamente in avanti, in modo da avere più spazio tra lui e il suo aggressore. Rimase quasi senza fiato nel constatare chi aveva lanciato il pugnale.SPOILER (clicca per visualizzare)
Il ninja davanti a lui che stava in piedi sul cornicione del tetto con sicurezza in abiti grigi dagli orli rossi era una donna. Ma, certo, la voce che ho sentito era sicuramente femminile, perché sono così sorpreso allora? pensò Supaku dandosi dello stupido.
Il vuoto era saldo in lui e il suo volto non tradì la minima emozione rimanendo impassibile.
Non sei un gran chiaccherone eh? Continuò la ninja. Aveva la carnagione chiara, quasi lattea, i capelli neri come i suoi occhi, erano legati in cima alla testa in una coda. Aveva corti pantaloni larghi a sbuffo di un colore rosso scuro e un top elastico nero, senza maniche, che le lasciava l'ombelico scoperto. Un abbigliamento tipico del deserto. Doveva avere almeno cinque anni più di lui se non di più, sembrava molto fiduciosa, sicura di sè stessa.
Suapku non rispose alle parole della ninja. Rimase immobile, non sapeva esattamente cosa fare.
Allora? disse di nuovo la ninja.
Cosa vuoi? sussurrò Supaku in risposta.
Parla più forte, ragazzino, il vento ti ha mangiato la lingua?
Rabbia scivolò sulla superficie intatta del vuoto, la lasciò scorrere. Si schiarì la gola e parlò di nuovo, cercando di aumentare il tono.
Cosa vuoi da me?
La ninja sorrise.
Così va meglio. Ti osservo da giorni ormai. Non avrai mica pensato che un apprendista che corresse sui tetti, lanciando palle di vento nell'aria, potesse passare inosservato ai ninja guardiani vero?
Supaku rimase immobile, il vuoto era saldo, ma dentro di lui c'era una punta di panico che stava provando a scuoterlo fino alle fondamenta. In realtà non aveva paura di quello che gli sarebbe successo, non gli importava, viveva già ai margini della miseria, i ninja di Suna non avrebbero potuto fargli nulla di peggio, però un unico pensiero lo poteva mandare nel panico ed era proprio lì che la sua mente era andata per prima. Ma non era ancora sicuro e di certo gli sembrava esagerata come punizione per essere andato a giro per i tetti.
Non si può? chiese di nuovo in un sussurro. La ninja sospirò esasperata.
Voce ragazzo, voce!
Supaku sentì il proprio volto arrossarsi lievemente, mentre ripeteva la frase, stavolta alzando il tono.
Ah, allora provi qualcosa in fondo. Temevo che fossi fatto di pietra. disse la ninja osservandolo arrossire.
Scese con un balzo dalla ringhiera del terrazzo/tetto su cui si trovavano.
Beh, in realtà è concesso ai ninja che pattugliano la città per difenderla da possibili attacchi di mukenin. Di certo non è permesso ai ragazzini che fanno un gran baccano e svegliano la gente che dorme pacificamente. disse indicando con un dito il pavimento su cui si trovava.
Non ho altro posto dove andare. disse Supaku con voce piatta, anche se stavolta si premurò di averla alzata un pò. A me piace correre sui tetti di notte.
La ninja annuì. Questo lo avevo intuito, il problema è che ai cittadini non piace che tu corra sopra le loro teste mentre dormono, e ai guardiani non piace avere un ragazzino che si aggira di notte sui tetti. Li distrai dal loro lavoro e questo non è buono. Per questo mi hanno mandato.
Vogliono che smetta? la ninja si toccò le labbra con un dito, atteggiando una posa pensierosa.
Potrebbe essere una idea. Ma penso che dirtelo non basterà a farti smettere e, se mi limitassi a fare quello, tra una settimana ci ritroveremo nella stessa posizione di adesso. Quindi ritengo sia meglio tagliare gli sprechi di tempo inutili.
La ninja indicò il kunai che era a pochi passi da Supaku.
Raccoglilo. gli disse con voce ferma.
Il ragazzo voltò lo sguardo verso il kunai, poi di nuovo verso la ninja. Era questo che voleva? Un duello? Supaku rimase impassibile, non si mosse di un millimetro. Se avesse raccolto il kunai contro uno dei guardiani della città molto probabilmente quello avrebbe avuto il diritto di ucciderlo. Non era ancora pronto a rischiare la propria vita per una cosa del genere, aveva dei piani che dovevano essere realizzati, morire non era contemplato. la ninja sembrò aver intuito i suoi pensieri e sorrise di nuovo.
Non ho intenzione di ucciderti. Voglio solo darti l'opportunità di farmi vedere quello che vali. Di giustificare tutto il baccano che fai la notte, mostrandomi che questi allenamenti notturni siano serviti a qualcosa. Avanti su!
Supaku rimase immobile per qualche secondo, la sua mente analizzava ogni possibile alternativa. Se avesse raccolto il kunai avrebbe dovuto combattere, se fosse fuggito, molto probabilmente la ninja avrebbe potuto raggiungerlo in qualsiasi momento e conficcargli lo stesso kunai tra le scapole. Non c'erano molte alternative. Raccolse il kunai e si mise in posizione di guardia.
la ninja sorrise e lo incitò sorridendo.
Avanti, mostrami quello che sai fare.
Supaku rimase immobile per alcuni secondi, studiando il proprio avversario. Sentiva i kunai nella propria mano, il freddo metallo fasciato era rassicurante e ben bilanciato. Ne aveva impugnati altri prima, ma quando aveva finito l'accademia non aveva avuto abbastanza soldi per comprarsene di propri, era bello averne di nuovo uno in mano.
La ninja che lo aveva sfidato in un combattimento lo stava ancora fissando, le braccia incrociate sotto il seno, gli occhi divertiti tradivano il volto liscio e senza emozioni. Trovava divertente tutto questo, Supaku ci avrebbe scommesso.
Bene, immaginò che avrebbe dovuto iniziare lui per primo, con uno scatto improvviso cominciò a correre contro la ninja, il kunai sollevato davanti al viso, pronto ad intercettare qualunque attacco improvviso dell'avversario. Quando fu abbastanza vicino menò un affondo con il pugnale, mirando al fianco della ragazza. Il fendente incontrò il vuoto. Non era più là, improvvisamente ella era alle sue spalle, Supaku sentì una mano afferargli la spalla destra. Un attimo dopo il terreno mancò sotto i suoi piedi e fu sbalzato indietro di una decina di metri. cominciò a rotolare sul terrazzo dell'edificio, tentò di riprendere l'equilibrio, il margine del tetto che si avvicinava sempre di più. Quello era uno degli edifici più alti della città, a lui piacevano solo se erano alti, quello era all'incirca intorno ai 50 piani, cadere dal tetto avrebbe significato farsi molto male.
Il bordo arrivò improvvisamente, tornò in piedi giusto in tempo per riprender l'equilibrio, il piede destro quasi completamente fuori, sul baratro della città color sabbia.
Appena in tempo, ragazzino. disse la ragazza sorridendogli divertita. la prossima volta io starei attenta a non attaccare un nemico così da vicino senza essere sicuri di colpirlo.
Supaku sollevò lo sguardo, incrociandolo con quello della ninja. I suoi occhi grigi si incontrarono con quelli neri di lei e per un attimo, in quello sguardo ogni parola sarebbe stata vana. Il vuoto dentro il ragazzo si fece più forte, tentando di scacciare la rabbia che stava cominciando a pervaderlo.
La mano libera scattò indietro, una brivido lungo la spina dorsale anticipò al giovane apprendista quello che stava facendo. Stava chiamando il vento. Lo richiamò nel palmo della propria mano, lo avvolse in una sfera d'aria compatta e, nell'arco di un secondo, fece scattare la mano in vanti, il palmo rivolto verso la sua avversaria. La sfera d'aria solcò l'aria ad una velocità impressionante, lasciando dietro di sè una piccola scia trasparente a testimoniare il suo passaggio. La ninja scattò rapida di lato, riuscendo ad evitare il colpo per un soffio. Le sue vesti grigie e rosse si agitarono, dibattendosi per la corrente d'aria che aveva provocato. La sfera d'aria si perse nel cielo stellato, disperdendosi poco nell'aria della sera. la sua avversaria sembrava stupita.
Non ho mai visto nessuno manipolare il vento così facilmente a quell'età. Impressionante, ragazzo, ma non ti montare la testa. Un giovane talento può morire al momento sbagliato perché ha fatto troppo affidamento su quello che aveva.
la ragazza fece scattare le mani in avanti. Una decina di shuriken solcarono l'aria verso Supaku, erano tanti, ognuno proveniva da una angolazione differente, impossibili schivarli tutti o anche solo deviarli tutti con la sua tecnica. Il ragazzo non si mosse fino all'ultimo. Poi si lasciò andare all'indentro, verso il vuoto della strada sotto di lui.
Che cavolo? sentì dire alla ninja dall'altra parte del tetto. Gli shuriken volarono nel vuoto. Supaku spostò rapidamente il piede destro sulla parete dell'edificio afferrandolo con il chakra. Per un attimo perse l'equilibrio, la gravità lo tirava verso il basso e lui era rimasto attaccato con un solo piede alla parete verticale del palazzo. Poi riuscì con un colpo di reni ad attaccare anche l'altro e sconfiggere la gravità con la forza dei suoi muscoli. Attese un attimo, il kunai tra i denti mentre rievocava il vento nelle sue mani e spettava che la ninja si affacciasse per colpirla.
Notevole, mi stai stupendo ragazzino. Disse una voce alla sua destra. Supaku per poco non perse la presa con il muro dallo spavento. Non si era accorto che la ragazza era anche lei in piedi sulla parete e gli sorrideva a braccia conserte. Con uno scatto laterale di voltò verso di lei, rilasciando un proiettile d'aria dopo l'altro, stavolta la ninja non riuscì a schivarli entrambi e uno la colpì in petto. Il colpo la sbalzò in aria, facendola cadere verso il suolo, ma il suo corpo non raggiunse mai la strada sottostante. Si limitò ad evaporare con un sonoro "puff" durante la caduta.
Un clone, realizzò Supaku. La ragazza aveva posto un clone prima che lui cadesse per tagliargli le vie di fuga, nel caso in cui avesse deciso di fuggire invece che combattere. Supaku rimase impressionato. Con la mano destra si aggrappò al tetto dell'edificio e con una ruota a mezz'aria tornò sul terrazzo, la gravità che tornava al suo posto, pronto a fronteggiare la ragazza che era rimasta dove l'aveva lasciata, le braccia conserte, il mezzo sorriso stampato in faccia.
Sai anche usare l'ambiente a tuo vantaggio. Devo riconoscertelo, sei bravo. Forse i tuoi allenamenti notturni sono pur sempre serviti a qualcosa. Supaku rimase impassibile. Nessuna emozione traspirava, il vuoto dentro di lui era saldo.
Corse i nuovo verso la sua avversaria. Stavolta l'assalto fu più calcolato, a un metro da lei si erse in alto cercando di colpirla al fianco con un calcio mentre contemporaneamente il kunai lasciava la sua mano per cercare la spalla della dona.
La ninja fu più veloce ancora una volta. Si chinò e con il braccio sinistro parò l'impatto del suo calcio, il sepuu, mentre il kunai fendeva l'aria sopra la sua testa andando a rimbalzare sul terreno polveroso del terrazzo.
Il palmo destro della ragazza avanzò, colpendolo con una forza inaudita in pieno petto. Supaku sentì l'aria uscirgli di colpo dai polmoni mentre veniva sbalzato in aria di nuovo, lontano dalla sua avversaria. Il colpo stavolta fu molto più forte di prima e lo lasciò senza fiato, rotolò per una di decina di metri e stavolta fu molto più difficile riprendere l'equilibrio. Scivolò fuori dal tetto senza che fosse riuscito a ristabilire l'equilibrio, e fu costretto ad afferrarsi con una mano al cornicione per non cadere.
Rimase appeso per una mano al tetto, la profonda oscurità della strata di sabbia sotto di lui. Sentiva un forte dolore bruciante nel petto, là dove la ninja lo aveva colpito e aveva ancora delle serie difficoltà a respirare. Con uno sforzo non indifferente riuscì ad attaccare anche l'altra mano al cornicione, infine cominciò a issarsi lentamente. Riuscì a tirarsi su per miracolo. Era sfinito dal colpo subito e le costole gli facevano male ogni volta che tirava un respiro.
La ninja lo stava ancora fissando con il mezzo sorriso e gli occhi che brillavano di divertimento.
Allora? Tutto qui quello che sai fare? Hai tenuto sveglio un intero condominio solo per questo? Disse provocandolo.SPOILER (clicca per visualizzare)Tecniche utilizzate:
Goukuuhou - Cannone d'Aria
Villaggio: Tutti
Livello: D
Tipo: Ninjutsu
Lo shinobi concentrerà una modesta quantità di chakra all'interno del palmo della propria mano per poi liberarlo con violenza mirando ad un punto preciso. Si formerà a questo punto una possente corrente d'aria paragonabile a quella d'una carta bomba che colpirà il punto designato, scaraventando eventuali nemici coinvolti ad una decina di metri di distanza.
Consumo: 2
Senpuu - Turbine
Villaggio: Tutti
Livello: D
Tipo: Taijutsu
Questa tecnica permette all'utilizzatore d'usare la propria destrezza per liberarsi in aria e sferrare un calcio dal raggio di ben 180 gradi. Se il bersaglio viene colpito verrà scagliato a diversi metri di distanza oltre che a subire un duro colpo.
Consumo: 2
Tecniche utilizzate dalla ninja guardiana:
Yashi no Burēka - Palmo Demolitore
Villaggio: Tutti
Livello: C
Tipo: Taijutsu
Questo è un semplice ma potente colpo di palmo. L'utilizzatore concentrerà il chakra in una mano per poi colpire l'avversario. La tecnica causerà danni medi e potrà scaraventare in aria il nemico a diversi metri di distanza che poi proseguirà rotolando a terra. Nella fase di caduta quindi si riporteranno diverse ferite da impatto anche a seconda del tipo di suolo. Inoltre se non si finirà a terra ma direttamente contro un muro o un albero i danni saranno ancora maggiori.
Consumo: 4
Kage Bunshin no Jutsu - Tecnica dei Cloni d'Ombra
Villaggio: Tutti
Livello: B
Tipo: Ninjutsu
Tale tecnica è più avanzata rispetto alla Bunshin no Jutsu, infatti consiste nella creazione di copie dotate di consistenza fisica e in grado di provocare danni reali. I cloni svaniscono in una piccola nube di fumo non appena vengono feriti, quando l'utilizzatore decide di annullarli oppure quando non ha più chakra. Il vero punto di forza però è che i cloni, non appena vengono annullati, trasferiscono tutte le conoscenze e le capacità acquisite al proprietario, che esse siano informazioni segrete o conoscenze riscontrate durante un allenamento. Questi cloni hanno la facoltà di utilizzare qualsiasi Abilità o Jutsu.
- Il Chakra utilizzato dai cloni viene ovviamente scalato dall'originale e si dissolvono se subiscono una qualsiasi forma di ferita.
Il clone gode in tutto e per tutto dello stesso equipaggiamento dell'originale, a partire dagli indumenti fino agli oggetti di natura metallica. Fanno eccezione Armi Leggendarie ed oggetti monouso come Carte-bomba e Kit di Pronto Soccorso.
Consumo: 8 (A Clone)
Edited by Supaku - 10/1/2016, 11:38. -
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Alzò lo sguardo. Era in ginocchio sul tetto del palazzo, il vento passò soffiando sabbia tra di loro. L'attesa era palpabile, ma nessuno dei due fece la prima mossa. I loro occhi si incontrarono ancora una volta e, in quel silenzio, cento parole che non furono dette, passarono nelle loro menti. Supaku si rialzò in piedi. Ogni respiro era una leggera sofferenza, ma il vuoto rendeva tutto più semplice, spingeva il dolore lontano, spingeva la rabbia in un angolo e ti permetteva di vedere tutto con più logica. Fu difficile trattenersi dall'istinto di attaccare selvaggiamente la kunoichi, però riuscì a mantenere il controllo.
Si alzò in piedi, le mostrò che non aveva paura, che non avrebbe ceduto per così poco. Il kunai era ormai troppo lontano da lui, lo dimenticò almeno per il momento. Avrebbe combattuto solo con il suo vento, come aveva sempre fatto e, fino ad ora, se l'era sempre cavata. Si mise in posizione, il piede sinistro si portò avanti, mentre quello destro indietreggiava, il fianco ruotò leggermente mentre si metteva di lato rispetto al suo avversario, la mano sinistra alzata davanti al viso, il palmo rivolto verso l'esterno, la mano destra raccolta accanto al fianco, il palmo aperto, le dita chiuse, rivolto verso il nemico.
Chiamò il vento, come aveva sempre fatto, come avrebbe sempre fatto, non erano necessari sigilli, il vento era una parte di lui, lo poteva sentire, lo poteva assaggiare, annusare, era là accanto a lui, sopra e sotto, era dappertutto, bastava essere capaci di raccoglierne abbastanza in un unico posto per sollevare il mondo. L'aria si raccolse nei suoi palmi, mentre nell'attimo di un secondo i suoi occhi si chiudevano, sprofondando nel buio del vuoto. La sua memoria visiva si attivò, rivide nella sua mente il terrazzo. Visualizzò la posizione della kunoichi, la sua, quella del kunai, quella della porta di servizio, i piccoli camini sulla sinistra, la casetta di legno di un gatto sul tetto accanto, era tutto là, bastava ricordarselo.
Si mosse.
Era più un fluire leggero, la spinta leggera del vento intorno a lui lo aiutava, proteggendolo e guidandolo. Fletté le gambe e spiccò un salto. In quel momento aprì gli occhi, mentre si alzava in aria, il bacino girava assecondando i suoi desideri, la prima sfera d'aria lasciò il sul palmo sinistro mirando verso la shinobi, il contraccolpo lo fece girare lievemente su se stesso, ma quando anche il palmo sinistro liberò la sua sfera, la sua posizione si raddrizzò. Atterrò e caricò. I suoi passi echeggiarono sulla pietra gialla dell'edificio, sollevando la sabbia che vi si depositava durante le tempeste di vento che in quella città erano così frequenti. La shinobi era riuscita ad evitare entrambi i proiettili ma quello lo lasciò completamente indifferente, nel vuoto non c'era tempo per il rimpianto o la delusione, c'era solo la prossima mossa. Mentre avanzava raccolse altro vento nei suoi palmi, pronto a colpire di nuovo.
Lui adesso era veloce, molto veloce, il suo palmo destro si distese in avanti rilasciando un'altra sfera d'aria, la shinobi non riuscì ad evitarla completamene stavolta, una spinta sull'anca destra la sbilanciò il tempo per dare a Supaku un'apertura. La kunoichi provò a colpirlo di nuovo con il palmo della mano aperto, come aveva fatto prima. Sentì di nuovo il ricordo della sua mente dell'impatto precedente, le costole gli facevano ancora male, ma stavolta non si sarebbe fatto colpire, no, non di nuovo. Si lanciò in avanti con il corpo in quello che poteva sembrare un tuffo, il palmo della shinobi gli passò a pochi centimetri dalla nuca, sentì l'aria sollevarsi tra i suoi capelli mentre scivolava in avanti. Protese il palmo sinistro verso il fianco della donna accanto a lui e rilasciò la seconda sfera d'aria. L'impatto fu violento, sbalzando entrambi in due direzioni differenti di un paio di metri, anche se la shinobi andò più lontano. Supaku atterrò malamente, ma il vuoto resse e il dolore non riuscì a fermarlo. Tentò con una mezza capriola di rimettersi in piedi. Si voltò rapidamente, raccogliendo altro vento nel suo palmo, pronto a colpire di nuovo, pronto a sbalzare la shinobi fuori dal tetto. Alzò la mano destra pronto ad accumulare altro vento.
Il freddo acciaio sulla sua pelle lo avvertì che un altro passo lo avrebbe portato alla morte.
Rilascialo. gli ordinò la kunoichi. Obbedì, non c'era altro da fare, aveva giocato la sua carta migliore. Aveva perso, ma non si sentiva deluso o sconfitto. Il vuoto dentro di lui non glielo permetteva, ma non sentiva neanche la solita sensazione di conflittualità che lo accoglieva ogni volta che manteneva il vuoto in battaglia. Quella lotta continua tra i sentimenti che si risvegliavano nella battaglia e la ricerca della mancanza di emozioni, che lo sfiniva quasi sempre mentalmente. Era forse perché aveva evocato il vento? Si sentiva sereno ogni volta che lo faceva, come se nessuno potesse toccarlo, come se per un attimo ogni cosa in quel mondo malato e corrotto scomparisse. In quei momenti c'era una sola cosa che contava, il vento e nient'altro. Con il vento nelle sue mani e la calma del vuoto nel suo animo era pronto ad affrontare qualsiasi cosa.
Il kunai si allontanò dal suo collo.
Maledizione a te, ragazzo. Quell'ultimo colpo l'ho sentito. disse la kunoichi allontanandosi da lui e reggendosi il fianco dolorante, si andò a sedere su uno dei piccoli camini quadrati che spuntavano del tetto, erano pochi e la maggior parte di loro non veniva mai usata, però erano un ottimo posto per sedersi. Non per meditare nella posizione del loto però, lui ne aveva scoperto la scomodità dopo ore e ore passate a meditare, il pavimento liscio era due volte meglio. Supaku si girò verso di lei, le mani distese lungo i fianchi, in attesa.
La shinobi lo guardò divertita.
Va bene, devo ammettere che sei stato bravo. La tua dimestichezza con quella tecnica è impressionante, non per questo però puoi andare a giro sui tetti svegliando la gente che dorme senza un motivo.
Supaku la guardò, il volto impassibile che non tradiva nessuna emozione.
Non me ne può importare di meno di quelli che dormono. Io devo allenarmi, un giorno sarò un grande shinobi. Devo allenarmi per migliorare, e questo è l'unico modo che conosco.
La kunoichi sorrise di nuovo.
Inutile negare che siamo arrivati ad un impasse, non trovi? Tu devi continuare ad allentarti, mentre io voglio che tu smetta di correre sui tetti a svegliare la gente. Almeno sarei una cattiva shinobi se non te lo impedissi. Tu non puoi smettere perché l'unico modo per allenarti che conosci è questo.
Supaku rimase in silenzio. Nessuno parlò per un paio di secondi. Il vento soffiò altra sabbia sul tetto, stavolta però questa scivolò fuori dal bordo, cadendo in strada.
Hai famiglia?
Supaku non rispose.
Capisco. Beh, a quanto pare quello che ti serve è un sensei che ti tenga lontano dai tetti abitati e ti insegni nelle ore del giorno.
Non avrebbe mai potuto trovare un sensei, molti volevano essere pagati e lui non aveva soldi.
Non posso permettermelo. La shinobi rise di gusto, nonostante il suo sguardo duro, era molto attraente quando sorrideva, tutte le donne lo erano quando sorridevano. Supaku cominciava ad accorgersene solo ora ma non aveva tempo per farci eccessivo caso, aveva troppe cose a cui pensare.
Chi ha detto che devi permettertelo? Ci sono ancora alcuni shinobi in questo mondo, che non desiderano essere pagati, anzi, alcuni considerano l'addestramento di un giovane apprendista già un onore di per sè, grazie alla fama che quest'ultimo lascerà nel mondo. Crescendo la fama di uno shinobi cresce anche la fama del suo maestro, perché è lui che gli ha insegnato tutto ciò che sa.
La ninja sorrise.
Cosa vorresti...
Domani sera, quando il sole è appena tramontato, su questo stesso tetto. Comincerà il tuo addestramento, con me. Disse la kunoichi alzandosi e avviandosi verso la cornice del tetto. Si girò un attimo, come se si fosse appena ricordata una cosa.
Ah, mi chiamo Reiko.
Il mio nome è Supaku Handoru, è un piacere conoscerti Reiko.
Sensei, per te è Reiko sensei, o solo sensei. disse la shinobi prendendolo in giro. Si voltò e scomparve così come era avvenuta.
Supaku rimase per molti secondi a fissare il punto vuoto in cui, pochi attimi prima, stava la sua nuova sensei.
Edited by Supaku - 18/4/2012, 13:13. -
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03. La Gioia dell'Attesa.
Supaku arrivò sul tetto nel tardo pomeriggio. Una parte di lui ancora si rifiutava di credere di aver trovato una sensei mentre un'altra non voleva cadere in preda all'eccitazione o alle false speranze. Fu con questo conflitto che arrivò sul tetto e fu con questo conflitto che decise di allontanarsi su un tetto vicino. Non voleva dare l'impressione alla sensei che la stesse aspettando con ansia.
Atterrò pochi isolati più in là e rimase seduto sul bordo del tetto, osservando il sole calare all'orizzonte, le gambe sospese nel vuoto della grande città che era Suna.
Mentre aspettava nella sua mente si affollarono centinaia di presupposizioni. La ninja si chiamava Reiko, non gli aveva detto altro di lei, solo il suo nome. Analizzando con calma e distacco i ricordi della sera precedente riuscì a realizzare che Reiko non doveva avere più di ventidue anni. Era stata straordinariamente brava nel suo scontro, aveva utilizzato solo due tecniche ed era riuscita a tenergli testa senza neanche scomporsi eccessivamente. Il colpo di palmo che gli aveva assestato sul petto doveva essere obbligatoriamente stato rafforzato con il chakra, nessuna ragazza avrebbe potuto avere una tale forza. Ancora gli facevano male le costole se prendeva respiri molto profondi.
Osservò i suoi piedi penzoloni. Finalmente avrò una sensei, qualcuno che potrà insegnarmi. sentì una punta di eccitazione dentro di sè ma tentò di sedarla immediatamente, da tempo aveva imparato a non illudersi troppo, anche le certezze della vita potevano sparire in pochi secondi in quel mondo.
Non era ancora detto, molto probabilmente la shinobi voleva soltanto prenderlo in giro e quando si fosse presentato sul tetto di notte avrebbe aspettato invano per ore senza che nessuno apparisse. Una parte di lui era terrorizzato da questa prospettiva. Una parte di lui avrebbe voluto che girasse i tacchi e corresse subito in quel buco sottoterra che era il suo appartamento, senza uscire mai più, se una cosa del genere si fosse verificata.
Aveva rilasciato il vuoto quella mattina, provando a godere delle sensazioni della giornata. Da troppo tempo ormai gli era capitato di essere immerso nel vuoto troppo a lungo, quella che stava diventando una tecnica di meditazione per la guerra si stava trasformando nel suo stato naturale. Fu proprio allora, al pensiero che la donna potesse tirargli un brutto scherzo come quello che scivolò istintivamente verso vuoto, ancora una volta.
Si rifiutò di pensarci troppo, in questi casi il vuoto e la meditazione tornavano molto utili. Chiuse gli occhi e si rilassò, concentrandosi nel vuoto dentro di lui e annullando ogni cosa intorno a sè. La meditazione non è mai una cosa fine a se stessa, uno stato d'animo, è più un attimo in cui la mente è a la ricerca di qualcosa dentro l'animo, una investigazione nei meandri più oscuri dell'essere, una ricerca verso qualcosa di inafferrabile. Proprio in quella ricerca la mente raggiunge lo zen, la illuminazione. Lui non cercava l'illuminazione, lui cercava il vuoto dentro di sè, ma spesso era facile scivolare alla ricerca.
Non sapeva mai cosa cercava dentro di sè con così tanto ardore. Quella meditazione era una tecnica che gli era stata insegnata tanto tempo fa, da dei monaci che vivevano sul confine tra il paese del Vento e quello della Terra. Loro lo avevano accolto quando si era presentato alle loro porte sfinito e moribondo, loro gli avevano insegnato l'arte della meditazione per calmare i suoi sentimenti e imparare a gestire gli incubi della sua guerra.
Lui aveva fatto di quella meditazione il suo punto di forza, il suo scudo contro il mondo, adesso riusciva a cadere nel vuoto anche durante il combattimento, privandosi di ogni emozione, era però difficile mantenerlo a lungo, doveva fare molta più pratica.
Era durante la sua meditazione che riusciva ad avere la sicurezza sufficiente per pensare alla sua famiglia, a quello che era successo a quello che ancora non capiva, al giorno in cui il suo villaggio era stato attaccato.
Senza neanche volerlo i suoi pensieri si ritrovarono a vagare di nuovo nel passato, e la sua mente scivolò indietro a quel giorno di primavera in cui i ciliegi in fiore vennero macchiati di sangue. I ricordi affiorarono come un fiume in piena mentre le emozioni di quel giorno lo investivano senza che riuscisse a fermarle.
Lui stava giocando nel giardino della tenuta di suoi padre quando accadde. Se lo ricordava ancora, aveva sette anni e stava giocando con il suo cane, Poci, nel giardino di casa.
Edited by Supaku - 28/10/2012, 21:18. -
.SPOILER (clicca per visualizzare)narrato, parlato, ricordi
04. Ricordi del Passato.
Corri Poci, corri! Disse urlando al piccolo cucciolo dal manto grigio. Stavano correndo nel prato verde poco distante da casa, lui correva avanti, con un grosso sorriso stampato in faccia, il cane lo seguiva subito dietro con la lingua al vento, scodinzolante come un matto. Stava ridendo. Si fermò di scatto e raccolse un legnetto caduto da un albero lì vicino, si girò verso il cucciolo e lanciò il legnetto lontano.
Poci, prendi! urlò felice mentre il cane si gettava all'inseguimento del pezzo di legno. Era una bella giornata, le poche nuvole nel cielo era limpide e bianche come il latte, non tirava molto vento e nell'aria si era sparso l'odore del polline che annuncia l'arrivo della primavera.
La città dove abitavano era famosa per i propri ciliegi in fiore, alberi stupendi, che dispensavano centinaia di fiori rosa, mostrandosi in tutta la loro bellezza. Anche loro avevano un ciliegio in fiore nel loro giardino, era stupendo. Supaku non sapeva da quanto tempo esso appartenesse alla sua famiglia, generazioni molto probabilmente. Gli era stato proibito di avvicinarsi prima del compimento di sette anni affinché potesse comprenderne la bellezza e non provasse a fare cose che molto spesso i bambini compiono senza la vera consapevolezza, come arrampicarcisi sopra o colpirne i fiori con un bastone. Lui si sentiva offeso che potessero pensare a lui in quel modo, come il bambino combinaguai, però forse potevano avere ragione. Ora aveva sette anni e poteva ben comprendere la bellezza e sacralità dell'albero.
Si fermò proprio davanti ad esso, Poci arrivò al suo fianco con il bastoncino tra i denti, tutto fiero e scodinzolante. Supaku lo accarezzò dolcemente lodandolo per aver ripreso il bastone e si sedette ai piedi dell'albero. Non erano molto grandi i ciliegi, le sue chiome non gli avrebbero fatto sufficiente ombra, ma questo non importava, era per il profumo dei fiori che gli piaceva stare seduto con la schiena appoggiata al tronco di quell'albero. A differenza degli alberi della città quello della sua famiglia era diverso, era più esile e delicato, e i suoi fiori tendevano più al bianco candido che al rosato. Sua madre amava scherzare con lui dicendo che l'albero era lo spirito custode di Supaku perché entrambi condividevano una chioma candida come la neve.
Un fiore di ciliegio gli cadde sulla spalla, appoggiandosi sui suoi capelli ormai lunghi, era da tempo che voleva tagliarli, ma tutte le volte se lo dimenticava. Prese il fiore rigirandoselo tra le mani e annusandone l'aroma. Era delizioso. Osservò il cielo azzurro e le nuvole chiare che si muovevano pigramente nell'aria, sospinte solo da una brezza leggera. Si sentiva in pace, per un attimo pensò che quella era la vera felicità.
Poi arrivò l'esplosione.
Fu improvvisa e non annunciata, un frastuono incredibile che scosse la terra e fece cadere un paio di fiori al ciliegio. Alla prima ne seguì una seconda e il fumo cominciò a profilarsi all'orizzonte. Si alzò in piedi cercado di osservare la provenienza di quelle esplosioni.
La loro tenuta era molto lontana dai cancelli della città, il fumo nero si levava proprio da lì. Fece un passo avanti verso le mura della sua tenuta, con l'intenzione di arrampicarvisi sopra per aver una visuale migliore.
Supaku! urlò sua madre. Entra in casa, subito! l'ordine era perentorio e Supaku sentì nella voce di sua madre una vena di preoccupazione. Era una shinobi anche lei, una ninja, anche se era stata sospesa dal servizio perché da più di due mesi la grossa pancia la aveva costretta al riposo. Era incinta del quarto figlio. Il fatto che fosse preoccupata fece venire allo stomaco di Supaku un crampo di tensione.
Corse in casa rapidamente. Sua madre chiuse la porta dietro di lui e Poci.
Sai cosa fare. gli disse senza aggiungere altro. Supaku annuì e cominciò a salire le scale verso il secondo piano, Poci fece per seguirlo, ma sua madre lo afferrò per la collottola, impedendogli di salire le scale dietro di lui, il cucciolo abbaiò con disappunto. Da quando era scoppiata la guerra suo padre aveva insistito che la famiglia avesse un piano di emergenza in situazioni di attacco alla città, era stato considerato come una caso limite, la città era troppo lontana e militarmente non rappresentava una minaccia, però suo padre aveva insistito lo stesso, Uno shinobi deve essere sempre pronto a tutto, anche all'imprevedibile aveva detto. Così aveva costruito un vano segreto tra le intercapedini delle travi del soffitto tra il primo e il secondo piano. Era un piccolo nascondiglio adatto per un bambino, perché fino a quando non fosse nato il fratellino lui era l'unico bambino in casa. I suoi fratelli erano ormai chunin da tempo, ninja come i loro genitori, quindi non avevano bisogno di nascondersi, sapevano badare a sé stessi. Non erano in casa quando l'esplosione avvenne, c'erano solo lui e sua madre.
Supaku entrò in camera sua, quella che condivideva con suo fratello maggiore, spostò il comodino di legno e sollevò l'asse che vi stava sotto, il buco era stretto, quando lo avevano costruito non avevano calcolato che potesse essere cresciuto così tanto, nonostante fosse sempre il più basso della famiglia. Vi entrò a forza e si sdraiò in quello spazio angusto, dopo aver richiuso l'asse dietro di sè. Poco dopo sentì uno strusciare di un mobile e capì che sua madre aveva rimesso a posto il comodino. Supaku non si preoccupò molto, a lui piaceva stare là dentro, lo faceva sentire al sicuro, la cosa bella di tutto ciò era che suo padre aveva posto dei piccoli buchi tra un asse e l'altro che gli permettevano di avere una grandi visuale del soggiorno, e sopra di essi aveva appoggiato una cart da parati abbastanza trasparente, anche se tutto ciò che vedeva sembrava immerso nel verde della carta.
Supaku rimase lì dentro per un pò aspettando. Non era mai successo che qualcuno attaccasse il villaggio in questo modo. Le esplosioni andarono avanti per un bel pò di tempo, ma il fatto che non smisero preoccupava Suapku sempre di più. Sua madre si mise in soggiorno, in modo tale che lui potesse vederla, mentre tesseva. Nonostante l'apparente calma il figlio poteva vedere da come le tremavano le mani che anche lei era preoccupata.
Dopo un periodo di tempo che parve un'eternità qualcuno bussò alla porta di casa loro. La sua attenzione si ridestò e il ragazzo sentì il cuore aumentare i battiti mentre sua madre si avvicinava alla porta e chiedeva chi fosse.
Naora sono io, fammi entrare. fu la voce rassicurante di suo padre a parlare e questo tranquillizzò in parte il ragazzo.
Sua madre tirò un sospiro si sollievo e aprì. Suo padre era in uno stato pessimo. Aveva la divisa strappata in più punti, del sangue gli macchiava il volto e i vestiti, colando da alcuni tagli, anche se Supaku sospettò che non fosse tutto suo. Il suo volto abbronzato, i suoi capelli neri e gli occhi castani, rassicurarono un pò il ragazzino mentre entrava di filato dentro casa. Dietro di lui c'erano sua sorella e suo fratello, anche loro non erano messi bene. Sua sorella, mora e con profondi occhi neri teneva un braccio di suo fratello intorno ad una spalla, Kazuki sembrava ferito gravemente ad una gamba e non riusciva a tenersi in piedi da solo.
O mio dio! esclamò sua madre mentre accorreva a sorreggere il figlio ferito. Kazuki stai bene? presto entrate in casa. portò il figlio facendolo distendere su un divano del soggiorno mentre suo padre percorreva la casa di corsa, andando avanti e indietro, controllando finestre e porte. Sua sorella Myako rimase nel soggiorno, gli occhi che saettavano a destra e a sinistra.
Quando suo padre tornò nel soggiorno sua madre parlò di nuovo.
Gyukudo, che sta succedendo?
Prima le cose importanti, lui è...
al sicuro. concluse sua madre per lui. Gli occhi di suo padre saettarono verso il soffitto, per un attimo Supaku e lui si guardarono negli occhi, e il ragazzo sorrise a suo padre, dimentico che non poteva vederlo.
Bene. disse suo padre.Gyuku il villaggio.. continuò sua madre.
è perso. Ci hanno attaccato all'improvviso, hanno fatto esplodere la caserma uccidendo il grosso delle nostre truppe prima che potessimo reagire. Gran parte del villaggio sta già fuggendo, dobbiamo farlo anche noi, il prima possibile. Ma i suoi occhi tornarono di nuovo al soffitto Non voglio che esca fino a quando non avremo preparato ogni cosa e la strada sarà libera. Non è sicuro là fuori. disse.
Quanti? chi? chiese sua madre.
Cinque, cinque fottuti shinobi. Hanno fatto più danno della grandine e sbaragliato una formazione di cinquanta uomini come se fossero birilli. Devono essere shinobi dell'esercito invasore, disertori.
Sua madre si mise le mani sul viso, la preoccupazione ora visibile. Cinque? Mukenin? O Mio dio. Che ne è degli altri, Rimiko? Surenai? Il volto di suo padre divenne duro come la pietra.
Morti, tutti morti. Sua madre cominciò a piangere. Quella fu la prima volta che Supaku la vide piangere, e fu in quel momento che il ragazzo realizzò che le cose non sarebbero più state come prima.
Dobbiamo muoverci, non c'è tempo da perdere, Myako tu... Non fece in tempo a finire la frase.
La porta si infranse in una esplosione fragorosa. Del fumo si sparse per la casa, mentre la sua famiglia si metteva in posizione di combattimento, supaku vide suo fratello Kazuki ingoiare una pillola scura prima di alzarsi e afferrare un kunai da una borsa dietro la schiena. La sua famiglia di dispose spalla a spalla, pronta ad affrontare qualsiasi cosa fosse entrata da quella porta. Il fumo cominciò a posarsi rapidamente.
Che bella casetta hai, Gyukudo, non ti dispiace vero se entro a fare una visita? quella voce, profonda e bassa, era una voce che Supaku non avrebbe mai dimenticato per il resto sua vita.
Edited by Supaku - 6/4/2012, 19:10. -
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Akimiro disse suo padre con una punta di rabbia nella voce all'uomo sulla porta. Supaku non riuscì a vederlo bene perché la porta era laterale rispetto alla sua visuale dal buco ma quella voce, bassa, carica di violenza e rancore lo fece rabbrividire. Fortunatamente la figura si fece avanti portandosi entro la sua portata di vista e poté scorgerne i lineamenti.
L'uomo era alto, possente e muscoloso, portava un kimono rosso come il fuoco con fiamme bianche ricamante sugli orli. Aveva capelli corti e neri, tagliati in uno stile militare e aveva una barba rada che cresceva molto corta sul viso ma i suoi occhi furono la cosa che terrorizzò di più il ragazzo. Erano rossi come la brace. Supaku giurò di non aver mai visto occhi del genere, erano terrificanti, potenti e inquietanti.
Oh, mio dio. O mio dio. O mio dio. sussurrava la madre di Supaku sotto di lui, la poteva sentire gemere dal terrore.
Gyuku non mi avevi detto che lui era qui. disse a suo padre con una punta di terrore nella voce. Il marito non si scompose minimamente, i suoi occhi non si scollarono per un secondo da quelli rossi dell'uomo nell'ingresso.
Non l'ho visto nel pieno della battaglia ma ho visto Isao, sospettavo che ci fosse anche lui. Il cagnolino non va mai troppo lontano dal padrone. disse suo padre cone una punta di disprezzo nella voce. Un bagliore metallico provenne dalla porta d'ingresso e il ronzio acuto annunciò l'ingresso di cinque shuriken diretti al volto di suo padre. Supaku trattenne il fiato aspettandosi il peggio, poi vide le stelle di metallo impattare sul volto di suo padre e rimbalzare con un suono metallico lontano da lui. Andando a cadere poco lontano. Il ragazzo ringraziò il cielo che suo padre era un così potente shinobi, notò che la sua pelle era diventata improvvisamente nera anche se stava tornando al suo colorito naturale. Una seconda voce giunse dall'ingresso. Era melliflua e lievemente acuta per essere una voce maschile.
Io modererei il tono se fossi in te, il cagnolino è a portata di orecchio e sai benissimo quanto sia irritabile durante una battaglia.
Un'altra figura comparve sull'uscio, accompagnata dal suono di tanti campanelli. Il ninja sulla porta era poco più basso di suo padre, aveva la pelle chiara e i capelli neri come la pece legati in una miriade di treccine sottili, il ragazzo si stupì nel constatare che alla fine di ogni treccina il ninja aveva legato un campenellino. Gli occhi di questo nuovo arrivato erano più naturali, solo un verde smeraldo che, nonostante la loro bellezza, impallidivano accanto a quelli dell'uomo che suo padre aveva chiamato Akimiro. Il ninja era molto giovane e sembrava quasi un ragazzo, indossava un kimono blu e verde, e al fianco destro portava una katana sulla cui elsa aveva appoggiato mollemente la mano destra, mentre la sinistra riposava sul fianco. Con camminata deliberatamente rilassata si mise affianco a Akimiro sorridendo sfacciatamente a sua madre.
Così è questa la via che hai scelto, Akimiro? chiese suo padre, la rabbia trattenuta a stento nella sua voce.
La guerra è ormai persa Gyukudo, Iwa è caduta e le tre grandi nazioni vincitrici si stanno spartendo le spoglie insieme alla traditrice Oto, non c'è rimasto più nulla per noi. è tempo che coloro che valgono qualcosa in questa nazione ormai distrutta si prendano ciò che meritano. Consegnamelo e non toccherò la tua famiglia. Te lo prometto.
Ci fu silenzio, un silenzio carico di tensione. Suo padre non distolse mai gli occhi da Akimiro neanche un momento. Fu sua madre a rompere il silenzio.
Scordatelo. disse in tono perentorio. Tu non lo avrai. Mai. Ci è stata affidata la sua custodia, e lo faremo fino alla morte. La forza nella sua voce aumentava di parola in parola, rinforzando la famiglia. Per un attimo Supaku pensò che tutto sarebbe andato a finire bene, che la sua famiglia avrebbe scacciato i due uomini e che sarebbero potuti fuggire lontano tutti insieme. Non gli passo neanche un attimo per la testa di domandarsi di cosa stessero parlando, le parole arrivavano attutite e la sua attenzione era concentrata tutta sulle persone, mentre la paura che gli attanagliava il cuore lo faceva pregare perché i due estranei se ne andassero il prima possibile.
Akimiro rise alle parole di sua madre.Donna, non capisci quello che stai dicendo. Stai chiedendo la tua morte. Ho con me i migliori shinobi, tutti fedeli e letali, voi quattro non riuscirete a tenere testa a neanche uno di loro senza perire. Seguite la via più saggia, non sacrificate le vostre vite per nulla.
Suo padre parlò di nuovo, le sue parole erano dure e cariche di rabbia.
E così hai voltato le spalle al tuo paese quando esso cadeva, e la prima cosa che hai pensato è stata quella di venire qui, con un gruppo di traditori per prendere ciò che non ti appartiene? disse con disprezzo. Il suo sguardo si posò su Isao Quanto a te, non c'è nulla che mi possa sorprendere, hai già tradito una volta, la seconda non fa altro che farti sembrare ancora più misero. Sputò ai piedi del ninja. Isao divenne rosso di rabbia, la sua mano che sembrava rilassata si serrò con rapidità impressionante intorno all'elsa della spada, nell'aria schizzò il fragore del metallo, ma si interruppe prematuramente. Akimiro aveva appoggiato una mano sul gomito di Isao trattenendolo dallo sfoderare l'arma.
Dobbiamo davvero arrivare a questo, Gyukudo? chiese l'uomo dagli occhi rossi. Il suo sguardo era duro come la pietra e la mascella serrata. Gyukudo rise. Pensavi che giungendo qui, dopo aver attaccato il villaggio, ucciso gente innocente e seminato il panico, ti avremmo accolto con una tazza di te? Non se i benvenuto nella mia casa, traditore, tu e la tua banda potete andarvene ora o morire qui, nella mia casa.
Akimiro sospirò leggermente, poi fece un cenno con un gesto della mano. Dall'ingresso emerse un uomo mastodontico, enorme era la parola giusta per descriverlo. Il petto muscoloso era vestito con una camicia leggera, il visto duro e quadrato era attraversato da una cicatrice orizzontale, che partiva dalla tempia sinistra per finire a lato della mascella destra, il naso era rosso e gli occhi neri infossati nel volto che era privo di sopracciglia.
La sua famiglia si pose in guardia, pronta a scattare. Isao si lanciò avanti, la spada stavolta uscì dal fodero con un sibilante suono metallico, suo padre riuscì a fermare il colpo con un kunai prima che lo tranciasse di netto.
Suo fratello e sua sorella si gettarono avanti ma qualcosa sembrava trattenerli. Cercarono di agitare le mani, ma Supaku potè vedere alle loro spalle, c'erano dei fili neri che li legavano, sembrava...era forse inchiostro quello? Isao si mosse rapidamente, la sua lama tracciò due tagli netti nell'aria davanti ai suoi fratelli, questi, legati e indifesi, vennero colpiti. Sangue sprizzò dalle loro gole squarciate. Caddero per terra, si dibatterono per pochi istanti poi smisero. Due pozze rosse si allargarono sotto di loro. Supaku non ci voleva credere, non credeva ai suoi occhi, ogni parte del suo corpo voleva ribellarsi davanti a quello che stava accadendo. I suoi fratelli erano morti, sua sorella Myako e suo fratello Kazuki, morti. Giacevano là, i loro corpi erano lì in quelle pozze di sangue, ma la vita aveva appena abbandonato i corpi ancora caldi. Non si muovevano e lui sapeva che non si sarebbero più mossi.
Supaku guardò alle spalle della sua famiglia per vedere due figure nell'ombra. Erano entrambe più basse dei tre uomini. Supaku rimase impressionato dal vedere le due figure quando si mostrarono alla luce delle torce. Una era una ragazzina, non avrà avuto più di quindici anni, aveva gli occhi neri, come i capelli che le cadevano lisci fino alla vita. Una parte del volto era scoperta, solo per rivelare un terribile tatuaggio nero che le disegnava intorno ai lineamenti l'aspetto di un demone. Nelle mani teneva un rotolo e un pennello con la punta nera d'inchiostro. L'altra era una donna anch'essa giovane ma più matura. Aveva un seno prosperoso e vestiva con abiti succinti. Aveva i capelli blu legati i una traccia dietro la schiena e il suo labbro inferiore era marchiato da un anello d'argento che le passava attraverso la carne intorno al labbro. La donna sorrideva con malignità.
Sua madre si girò per affrontare la minaccia alle loro spalle, ma improvvisamente, dagli assi sotto i suoi piedi uscì dell'acqua. Fu un attimo, mentre sua madre cercava di evocare i sigilli necessari per un ninjutsu, l'acqua le avvolse le caviglie, le risalì i vestiti e la circondò in un'abbraccio gelido, formando una sfera intorno a lei e impedendole i movimenti. Supaku si trattenne dal gridare, il cuore martellava furiosamente dentro il suo petto. Mentre osservava sua madre battere i pugni contro i brodi della sfera, bolle d'aria uscivano dalla sua bocca, il terrore dipinto sul suo volto stava dicendo che non riusciva a respirare.
Hai un'ultima occasione Gyukudo. disse gelido Akimiro. Scegli, o loro o ciò che voglio. Puoi ancora salvare tua moglie.
Suo padre si avvicinò alla sfera d'acqua. La sua mano si appoggiò contro la superficie liscia, sua madre si calmò un attimo nel vederlo, e anche la sua mano si appoggiò laddove stava quella di suo padre. Supaku vide per la prima volta suo padre piangere, fu uno spettacolo che gli strinse il cuore.
La tua crudeltà non conosce limiti Akimiro, pensavo che fossi meglio di così. Ho fatto un giuramento, sei bene che nulla potrà farmelo spezzare.
Akimiro rimase immobile e per due lunghi minuti Supaku non riuscì a distoglier gli occhi da sua madre. Aveva smesso da tempo di emettere bolle d'aria dalla bocca, il suo volto stava diventando cinereo. Provò a dibattersi debolmente, per pochi attimi prima di accasciarsi e arrendersi completamente. Supaku avrebbe voluto gridare, urlare con quanto fiato aveva in corpo, uscire dal suo nascondiglio e massacrare quei bastardi che avevano fatto tutto ciò. Rimase in silenzio, qualcosa si ruppe dentro di lui alla vista del corpo di sua madre e dei suoi fratelli che giacevano senza vita nell'atrio di casa sua.
L'uomo vestito di rosso perse improvvisamente la pazienza. Si lanciò avanti con furia, scavalcò i resti della porta infranta e afferrò suo padre per il bavero del kimono, la sua forza era impressionante, sollevò suo padre a un metro da terra.
Falla finita! Tu non sei meglio di me, non lo sei mai stato, non lo sarai mai. La guerra è persa, capito? persa! Ognuno deve pensare a se stesso adesso! Il mondo degli shinobi e dell'onore che conoscevi è finito, ora ci sono nuove regole. il pugno su cui reggeva suo padre si strinse di più, sollevandolo ancora più in alto. Gyukudo non sembrava minimamente impressionato. Adesso la legge del più forte a regnare, adesso sono gli shinobi come me e te a fare le regole. Non quella marmaglia di gente che chiami uomini. Formiche che non sanno ciò che riserva loro la vita, destinate a vivere una vita piatta e grigia. Te l'ho appena dimostrato espugnando un intero villaggio con solo cinque uomini capaci. Tu non mi fermerai Gyukudo, non ora ne mai, e quando lo avrò avuto nessuno sarà in grado di fermarmi.
Suo padre si limitò a sputare in faccia a Akimiro, il disprezzo rendeva il suo volto una maschera irriconoscibile.
Va all'inferno Akimiro. disse. Semplici e poche parole cariche di significato. l'uomo vestito di rosso urlò di rabbia scagliando suo padre contro una parete con forza. Il corpo di suo padre non sembrò aver minimamente accusato il colpo. Si alzò con rapidità mentre le sue mani si muovevano rapide ricreando sigilli. Un gigantesco getto infuocato uscì dalla sua bocca gettandosi contro il ninja rosso, non servì a molto.
Ruriko! urlò il ninja rosso alla donna dal seno prosperoso.
Un'altro globo d'acqua avvolse il ninja mentre la donna dai capelli blu rideva, le fiamme si estinsero contro l'acqua sfrigolando e invadendo l'aria di vapore acqueo. Suo padre non le dette il tempo di finire però, altre sfere infuocate uscirono dalla sua bocca, andando nella direzioni più disparate, in poco tempo ogni parte della casa dei suoi genitori stava andando a fuoco.
Un attimo dopo suo padre era alle spalle della donna dai capelli blu che cercava di domare le fiamme e la colpiva violentemente con la mano destra di taglio all'altezza del collo. La donna cadde tramortita al suolo priva di sensi.
Suo padre non finì qui, si lanciò contro Akimiro con violenza, mente il suo corpo diventava nero come la pece, la mano aperta, le dita dirette verso l'avversario come se fossero state una lama. Ci fu un lampo. Una luce bianca invase ogni cosa facendo gemere gli occhi di Supaku e obbligandolo a distogliere lo sguardo dal soggiorno. Quando tornò a guardare la sua vista era ancora a chiazze bianche e nere. Quello che vide però lo inorridì più di ogni altra cosa.
L'uomo enorme aveva una mano distesa a pugno ed era alle spalle di suo padre. La mano passava da parte a parte dove avrebbe dovuto trovarsi il cuore di suo padre. Lievi scintille bianche e bluastre ancora percorrevano il palmo della mano del gigante. Suo padre boccheggiò, afferrandosi il petto, ma il gigante distolse la mano con rapidità inaudita.
Dovè? dove lo hai nascosto? Urlò Akimiro a suo padre. Quello non gli rispose ma si limitò a sorridere. Le fiamme erano ormai alte nella casa. Una trave fiammeggiante cadde sopra il corpo di suo padre. Akimiro si ritrasse di scatto per evitare di essere preso anche lui.
Ottimo lavoro Otojiro. disse al gigante, poi si rivolse alla ragazzina con i capelli neri e il volto tatuato Nyoko, prendi Rukiro e andiamocene di qui. Non è rimasto più nulla. Troveremo ciò che cerchiamo da un'altra parte.
Edited by Supaku - 8/5/2012, 16:40. -
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05. Lezioni.
Supaku aprì gli occhi di scatto. C'era voluta molta forza di volontà per non annegare nei ricordi. Si guardò intorno realizzando che il sole era calato da un pezzo. La sensei. pensò allarmato. Si alzò di scatto pronto a correre verso il palazzo dove la sensei gli aveva dato appuntamento, solo per sentire una voce dietro di sè.
Allora sei vivo, temevo che fossi morto di sonno.
Supaku riconobbe quella voce e qualcosa dentro di lui gli diceva che quello era il momento giusto per sorridere, ma il vuoto rendeva il suo viso liscio come quello di una statua. Ciò che aveva passato, il dolore che aveva provato era stato questo a far nascere il vuoto come stato d'animo, il nulla come scudo contro i ricordi e il dolore.
Si voltò verso la sua sensei. La donna stava appoggiata alla porta che conduceva al piano inferiore, le braccia incrociate sotto i seni e il sorriso di sbieco come sempre.
Dobbiamo mettere in chiaro delle cose, ragazzino. gli disse in modo duro. Se non ti avessi notato venendo qui, avresti fatto un ritardo di ben mezz'ora. Io non tollero i ritardi. Puoi fare quello che ti pare, dormire seduto e qualsiasi altra cosa ti passi per la testa, ma lo dvi fare quando non hai un appuntamento con me, capito?
Sì, sensei. disse Supaku. Il suo volto sarà anche stato liscio ma quella strigliata l'aveva sentita.
Bene. Adesso seguimi. disse Reiko e scomparve in una nuvola.
Suaku rimase interdetto. Non aveva la più pallida idea di dove fosse andata la sua sensei. Guardò sui tetti della città, fino a quando non la vide comparire molti metri più in là, a circa dieci isolati di distanza. Reiko alzò la mano. allora? Che hai da pensare? Muoviti! la sentì urlare da lontano.
Supaku non si fermò un attimo e cominciò a correre. Mentre saltava da un tetto all'altro per cercare di raggiungere la sensei, si chiese quale fosse il significato di una simile corsa, del resto non era molto differente da quello che faceva lui la sera.
La sua sensei sembrò aver aumentato il ritmo e Supaku fu costretto ad accelerare. Si accorse dei triboli troppo tardi. Quando arrivò al decimo edificio, e i suoi occhi si abbassarono un attimo per scorgere il suolo su cui avrebbe messo i piedi, scoprì che il tetto era stato cosparso di triboli appuntiti. Per un attimo si lasciò scappare un gridolino quando il suo piede sinistro si infilzò su uno di quei chiodi appuntiti. Riuscì per miracolo a non cadere, cadere su quel letto di chiodi non avrebbe fatto per niente bene alla salute.
Che fai ti fermi? Devi imparare a mettere i piedi nei punti giusti se vuoi raggiungermi! sentì la sua sensei urlare da due case di distanza.
Supaku la guardò con stupore mentre realizzava quello che lei aveva appena fatto. Questa era forse la sua prima lezione? Notò che tutti i tetti degli edifici successivi erano anch'essi ricoperti di triboli, come avrebbe fatto a raggiungerla se non poteva atterrare sui tetti per darsi lo slancio tra un edificio e l'altro? Poi realizzò che non tutto il tetto era ricoperto di chiodi. Vi erano zone in cui poteva ancora appoggiare i piedi: i camini, le antenne, i cornicioni, i fili per stendere i panni. Doveva fare solo molta più attenzione a dove mettere i piedi d'ora in avanti. Balzò di scatto verso la sua sensei, lanciandosi verso un camino sul tetto successivo, da quello si dette lo slancio puntando una cornice che aveva perso da tempo l'intonaco e da quella a un lampione a metà tra i due edifici. Cominciò lentamente a riprendere il ritmo, mentre i suoi occhi si abituavano a cercare gli appigli giusti. La corsa si profilava interessante. Un accenno di un sorriso piegò il volto impassibile del ragazzo. Questa sensei cominciava a piacergli.
Edited by Supaku - 6/4/2012, 19:11. -
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Il sole stava calando come tutte le sere.
Supaku era seduto su uno dei molti camini della città mentre la luce rossa lo scaldava prima dell'arrivo della fredda notte. Gli piaceva guardare il tramonto, era una cosa così bella, gli dava l'impressione che il sole tirasse un enorme sospiro, stanco della lunga giornata se ne tornava finalmente a letto. Era stupido, lo sapeva, però gli dava una sensazione di tranquillità pari solo al vuoto, solo che qui non doveva spegnere a forza le emozioni, esse semplicemente sparivano. Era incredibile. Aveva una gamba ciondoloni mentre l'altra era ripiegata davanti al petto con il piede che appoggiava sul camino e il mento appoggiato sul ginocchio.
Era in anticipo come tutte le volte in questo ultimo mese che lui e la sensei si allenavano. Reiko odiava i ritardi e lui preferiva recarsi prima al loro ritrovo per evitare di contrariarla e indispettirla per tutta la serata. Supaku trovava la cosa bizzarra, un ritardo era solo un male per il ritardatario, che si perdeva l'inizio o poteva essere lasciato indietro, perché lei se la prendesse così tanto non lo capiva.
I suoi occhi erano fissi all'orizzonte mentre si bagnava della ultima luce rossastra. Per un lungo periodo non sbatté le palpebre per non perdersi neanche un secondo di quella meravigliosa bellezza. L'appuntamento era per i calare del sole.
Quando anche l'ultima goccia di luce scomparve lasciando ogni cosa nell'oscurità della sera, Supaku sbatté le ciglia e scese dal camino, sgranchiendosi le gambe sul tetto. Cominciò a fare qualche esercizio di rilassamento muscolare che la sensei gli aveva insegnato. Prima di incontrarla i suoi muscoli erano sempre dei pezzi di legno duro e contratto, lei gli aveva insegnato che senza un buon riscaldamento non avrebbe potuto fare molto per migliorare la propria prestanza fisica. Lui aveva provato e saggiato la differenza. Prima quando si svegliava dopo una dormita era tutto dolorante per aver passato la notte a correre sui tetti e ad allenarsi, riusciva a scacciare tutto ciò con il vuoto, ma era sempre meglio evitare il dolore inutile quando si poteva. Sentì un lieve fruscio dietro di lui.
Puntale come al solito, eh? disse una voce alle sue spalle. Supaku ormai ci aveva fatto l'abitudine, la sua sensei amava la teatralità, non importava quanto si sforzasse di stare all'erta, lei riusciva a sempre a comparirgli alle spalle. Supaku aveva fatto finta di smettere di provare ad individuarla, anche se ogni volta si sforzava al massimo per percepire la presenza della sensei. Un mese prima quel fruscio non lo avrebbe nemmeno notato, ora avrebbe potuto fare la differenza e si sarebbe potuto difendere da un attacco alle spalle. Certo, non era molto, ma era abbastanza.
Si voltò verso la sua sensei per salutarla.
La mia sensei. pensò. Una parte di lui ancora trovava incredibile questa affermazione. Aveva trovato qualcuno disposto a prenderlo come allievo a tempo pieno. Aveva trovato un sensei. Una parte di lui si sentiva felice tutte le volte che ci pensava, una felicità ancora troppo piccola per poterla accogliere lasciando il vuoto, però pur sempre una felicità.
Sensei. disse in tono formale come al solito.
Allievo dal volto impassibile come una statua. rispose la sua sensei con il solito sorriso in tralice. Si sedette con un gesto fluido e atletico su uno dei camini lì accanto.
Allora? chiese, un velo di ansia si poteva notare agli angoli dei suoi occhi, mentre l'accenno di un altro sorriso le stava per spuntare dalla bocca. Come è andata? Sei passato?.
Supaku non rispose, si limitò ad infilare la mano dentro il kimono e ad estrarre un coprifronte con una targhetta in metallo. Lo lanciò verso la sua sensei che lo afferrò al volo.
Ottimo lavoro! Finalmente sei diventato un vero ninja...cos...perché Konoha??? chiese mostrandogli il simbolo che recava la targhetta in metallo. Sopra di esso era infatti incisa una foglia stilizzata, il simbolo di Konoha, non di Suna. Un angolo della bocca di Supaku si piegò lievemente verso l'alto, in quello che per lui era un sorriso.
Lo shinobi che mi ha fatto l'esame era di Konoha. Non aveva altri coprifronte. Per me non fa nessuna differenza. disse riprendendo il coprifronte e rimettendoselo tra le pieghe del kimono.
Uhmpf....I Konohani sono sempre state persone strane, valli a capire.
Il ninja era strano, aveva degli occhi senza pupille, quasi perlacei, i capelli rossi ed era invincibile. Non avere neanche fatto un graffio al suo sensei durante l'addestramento lo avrebbe depresso se non fosse stato immerso nel vuoto. Era stato sconfortante, quel combattimento, Supaku non aveva mai ricordato di essere stato così frustrato prima di quel giorno. Qualunque cosa loro facessero il sensei non era sembrato minimamente impressionato e sopratutto aveva evitato ogni mossa con sorprendente facilità. Ricordava ancora il momento in cui aveva perso la presa sul vuoto e, preso da una rabbia omicida, si era lanciato sul sensei.
Non ci pensare troppo. Tutti i chuunin a cui viene affidato un incarico simile tendono a fare i gradassi con gli allievi. Quando arriverà il tuo momento capirai.
Supaku ne dubitava fortemente, il vuoto sarebbe sempre stato con lui fino alla fine, era molto improbabile che cadesse in preda ad emozioni così misere come la frustrazione o la rabbia. L'esperienza però gli aveva insegnato a non dare mai nulla per scontato, quindi non replicò alle parole della sua sensei.
Bene! Credo che questo sia il momento di festeggiare con qualcosa di più che quel mezzo sorriso che hai fatto prima.
Sensei?
Non fare il finto tonto, l'ho visto sai? Sembrava più il movimento convulso di uno schizofrenico ma io che ti conosco so che cosa era quel lieve piegamento della bocca. il sorriso in tralice comparve di nuovo. Certe volte Reiko notava dei dettagli incredibili. Tuttavia continuòNon siamo qui per festeggiare il tuo primo misero tentativo di sorridere, quanto piuttosto la tua promozione! è tempo che ti insegni un jutsu!
Supaku la fissò negli occhi per un lungo istante. Il vuoto teneva fuori ogni cosa, ma l'eccitazione ai margini era dura da contenere.
Sono pronto sensei.
Reiko sorrise di nuovo. In realtà è una tecnica molto semplice, ma straordinariamente efficace. Sopratutto perché non richiede sigilli di sorta, ed è un taijutsu che, credo, troverai interessante.
Prima che potesse rispondere, Reiko scattò verso di lui e lo colpì con il palmo della mano in pieno petto. Il colpo in sè non era stato violento, ma la pressione, il dolore e la spinta che ricevette lo furono. Supaku aveva già assaggiato quel colpo una volta, era stato quando avevano combattuto insieme la prima volta. Venne spinto indietro di una decina di metri, ma stavolta non cadde all'indietro come una pera matura, rotolando in modo scoordinato come era stato allora. Adesso era un genin, dopotutto. Il colpo era stato duro, ma il vuoto gli mantenne la mente abbastanza lucida da utilizzare le spinta all'indietro per lanciarsi a piedi uniti contro il camino su cui si era seduto quando era arrivato e fermare la caduta.
Questo, disse la sensei mentre si riavvicinava. Si chiama Palmo Demolitore. Sfrutta il principio molto elementare del controllo del chakra che hai appreso quando cercavi di scalare gli alberi con il chakra impastato con i piedi. Solo che stavolta la concentrazione è sul palmo della mano, la tempisitica deve essere perfetta e la quantità di chakra rilasciata è molto più elevata. Ora prova tu sul pavimento di questo terrazzo.
Supaku la ascoltò attentamente. In realtà la teoria della tecnica sembrava molto semplice, ma scommetteva che per padroneggiarla perfettamente sarebbe stato richiesto un duro lavoro. Il Palmo Demolitore gli piaceva come tecnica, era semplice ed elegante, non rozzo come un pugno ma più diretto e potente, sì proprio una buona tecnica.
Si concentrò impastando il chakra necessario nel palmo della mano destra, poi si chinò in avanti colpendo con forza il pavimento del tetto. Non successe nulla.
Devi rilasciare tutto il chakra verso l'esterno nel momento in cui colpisci e devi accumularne molto di più. lo ammonì la sensei.
Supaku annuì e tornò a concentrarsi. Impastò il chakra nella sua mano, era molto simile all'addestramento per camminare su pareti verticali solo che stavolta la quantità di chakra immessa era quattro volte superiore, picchiò con violenza il palmo della mano sul pavimento rilasciando il chakra a contatto con la pietra gialla. Si sentì un forte schianto e intorno alla sua mano si sollevò una nuvola di sabbia. Quando la mano si sollevò però che la pietra era rimasta intatta.
Meglio, ma stavolta mettici più impegno nella sincronizzazione, aumenta leggermente il chakra. Riprova! lo incoraggiò la sensei.
Supaku annuì di nuovo e si concentrò. Aveva l'impressione che l'addestramento sarebbe durato a lungo.
Edited by Supaku - 6/4/2012, 19:12. -
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06. La Strada dello Shinobi.
Supaku Handoru era in piedi su una delle antenne della città. Quello era in assoluto il punto più alto della città. Da lì poteva vedere ogni cosa, poteva sentire il vento scorrere con violenza perché in quel punto era addirittura sopra l'altezza delle rocce che proteggevano il villaggio. Il vento soffiava impetuoso tra i suoi capelli. Un giorno, si ripromise, sarebbe andato lassù, sulla grande pianura rocciosa che circondava e proteggeva la città della sabbia. Lassù il vento era davvero impetuoso, sarebbe stato bellissimo.
Era lì da un paio di minuti ormai, ci si era fermato perché quel giorno non era riuscito a dormire molto e la giornata era ancora lunga, prima che arrivasse il suo allenamento serale con la sensei. Ormai aveva imparato un paio di nuove tecniche che, pensava, sarebbero state molto utili. L'addestramento procedeva bene, Reiko era severa e scherzosa sempre nei momenti giusti, nonostante tutti i suoi sforzi di farlo sorridere erano stati vani. Supaku cominciava a sentire un senso di calore ogni volta che stava con lei. Una sensazione che non provava da molto tempo, quando la sua famiglia era ancora in vita.
I cinque shinobi. pensò mentre uno dei suoi pugni si chiudeva leggermente dalla rabbia. Il vuoto era inutile in quelle situazioni, non riusciva a mantenerlo abbastanza quando ripensava ai cinque uomini che avevano ucciso la sua famiglia.
Otojiro, Nyoko, Ruriko, Isao e...Akimiro Aveva sentito quei nomi solo una volta nella sua vita, ma nella sua testa si erano ripetuti all'infinito durante i suoi incubi.
Sapeva che se avesse chiuso gli occhi li avrebbe potuti ancora vedere: il gigante pelato, la ragazzina tatutata, la donna prosperosa con i caplli blu, il ragazzo con i campanelli legati ai capelli e l'uomo con gli occhi rossi. Erano là, davanti a lui che lo sbeffeggiavano, che attendevano solo che si addormentasse per tornare a tormentarlo. Per un attimo rivide il volto di sua madre mentre esalava l'ultimo respiro di vita nella bolla d'acqua, rivide i suoi fratelli squarciati dalla spada di Isao mentre dei legacci neri li avevano immobilizzati, costretti a morire inermi in quella che non era la morte di uno shinobi, non aveva neanche potuto sollevare un kunai per difendersi. Rivide il cuore di suo padre pulsante nelle mani del gigante e il suo volto farsi cinereo mentre la vita abbandonava i suoi occhi.
Scacciò quei ricordi con forza, erano ricordi, lui era nel presente. Riaprì gli occhi e si aggrappò al vuoto come un naufrago ad un tronco di legno nella tempesta. La sensazione di gelido nulla dentro il suo cuore scacciò via il dolore come una folata di vento fresco. Non era ancora pronto per abbandonare il vuoto, forse non lo sarebbe stato mai, fino a quando non avesse ottenuto vendetta per quello che gli era stato fatto.
Cinque shinobi. pensò, stavolta non serrò i pugni, era nel vuoto, la calma era la sua rabbia. Tre uomini e due donne da uccidere. Ancora è troppo presto. Non era abbastanza forte, lo riconosceva. Aveva da poco meno di due mesi superato l'esame di genin e non aveva ancora portato a termine nessuna missione rilevante. Il suo sensei durante l'esame di genin era stato un chuunin della foglia che lo aveva messo con le spalle al muro con disarmante facilità. Gli uomini che lui voleva uccidere erano shinobi esperti, non c'era dubbio, avevano ucciso suo padre, un Jounin senza battere ciglio. Lui avrebbe dovuto essere ancora più forte se voleva vendetta, ma sopratutto, doveva essere più forte per sopravvivere a tutti e cinque. O almeno ai primi quattro. Aveva già deciso che Akimiro sarebbe venuto per ultimo, lui era il piatto forte che avrebbe consumato freddo, lui era l'uomo che avrebbe guardato negli occhi mentre moriva prima di strapparglieli e farlo morire nel buio.
Hei, idiota, cosa fai lassù? Per tutti gli dei, quanto ti piacerà fare la statua che fissa l'orizzonte solo tu lo sai. disse una voce familiare sotto di lui. Supaku abbassò gli occhi, sentiva un lieve esasperazione ai margini del vuoto, una parte di lui avrebbe voluto alzare gli occhi al cielo ma si trattenne. Reiko si sarebbe aggrappata a qualunque manifestazione fisica di emozioni, e lo avrebbe tormentato per il resto della giornata, dicendo che anche le statue aveva un'anima. Non era nell'animo giusto per farla contenta al momento.
Scendi dal trespolo e vieni a mangiare qualcosa. Offro io. disse la sua sensei esibendosi nel suo mezzo sorriso in tralice.
Supaku sentì un lieve brontolio allo stomaco. Forse non era male mettere qualcosa sotto i denti. Da troppo tempo non faceva un pasto decente. La scarsità di missioni lo avevano obbligato a centellinare i pochi soldi che aveva a disposizione, gli ultimi acquisti in armeria lo avevano quasi rovinato. Ma ne era valsa la pena, pensò sentendo il peso confortante della borsa al suo fianco.
Con un balzo atletico si lanciò giù dall'edificio, verso il tetto vicino su cui stava Reiko. Atterrò con un balzo leggero, producendo il minimo rumore come la sua sensei gli aveva insegnato.
Humpf sbuffò Bene, vediamo di scendere dai tetti e camminare come ogni persona normale per la strada. I ristoranti sono laggiù. disse mentre si lasciava cadere verso la strada di sotto.
Supaku la fissò mentre rimbalzava da una parete all'altra dei due edifici che racchiudevano la strada. Era agilissima, il genin doveva ammetterlo, invidiava e ammirava allo stesso tempo l'agilità della sua sensei. Un giorno avrebbe voluto essere come lei, agile e veloce, capace di trasformare qualunque superficie in un parco giochi.
Il ragazzo non si perse ad osservarla e la seguì. Ci volle di più per lui, i suoi movimenti a confronto della Kunoichi sembravano goffi e imprecisi, ma arrivò comunque sano e salvo nella strada. Reiko cominciò a camminare senza aspettarlo, così fu costretto ad inseguirla per un paio di metri prima di affiancarla. La strada su cui erano scesi era una stradina secondaria, Reiko si era avviata verso l'intersezione con un'altra strada, una molto più grande e affollata. Supaku non era pratico delle vie di Suna, le percorreva poco, gli piaceva molto di più correre sui tetti, sebbene alla maggior parte della gente non piacesse questo suo comportamento, dedusse però che quella doveva essere una delle strade principali. Si inserirono in quello che era un vero e proprio fiume di gente, era l'ora di pranzo e la maggior parte delle persone erano uscite per mangiare, comprare alle molte bancarelle che costellavano i fianchi della strada o semplicemente per passeggiare. Il rumore della folla, lo scalpiccio di sandali sulla pietra polverosa, le urla dei mercanti che cercavano di sovrastare i vicini e di attirare gente alla propria mercanzia, l'odore di sudore e polvere. Tutto questo era il suono, il pulsare di una città viva e vibrante.
Supaku camminò dietro la sua sensei, schivando uomini che camminavano con fare assorto, infilandosi tra capannelli di gente che si era fermata a guardare, il calore della folla lo prese alla sprovvista. Sentiva dentro di lui montare un lieve panico e l'ansia di stare in posti così affollati e privi dell'aria che amava tanto faceva incrinare il vuoto dentro di lui, mentre piccole gocce di sudore gli imperlavano la fronte.
La sua sensei non sembrava però avere nessuna intenzione di fermarsi e, per non apparire debole ai suoi occhi, cercò di rafforzare il vuoto dentro di lui, doveva essere forte, altrimenti non sarebbe mai riuscito nel suo scopo. Non poteva farsi spaventare da una folla di gente, non poteva. Si fece coraggio e procedette tra la folla con più forza.
Alla fine Reiko si fermò e Supaku non poté non esalare un lieve sospiro di sollievo, anche se fu ben accorto a non farsi notare dalla sensei. Il ristorante era aperto sulla strada, aveva un unico bancone orizzontale davanti a cui erano sistemate una fila di sedie una accanto all'altra. Tra la strada e il bancone c'era solo una tenda, che arrivava più o meno all'altezza della vita di Supaku, a separe il suolo polveroso e affollato dalla quiete del ristorante.
Era incredibile ma, appena Supaku varcò la tenda, sembrò quasi che il rumore, l'odore e la frenesia della fiumana di gente, fosse scomparsa. In realtà era a neanche un metro alle sue spalle, ma là dentro sembrava tutto più silenzioso, più pacifico.
Reiko si era seduta ad uno degli sgabelli centrali, non c'era molta gente in quel posto, forse perché avevano passato da tempo l'ora del pranzo. Supaku si sedette alla sua sinistra, mentre la sua sensei ordinava per loro.
Due ramen di miso. disse con sicurezza. Poi si rivolse al suo allievo.
Ti piacerà, è stato il pasto preferito di un famoso ninja un tempo. Non lo hai mai sentito? Era diventato quasi un leggenda ai miei tempi. Peccato che quando scoppiò la grande guerra non si sia più saputo nulla di lui.
Supaku scosse la testa, non aveva mai sentito parlare di un grande ninja a cui piacesse il Ramen. Era un pasto semplice, che puntava con un'unica portata a riempirti completamente. Una volta suo fratello lo aveva portato ad assaggiarlo quando era piccolo, non gli era piaciuto, forse perché dentro aveva trovato delle ossa di maiale. Quello che gli venne servito dal cuoco aveva un aspetto completamente differente da quello che aveva assaggiato lui, era più chiaro e il suo sapore era più dolce e forte. Era buono, ma forse era solo la fame atavica di molti giorni a parlare. Lo divorò rapidamente mentre la sua sensei era ancora a metà, lui aveva già finito. Respinse la ciotola facendo ringraziando il cuoco del pasto.
Reiko sorrise tra un boccone e l'altro.
Sembra che tu abbia patito la fame da giorni. Ne vuoi ancora? Supaku si vergognava a chiederne dell'altro ma l'offerta della sua sensei non poteva essere rifiutata, al pensiero che forse non avrebbe mangiare così bene per molti giorni assentì con la testa e la sua sensei fece cenno al cuoco di preparare una seconda porzione.
Allora, parlami di te Supaku Handoru. disse Reiko osservandolo in tralice e prendendo un'altra spaghettata.
Supaku scosse la testa prima di parlare.
Non c'è molto da dire. Sono un allievo di Suna, ho passato l'esame genin e vorrei finire abbastanza missioni per fare l'esame Chuunin il prima possibile.
La sua sensei pronunciò solo una parola in risposta.
Perché? chiese.
Supaku rimase interdetto. Per un paio di secondi ci fu silenzio tra loro.
Tutti intraprendono la strada dello shinobi per un motivo, che sia stupido o serio, anche tu devi avercelo. Potere? Ricchezza? Conoscenza? Fama? Gloria? Vendetta? a Supaku sembrò che l'ultima parola fosse stata pronunciata dalla sua sensei con una lieve enfasi, ma forse era solo la sua immaginazione. Ho conosciuto uno shinobi che pensava che essere un ninja lo avrebbe reso una calamita per le donne. continuò Reiko, un altro sorriso le apparve sul volto. Dei, quanto era pazzo quell'uomo. i suoi occhi tornarono di nuovo a Supaku. ma il ragazzo non le diede tempo di parlare di nuovo, riuscendo a farle una domanda che sperava la potesse distrarre.
E tu, sensei? Perchè hai intrapreso questa strada?
La sua sensei sembrò essere presa in contropiede da quelle parole. Poi sorrise di nuovo, agli occhi attenti del ragazzo, quel sorriso sembrava velato di una lieve tristezza.
La mia strada fu decisa da qualcun'altro. Mio padre. Non aveva avuto altri figli all'infuori di me, veniva da generazioni di shinobi prima di lui. Non era contemplato che la sua unica figlia potesse fare qualcosa di diverso. La mia strada mi è stata tracciata, ma alla fine sono riuscita a deviarne un pò il percorso dove volevo. Se c'è una lezione che ho imparato da tutto ciò è quella di non lasciare che siano gli altri a decidere il tuo futuro, ricordatelo bene ragazzo, non permetterlo mai.
La kunoichi fece un cenno al cuoco che gli portò una piccola bottiglia e un bicchiere ancora più piccolo. Reiko trangugiò una sorsata del liquido facendo una faccia leggermente contrita, poi sospirò con forza.
Ahhh! Ci voleva proprio. Supaku tornò al proprio ramen che finì in poco tempo, anche se stavolta cercò di gustarselo il più possibile perché sapeva che era l'ultimo.
Una volta finito la sensei pagò il conto e si avviò fuori, seguita dal ragazzo.
Allora, io ho delle faccende da sbrigare. Ci vediamo stasera. disse sorridendo di nuovo al ragazzo.
Sì, sensei, grazie per il pranzo. disse Supaku inchinando lievemente la testa per sottolineare la sua gratitudine, a cui la sensei rispose con un gesto della mano e una smorfia. Il ragazzo fece per allontanarsi quando la voce della sensei lo raggiunse alle spalle.
Non mi hai ancora risposto. disse. Cosa insegue Supaku Handoru?
Supaku non si voltò, il vuoto dentro di lui vacillava terribilmente. Doveva dire la verità? Doveva dire che il suo obbiettivo di diventare un grande shinobi era solo mirato allo copo di uccidere i cinque uomini che avevano sterminato la sua famiglia? Supaku conosceva molte leggende e storie sui ninja, gliele avevano raccontate i suoi genitori molte volte prima di andare a letto. In tutte, i cattivi erano shinobi traditori, mukenin, ninja che avevano scelto il sentiero del sangue, molti di loro lo avevano fatto per vendetta. Nessuno dei "buoni" delle storie era un ninja animato di vendetta, sapeva cosa voleva dire. E se la sensei avesse disapprovato e si fosse rifiutata di insegnargli? D'altro canto se avesse mentito al suo sensei, sarebbe stato molto più grave. Non poteva farle questo, non dopo tutto quello che lei aveva fatto per lui. O poteva?
Poteva rischiare il suo maestro per la verità?
Il vuoto vacillava come un piatto che fosse stato messo in equilibrio su un fragile giunco.
Supaku non si voltò quando parlò.
L'ultima che ha detto sensei.
Non sentì nessun movimento da parte di Reiko. Solo un lieve sospiro.
Tu sei... sentì la sua maestra iniziare la frase. Supaku si voltò fissandola negli occhi. Erano gli occhi fermi di un ragazzo che aveva visto tante morti. Erano gli occhi duri di un'anima a cui era stata strappata la felicità prematuramente. Erano gli occhi di un bambino che aveva giurato vendetta.
Sì, sensei. Sono uno degli Orfani di Iwa. disse. Non esitò quando lo disse, non battè ciglio, la paura dentro di lui era scomparsa, il vuoto si era rinsaldato. Se la sua sensei avesse voluto smettere di insegnargli, a lui sarebbe andato bene, non avrebbe mentito solo per nascondersi.
Il sorriso dalle labbra di Reiko era scomparso. I suoi occhi neri lo scrutarono a lungo. I loro sguardi si incrociarono senza che nessuno battesse ciglio.
La folla intorno a loro continuò a camminare come se nulla fosse. Uomini, donne, bambini sembravano tutti incuranti di ciò che stava accadendo a pochi passi da loro. In quel momento il futuro di Supaku era appeso ad un filo, se la sua sensei si fosse rifiutata di continuare ad insegnargli, molto probabilmente le sue chance di sopravvivere ai cinque sarebbero state inferiori. Ma non era solo quello, la sua sensei significava tutto per lui, non aveva nessun'altro con cui parlare, nessuno con cui allenarsi, nessuno con cui mangiare una ciotola di ramen. Lei era stato il primo raggio di sole in quella terra arida, lei poteva significare la sua speranza, un giorno, di tornare a provare quello che aveva perso la notte che la sua famiglia era stata uccisa.
In quel momento si stava decidendo la sua vita.
Alla solita ora, al solito posto. disse Reiko, voltandosi rapidamente ed incamminandosi verso il centro della città. Puntale, mi raccomando! gli gridò mentre si allontanava.
Supaku rimase immobile mentre la vedeva andare via. Il suo cuore batteva felice per non essere stato scacciato come allievo. Aveva detto il segreto più oscuro che gli gravava nell'anima, poteva ancora vivere con la speranza.
Grazie, sensei. sussurrò alla folla mentre si girava anche lui per incamminarsi verso casa.
Molti metri più in là, nel bel mezzo della folla che si spintonava per farsi largo tra le bancarelle, Reiko sorrise.
Non c'è di che, Supaku. disse rivolgendosi a nessuno in particolare e sollevando molti sopraccigli tra i passanti che la osservarono con sospetto, credendola pazza.
Edited by Supaku - 6/4/2012, 20:13. -
.SPOILER (clicca per visualizzare)Narrato, pensato, Parlato Supaku, Parlato Reiko, Parlato Isao
07. Missione di Livello B.
Supaku era in attesa della sua sensei. Ancora una volta era in anticipo e non vedeva l'ora di cominciare un nuovo addestramento, ma sopratutto non vedeva l'ora di mostrare a Reiko il suo nuovo acquisto. Era riposto dentro ad un rotolo che aveva nella borsa e non vedeva l'ora di aprire il rotolo per evocare l'arma. Lo aveva comprato un paio di giorni prima, nonostante si vedesse e allenasse con la sua sensei praticamente quasi ogni giorno, aveva tenuto nascosto l'acquisto perché prima doveva impratichirsi con l'arma. Era ingombrante se non si sapeva maneggiare bene e rischiava di impedire la formulazione dei sigilli per le tecniche.
Calmati, la troppa eccitazione non va bene. gli disse una voce nella sua testa. Aveva ragione, da troppo tempo aveva perso l'abitudine di lasciarsi da felicità effimere come l'acquisto di un oggetto, la felicità era sempre momentanea e rendeva tutto molto più difficile una volta che si estingueva. Il volto tornò impassibile, le sopracciglia si corrugarono leggermente mentre si guardava intorno in cerca di un segnale della sensei. Arrivò inaspettata come al solito, un fruscio lieve come l'erba appena toccata dal vento, poi un altro suono, il movimento del vento dietro di lui. Supaku si concesse un micro spostamento del labbro verso l'alto, una parvenza di un sorriso. Stava migliorando nel cogliere i segnali della venuta della sua sensei.
Ehi! Statua di sale, muoviti abbiamo del lavoro da fare. gli disse Reiko sbrigativa come al solito. Supaku rimase interdetto. Del lavoro da fare? non era mai capitato che Reiko avesse del lavoro per lui. Si voltò verso la sua sensei, era in piedi sopra il cornicione del tetto-terrazzo su cui Supaku si era messo in attesa.
Lavoro? chiese incerto, come se non fosse sicuro di aver sentito bene. Reiko gli rivolse il solito sorriso in tralice, quasi a prendersi gioco di lui per la sua reazione.
Sì, abbiamo un lavoro io e te. Una missione di rango B. Ah! Hai sollevato un sopracciglio!! L'ho visto! Sei vivo!!! Urlò ridendo e additando il volto del ragazzo. Gli piaceva provare a stuzzicare Supaku, cercare di far crollare quella facciata di impassibilità e calma che lo ammantava ogni secondo. Ci provava e alcune volte otteneva delle piccole vittorie che si manifestavano in piccoli movimenti muscolari sul viso del ragazzo. Era poco, lo ammetteva, ma come Supaku si sforzava di notare anche il più minimo segnale della venuta della sua sensei convinto che un giorno sarebbe riuscito ad anticipare la sua venuta, così Reiko si sforzava di cercare anche il più insignificante movimento del viso del ragazzo, per rassicurasi che dietro quel volto di ghiaccio ci fosse un ragazzo con delle emozioni.
Sensei? Sta scherzando? chiese Supaku lievemente irritato, il vuoto però era saldo dentro di lui e il suo volto immobile come quello di una statua. Non avrebbe dato soddisfazione alla sensei. Lui era nel vuoto, il vuoto lo rendeva forte, perché abbandonarlo per far smettere quella donna di prenderlo in giro ogni volta che il suo volto si muoveva fuori controllo?
Sì, in realtà la missione è più per me che per te, ma ho deciso di portarti con me stanotte. Del resto è abbastanza semplice e ti ho addestrato al meglio, fino ad ora, così almeno non mi farai scoprire subito. Si tratta di un appostamento con possibile pedinamento. Disse sorridendo di nuovo al suo incredulo ma impassibile allievo.
Supaku era in preda ad una serie di emozioni contrastanti, prima l'acquisto che non vedeva l'ora di mostrare alla sua sensei e ora una missione di livello B con tanto di pedinamento? Era incredibile. La felicità premeva ai bordi del vuoto ma lui la respinse come era sempre stato abituato a fare. Odiava sentirsi male tutte le volte che quella lo abbandonava.
Sei pronto? Prima di partire, c'è una cosa importante che ti devo dire. gli disse alzando il dito e assumendo una espressione seria. Nessuno sa che tu mi accompagnerai in questa missione, non è scritto da nessuna parte che io abbia bisogno di un partner, quindi dovrai essere ultracauto a non farti notare nel caso in cui le cose si metteranno male. non voglio che ti faccia male. il suo sguardo era serio e faceva intendere che non ammetteva trasgressioni. Stammi vicino, resta il più possibile nell'ombra e non parlare a meno che non te lo dica, anche se penso che questo ultimo avviso sia superfluo. il sorriso in tralice comparve di nuovoSolo gli dei sanno quanto ti piace parlare. Ah, un'altra cosa, non verrai pagato, io sì, ma tu no. Se la cosa andrà bene aspettati come compenso un invito a pranzo.
Supaku annuì in silenzio. L'eccitazione trattenuta a stento dentro al vuoto. L'idea di non essere pagato non lo turbava minimamente, già l'onore di essere ammesso a partecipare ad una missione di rango B bastava e avanzava. Inoltre l'invito a pranzo era un buon modo per festeggiare e lui non aveva fatto un pasto decente dal giorno in cui la sua sensei l'aveva portato al chiosco del ramen. L'ultimo acquisto che aveva fatto gli aveva prosciugato il portafoglio lasciandolo praticamente all'asciutto, non sapeva perché lo aveva fatto, del resto poteva ancora cavarsela senza quell'oggetto. Una parte di lui però lo aveva messo in guardia, se doveva iniziare a fare degli scontri contro altri shinobi per allenarsi sul serio era meglio avere un'arma da combattimento ravvicinato per evitare di venire scavalcato da combattenti armati di katane e spade larghe. Un kunai contro quelle armi sarebbe durato poco, oltretutto quello era uno dei pochi oggetti economici che era in grado di utilizzare senza farsi del male. I monaci gli avevano insegnato un paio di movimenti basilari e di attacchi principali, sarebbero dovuti bastare. Si rammaricò soltanto di non poter mostrare oggi alla sensei il suo nuovo acquisto. Forse dopo la missione? Si chiese che ora avrebbero fatto, molto probabilmente quando avrebbero finito il sole sarebbe sorto. Perfetto, così non dovrò stare alzato da solo nella mia stanza ad aspettare l'alba. pensò rallegrandosi. Non dormiva mai di notte.
Alzò la testa, fissando negli occhi la sua sensei. Aveva occhi neri come il buio della notte, Supaku li trovava molto affascinanti in una donna, la rendevano molto misteriosa e certe volte erano anche intimidatori. Il suo volto rimase impassibile come una statua mostrandole di non avere paura, che era pronto.
Lui non provava emozioni, lui sarebbe diventato lo shinobi perfetto, lui avrebbe vendicato la morte della sua famiglia e del suo villaggio. Non avrebbe lasciato che una missione di livello B si mettesse in mezzo nella strada per realizzare il suo sogno.
Andiamo?
Edited by Supaku - 31/5/2012, 13:00. -
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Scivolarono nella notte come ombre silenziose. Saltando da un tetto all'altro con agilità, Supaku ringraziò mentalmente la sua sensei per avergli insegnato a correre silenziosamente sui tetti in una delle sue prime lezioni. Ora ne coglieva tutta l'utilità. Camminarono sopra Suna, mentre le stelle nel cielo brillavano in quella che era una magnifica notte in un deserto senza vento. Il genin sperava in almeno un filo del suo amato elemento, lo avrebbe fatto sentire più forte sapendo che il vento era accanto a lui, ma sembrava che quella notte tutto tacesse.
Alla fine Reiko si fermò. Si trovavano in una delle zone di Suna più malfamate. Supaku ci era stato un paio di volte, il posto in realtà non era molto distante da dove viveva, ma aveva preferito allenarsi in luoghi più tranquilli, dove il pericolo di essere aggredito da qualche disperato su un tetto per pochi spiccioli era inferiore. Sia ben chiaro, lui non aveva paura di loro, il vuoto teneva lontana quella emozione, era solo che non si sentiva ancora pronto per affrontare un combattimento che avrebbe facilmente trasformarsi in uno scontro mortale. Non era ancora il momento di rischiare la propria vita, doveva preservarsi per il giorno che avesse consumato la sua vendetta.
Si appostarono su un piccolo balcone laterale, in cui erano stati appesi dei panni a stendere che gli conferirono la giusta copertura da occhi indiscreti sulla strada.
Reiko gli fece segno di rimanere in silenzio appoggiandosi un indice sulle labbra e indicando una porta che dava su un vicolo buio e sudicio.
Era incredibile come nella città del vento, dove non vi era altro che polvere e terra, la gente fosse riuscita a trasformare parte di quella città in una vera e propria discarica. Il terreno, non si sapeva per quale motivo, era sempre bagnato e la terra sembrava fango maleodorante, forse per colpa degli scarichi che davano direttamente in strada? Non lo sapeva. Accatastati ai bordi delle strade c'erano sacchi di spazzatura accanto a cassonetti rovesciati e infestati da mosche e, ogni tanto da qualche gatto randagio che cercava di procurarsi la cena.
Supaku osservò la porta che la sua sensei gli aveva indicato. Era una porta di alluminio, che ricordava molto le uscite di sicurezza che stavano nei locali pubblici. Chissà che tipo di locale è? conosceva a grandi linee la zona e sapeva che sulla strada in cui si immetteva il vicolo c'erano locali di vari tipi, tutti avevano una brutta fama, ma uno in particolare Yopparai Tanuki, Il Procione Ubriaco, alcuni dicevano che era meglio tenersi alla larga da quel luogo, che fosse frequentato da malavitosi e mukenin.
Mentre era immerso in questi pensieri la sua sensei gli sussurrò all'orecchio
Io vado a fare un giro in perlustrazione, tu rimani qui a sorvegliare la porta, se succede qualcosa chiamami. disse indicando la radiolina auricolare e sintonizzandola sulla frequenza di quella del ragazzo. Agile come sempre, saltò sull'edificio adiacente, per poi scomparire rapidamente. La sua velocità continuava ad impressionarlo. Supaku si mise comodo sul terrazzo e non distolse mai gli occhi dalla porta.
Sospettava che sarebbe passato molto tempo prima che le cose cominciassero a farsi interessanti. Si sbagliava.
Improvvisamente la porta si spalancò e uscirono quattro uomini incappucciati e ammantati da mantelli neri. Supaku si paralizzò vedendoli, all'inizio non seppe che fare poi afferrò la radiolina e sussurrò debolmente Quattro uomini.
Non giunse nessuna risposta dall'auricolare e Supaku fu sul punto di ripersi, quando i quattro uomini si mossero incamminandosi verso l'uscita del vicolo. Il genin dai capelli bianchi rimase immobile, indeciso sul da farsi. Erano quelli gli uomini che la sua sensei doveva pedinare? Se erano loro, doveva seguirli? Ma se li avesse seguiti per poi scoprire che non erano loro, avrebbe lasciato la postazione per rincorre le persone sbagliate? Il vuoto sembrò incrinarsi davanti alla sua indecisione che sembrava scuotere ogni cosa. Cosa doveva fare?
Una mano toccò la sua spalla. Supaku sussultò, un kunai era già nelle sue mani e schizzò all'indietro pronto a colpire l'assalitore. Una mano ferma gli bloccò il polso. Poi la voce calda della sua sensei gli bisbigliò all'orecchio.
Sono loro, seguimi. disse e, senza fare rumore, saltò immediatamente al tetto successivo seguendo dall'alto i quattro uomini.
Supaku si riprese dallo spavento, scoprendo che era quasi scivolato fuori dal vuoto nel momento in cui la sensei lo aveva sorpreso alle spalle. Non l'ho nemmeno sentita arrivare. Era come un fantasma. pensò con rammarico, quando realizzò che tutti i suoi precedenti tentativi di percepirla arrivare fino a quel momento erano stati vani. Non ha mai dato il massimo di sè quando veniva ad incontrarmi. pensò leggermente deluso.
Con un lieve moto di rabbia riafferrò il vuoto immergendovisi prima che la depressione prendesse il sopravvento. Ora aveva del lavoro da fare, non c'era tempo per piangersi addosso.
Con un balzo agile e silenzioso seguì la propria sensei sui tetti di Suna dietro ai quattro uomini ammantati di nero.
Edited by Supaku - 21/4/2012, 02:01. -
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Gli uomini procedevano spediti, passando da un vicolo buio all'altro senza mai voltarsi, per controllare se venissero seguiti. Questo rendeva le cose più facili per Supaku e la sua sensei anche se questo non voleva dire che dovevano abbassare la guardia.
Mentre le quattro figure camminavano, passando da un vicolo all'altro, senza mai entrare in una strada principale, ma sempre scegliendo quelle meno illuminate, loro erano come ombre sui tetti della città. Reiko procedeva pochi metri avanti a Supaku, mentre il genin dai capelli bianchi si teneva a distanza, sul versante opposto rispetto alla sua sensei. Ogni salto da un tetto all'altro era silenzioso e leggero, come la sua maestra gli aveva insegnato. In quel momento inseguire quattro figure misteriose che avrebbero anche potuto essere letali mukenin, non pesava minimamente a Supaku, la sua attenzione era attratta dal chiarore della luna, dalla bellezza della notte, dalla leggera brezza del fresco vento tra i suoi capelli. L'adrenalina pompava dentro di lui ad ogni salto, mentre atterrava su un camino o su un davanzale, per poi darsi di nuovo la spinta in avanti verso il prossimo edificio, tutto sembrava più vivo, più intenso.
Sei in missione, concentrati sul bersaglio si rimproverò il ragazzo, vergognandosi improvvisamente per aver goduto di quel momento, in cui un passo falso poteva significare il fallimento della missione per la sua sensei.
Le quattro figure si immobilizzarono in mezzo ad un vicolo buio che sembrava esattamente identico a tutti gli altri. Reiko si fermò ad un edificio di distanza, Supaku ancora prima. Atterrò su un terrazzo piatto e si nascose rapidamente dietro un camino per evitare di essere scorto dalla strada. Da quel punto poteva ancora vedere la sua sensei, nascosta dietro una serie di panni stesi, ma non aveva nessuna visuale dei loro bersagli.
Sembrava che le quattro figure non si fossero decise ad andare avanti, questo era strano.Chissà che stanno facendo. La curiosità di sbirciare oltre il bordo del camino stava premendo ai margini del vuoto ripetutamente. La sua sensei era immobile, concentrata, sbirciava la strada tra un paio di pesanti lenzuola rosse.
Passò quella che a Supaku sembrò un'infinità di tempo, eppure la sua sensei non si era mossa di un muscolo.Si può sapere che cavolo stanno facendo? pensò, una punta di rabbia stava cercando di infrangere il vuoto, sospinta dalla forza della curiosità. Il tempo sembrava passare molto più lentamente del normale. Una volata di vento spostò leggermente le lenzuola dietro alle quali stava nascosta Reiko, quella non si mosse di un muscolo, lasciando che la brezza notturna le scompigliasse i capelli mori tenuti insieme dal suo coprifronte.
Basta, devo dare una occhiata.Pensò Supaku. Appoggiò la guancia sinistra al muro, scorrendo lievemente sulla superficie ruvida della pietra gialla con cui venivano costruiti la maggior parte degli edifici di Suna. Arrivato al bordo estremo, ruotò lievemente la testa, in modo che il suo occhio destro potesse avere una buona visuale del vicolo.
Le quattro figure erano ancora dove le aveva lasciate, immobili come sempre là dove si erano fermate prima che lui potesse muoversi e nascondersi dietro al camino. Esattamente nello stesso punto. Sempre gli stessi quattro, tutti ammantati da cappe nere con i cappucci tirati. Uno, il più grande degli altri, stava in fondo al gruppo, mentre gli altri tre, all'incirca tutti ad altezza media, erano posizionati uno a destra, uno a sinistra e uno due o tre metri più avanti rispetto al grosso uomo. Stavano camminando attraverso i vicoli più bui della città di Suna, evitando con cura le strade più frequentate ed illuminate. Lui e Reiko li seguivano, ciascuno tenendo un lato della strada, camminando sugli edifici che la costeggiavano. Reiko era più avanti rispetto a lui, che si teneva basso e nascosto, in modo da non essere notato. In fondo non era la sua missione, non voleva fare nulla che potesse compromettere il lavoro della sua sensei. Ad un certo punto i quattro si fermarono e Supaku fece un ultimo balzo da un edificio all'altro, pronto a nascondersi dietro ad un grosso camino sporgente. In quel balzo, vide la figura ammantata di nero a destra voltarsi verso di lui, vide il live luccichio dei suoi occhi sotto l'ombra nera del cappuccio. Fu un attimo, poi atterrò e si nascose il più rapidamente possibile dietro al camino, osservando la sua sensei ripararsi dietro a delle grosse lenzuola rosse. Rimanendo immobile come una statua, mentre osservava la strada, Supaku non avrebbe potuto avere una buona visuale della strada senza esporre il proprio viso chiaro e i suoi capelli bianchi alla luce della luna, perciò rimase dietro al camino in attesa di un movimento della sua sensei. Il tempo passò, ma nulla stava succedendo.
Chissà che cosa stanno facendo. pensò. Fu in quel preciso momento che sentì che qualcosa era andata terribilmente storta.
Aspetta un attimo, ma io.... pensò mentre il suo sguardo passò alla sua sensei. Immobile dietro alle tende rosse, senza mai distogliere lo sguardo dalla strada, attraverso lo spiraglio tra due tende. Una voltata di vento spostò le lenzuola, agitando i capelli tenuti fermi dal coprifronte a fascia rossa della sua sensei.
Io...tutto questo....l'ho già...l'ho già....vissuto! pensò realizzando che cosa stava succedendo.
Fu un attimo, poi la realtà sembrò collassare intorno a lui, frantumandosi in una miriade di vetri colorati, facendo sparire ogni cosa. La sensazione della pietra ruvida contro la sua guancia, il vento tra i capelli, l'adrenalina che pompava dentro di lui.
Era disteso sulla pietra secca e fredda del terrazzo. Sbatté le ciglia un paio di volte prima di realizzare dove si trovava, era sullo stesso edificio dietro al quale si era nascosto, solo che stavolta, era disteso sul terrazzo, il camino accanto al suo fianco sinistro. Si alzò di scatto, realizzando che doveva essere stato vittima di un qualche specie di attacco, la strada era vuota. Girò lo sguardo sull'edificio vicino, anche la sua sensei era scomparsa.
Appoggiò la schiena al camino, scuotendo leggermente la testa per schiarirsi le idee. Non aveva idea di cosa doveva essere successo, ma prima di risvegliarsi stava rivivendo di nuovo l'appostamento dietro al camino, i suoi ricordi si interrompevano nel momento in cui sbirciava sulla strada per dare una occhiata. Qualcosa doveva essere successa nel momento in cui aveva sbirciato, qualcosa che non riusciva a ricordare.
Ma non doveva rimanere lì immobile come un idiota. La sua sensei era scomparsa e così anche gli uomini che stavano pedinando.
Senza pensarci due volte sopra, Supaku si alzò e scattò verso il bordo del tetto vicino, da lì, si dette lo slancio per saltare. La rincorsa era stata poca ma il salto fu sufficiente lo stesso. Atterrò nell'edificio su cui era stata appostata la sua sensei pochi attimi, o forse molto più, prima.
Le lenzuola rosse erano sparse per terra, ma non vi era altra traccia del passaggio della sua sensei. Di sicuro Reiko aveva continuato il pedinamento, nonostante lui fosse svenuto o qualcosa di simile.
Supaku si voltò verso quella che avrebbe potuto essere la direzione dei quattro uomini, cominciò a correre, saltando da un edificio all'altro, in cerca di tracce del passaggio della sua sensei.
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Supaku correva sui tetti di Suna, in cerca di una qualsiasi traccia della sua sensei. Aveva percorso ormai più di dieci isolati, fermandosi ogni volta che gli sembrava di aver scorto qualcosa sui tetti o sulla strada, ma ancora non aveva trovato nulla. Quando per la ennesima volta si fermò per osservare quella che gli era sembrata un'impronta solo per scoprire essere una depressione del terreno, Il genin cominciò a disperare di poter ritrovare Reiko. Sentì il proprio cuore sprofondargli nello stomaco a quel pensiero, non poteva aver abbandonato la sua sensei in un momento del genere, non poteva credere di essere caduto in una simile trappola. Si diede dello stupido per aver osato guardare al di là del camino i loro bersagli, era chiaro che era stato vittima di una potente illusione, che lo aveva messo fuori combattimento, per non sapeva quanto tempo, e aveva lasciato la sua sensei sola nel proseguire il suo inseguimento. Non dobbiamo farci scoprire. gli aveva detto, ma a quanto pare Supaku non era stato capace di fare nemmeno quello. Ora non riusciva a ritrovare le tracce della sua maestra. Era un fallimento, sotto ogni punto di vista. Era un completo fallimento.
Si alzò dal punto in cui era inginocchiato, osservò meglio il vicolo in cui era sceso, non aveva nulla di speciale nè di diverso da tutti gli altri vicoli che aveva visitato n cerca di tracce, ai lati il sudicio veniva raccolto in bidoni o sacchetti di plastica nera, mentre il centro di essa era polveroso e schiarito dal passaggio delle persone. Con un gesto di rabbia calciò uno dei sacchetti neri dell'immondizia facendolo esplodere e riversando sulla strada cibo marcio e altra roba sudicia e sporca che emanava un odore poco rassicurante. Supaku saltò sulla parete dell'edificio lì accanto, non aveva la minima intenzione di rimanere là sotto un minuto di più, sopratutto con quell'odore. Risalì fino al tetto nel modo che gli aveva insegnato Reiko, quello più rapido. La distanza tra i due muri che delimitavano il vicolo era molto stretta, sufficientemente corta per permetter ad un ninja di saltare da una superficie all'altra con facilità. Con slancio saltò contro la parete opposta e da lì fece un altro salto verso l'alto, lanciandosi di nuovo contro la parete da cui era partito. Ogni salto lo portava sempre più in alto verso i tetti della città. Quando arrivò poté tirare finalmente un sospiro di sollievo.
Tirava un vento leggero, era bello quando succedeva, Supaku si rilassava sempre quando c'era vento nell'aria. Era come se un vecchio amico lo confortasse, era come se sua madre e suo padre fossero ancora accanto a lui.
Supaku ricacciò indietro i ricordi, non c'era tempo per loro. No, non era quello il momento nè il luogo, adesso doveva trovare Reiko, solo quello importava, non avrebbe potuto perdonarsi se le fosse successo qualcosa. Non che lui potesse aiutarla in qualche modo, era lei la sensei, però a lui piaceva pensare che avrebbe potuto fare la differenza.
Fece per saltare sull'edificio di fronte quando qualcosa attirò la sua attenzione. Era un rumore, un rumore leggero e netto. Un rumore metallico. Il vento lo aveva portato alle sue orecchie. Il vento lo stava aiutando, come sempre.
Supaku seguì la direzione del vento, andò vero l'origine del rumore. Giungeva da un vicolo a tre isolati di distanza alla sua destra. Saltò sul'edificio di fronte, atterrando su uno dei caminetti a punta, da lì si dette lo slancio e planò verso un'antenna lunga e flessuosa. Il peso del genin era troppo leggero per rompere il pezzo di ferro, e quello si fletté sotto di lui, aiutandolo nel suo prossimo salto dandogli lo slancio in avanti e permettendogli di spiccare un lungo balzo verso l'alto. Atterrò su uno degli edifici che davano sul vicolo con leggerezza e silenzio, sollevando sotto di sè soltanto una nuvola di sabbia. Adesso il rumore era più netto, era un rumore inconfondibile per le orecchie di qualsiasi ninja. Era il clangore di acciaio contro acciaio.
Supaku guardò in basso solo per scorgere tre figure ammantate di nero che avevano circondato un'altra figura vestita di rosso e grigio.
Reiko teneva sollevato un kunai davanti a sè, in posizione di guardia, la lama del pugnale era bagnata di sangue. Poco più indietro vi era una quarta figura riversa sul terreno polveroso del vicolo, una piccola pozza nera si era allargata sotto di lui.
è qui! pensò Supaku esultante. Devo aiutarla. fu il secondo pensiero che attraversò la sua mente. Non sapeva nulla sui tre uomini vestiti di nero, solo che potevano essere temibili in corpo a corpo, anche se, da quella distanza, sembrava che Reiko non fosse ferita o in difficoltà.
Proprio in quel momento uno degli uomini scattò in avanti, sollevando un pugno e cercando di colpire la sua sensei, quella però fu troppo agile per lui e riuscì a schivare il colpo e a mettere una gamba tra quelle dell'attaccante, e colpirlo con la mano libera in piena schiena, facendolo cadere lungo disteso per terra con un grugnito di dolore.
La seconda figura si fece avanti meno di un secondo dopo, estraendo due kunai dall'ombra del mantello nero e portando due affondi simultanei verso il busto della kunoichi. Quella lo respinse con un calcio piazzato nel petto, che scaraventò l'uomo parecchi metri lontano da lei, atterrando sul terreno arido del vicolo con un tonfo sordo.
Reiko si girò per fronteggiare la terza figura che durante tutto ciò non si era mossa di un millimetro. La kunoichi balzò in avanti menando un affondo con il kunai a destra e un colpo di palmo a sinistra, ma l'uomo vestito di nero schivò il primo e scansò il colpo di palmo intercettandolo con la propria. L'uomo rispose affondando un pungo nello stomaco di Reiko, un colpo che quella non riuscì a schivare e che la piegò in avanti togliendole il fiato.
La figura non le dette il colpo di grazia, ma si limitò ad allontanarsi di un paio di passi dalla sensei, il lungo mantello nero che frusciava intorno alle sue gambe. Supaku vide l'uomo sollevare sopra una spalla lo stesso mantello, mostrando un kimono verde smeraldo con rifiniture e orletti dorati agli orli, sotto aveva un paio di brache larghe e vaporose, bianche come la luna, ai piedi un paio di tipici sandali giapponesi in legno, rialzati con due tacchi. La mano dell'uomo si posò su un'impugnatura intarsiata d'argento e fasciata di seta nera. L'impugnatura di una katana.
Il suono del metallo che sfrega contro il fodero di legno sibilò nell'aria. Supaku sentì un lieve brivido percorrergli la schiena vedendo la lama affilata risplendere alla luce delle stelle.
Ora facciamo sul serio, piccola gattina. disse una voce melliflua che fece rizzare i capelli sulla nuca del genin.
Edited by Supaku - 18/5/2012, 00:14.